Giusto per conoscere qualcosa sull’argomento, ho ritenuto soddisfacente il contenuto di questo link:
Storia dell'anarchismo sardo - Anarchopedia
Spero di non incorrere in alcuna violazione del diritto d’autore se ne riporto il testo, emendato dei numerosi refusi e delle immagini (che non so postare). Chi volesse approfondire dovrà ovviamente aprire il link e visitare il sito o effettuare altre ricerche mirate.
Storia dell'anarchismo sardo
Sono ben poche le notizie che si hanno sull’anarchismo sardo. E' certo però che dopo la caduta del fascismo la storiografia ufficiale ha tentato di minimizzare, se non del tutto negare, il ruolo avuto dagli anarchici nello sviluppo delle lotte antifasciste. Solo negli anni 80, grazie al lavoro di Costantino Cavalleri nella "Biblioteca "S’Arkiviu"", intitolata a Tomaso Serra, il più conosciuto anarchico sardo, si è cominciato a far luce sull'esperienza anarchica nell'isola.
Premessa
Nel popolo sardo è stata da sempre presente un innata diffidenza e\o ostilità verso le autorità e le istituzioni di ogni tipo [un po’ meno verso quelle religiose, NdR], specie se proveniente dal “continente”. Come dice l'archeologo e storico Giovanni Lilliu, nella storia del popolo sardo è presente una «costante resistenziale» che si è manifestata di volta in volta contro le potenze coloniali che di volta in volta occuparono l'Isola.
« ..La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi), ma di avere sempre resistito. Un'Isola sulla quale è calata per i secoli la mano oppressiva del colonizzatore, a cui ha opposto, sistematicamente, il graffio della resistenza. Perciò, i Sardi hanno avuto l'aggressione di integrazioni di ogni specie ma, nonostante, sono riusciti a conservarsi sempre se stessi. Nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni sono riemersi, costantemente, nella fedeltà alle origini autentiche e pure. Questo è stato, ed è certamente, un miracolo, a pensare che l'Isola, per la sua posizione geografica, è tracciata in ogni senso, è un terminal da ogni parte; e che la vasta solitudine dei suoi spazi (si parla di essa come di un continente) ha invitato e invita a riempirli gente d'ogni sangue e colore. » (Giovanni Lilliu, la Costante resistenziale sarda; p. 225)
Una certa innata tendenza verso l'antiautoritarismo [1] non ha però fatto sì che l'idea anarchica si diffondesse nel tessuto socio-politico dell'isola quando nell'ottocento essa cominciava a far presa in Europa. Ciò fu legato in parte alla condizione di insularità ed in parte ad una certa mentalità di tendenza individualistica, legata forse all’attività agro-pastorale che è stata lungamente predominante nell'isola, ma non nel senso libertario del termine quanto a quello più propriamente egoistico del pensar ognun per sé¨. [2]
In ogni caso, alla fine del XIX° secolo si trova qualche flebile traccia di attivismo anarchico e nel secondo decennio del XX° secolo si costituirono i primi piccoli gruppi anarchici. La frammentarietà e le difficoltà a sviluppare una rete organizzativa di un certo livello, sono caratteristiche costanti dell'anarchismo in Sardegna, infatti ancora oggi sono sì attivi alcuni piccoli gruppi, ma nessuna sezione della FAI o della FdCA.
L'ottocento
L'800 è un secolo in cui si svilupparono molte proteste e insurrezioni popolari: dopo la legge delle chiudende del 1820 [3], che di fatto privatizzava le terre pubbliche, si registrarono numerose rivolte nel Nuorese [4]. In seguito se ne verificarono anche a Sedilo (1850), Sassari (1852) e Oschiri (1855) [5], tutte determinate dalla fusione con il Piemonte che portò con sé la introduzione del servizio militare obbligatorio, la pressione fiscale e l’aumento del costo della vita. Con le leggi del 1863-1873 fu anche limitato l'uso civico delle terre: a Nuoro la popolazione insorse nel 1868 con i cosiddetti moti di su Connottu (cioè “del conosciuto”, ovvero l'aspirazione al ritorno alle antiche usanze). Risulta evidente quindi che i sardi erano storicamente predisposti verso al collettivizzazione dei beni pubblici e assai avversi alla proprietà privata, che poté essere imposta solo con l'uso della forza e la repressione popolare.
Nonostante questa innata repulsione verso l'autorità , le statistiche ufficiali dicono che dal 1878 al 1891 ci furono solo 3 scioperi (1076 in tutta Italia) e che alla fine dell'800 vi erano solo 400 militanti socialisti. Questi dati fanno però riferimento ad una ricerca storiografica che tende a minimizzare, se non del tutto negare, il ruolo svolto dai rivoluzionari e ancor più dagli anarchici. La ricerca storica è quindi importante perché permette il recupero della verità storica rispetto all'anarchismo sardo: per esempio, secondo quanto riporta Costantino Cavalleri nel suo Per la storia dell'anarchismo in Sardegna, «è comprovata la presenza a Cagliari di una sezione dell'Internazionale Antiautoritaria, rappresentata al Congresso regionale della Federazione dell'Alta Italia dell’AIL, nel 1877, da Fontana e Marcialis»[6]
Ci sono inoltre testimonianze rispetto ad una certo attivismo anticlericale sardo che si manifestava durante pubbliche celebrazioni religiose [7]. Il sardo ha una innata diffidenza verso l'organizzazione, per questo spesso la ribellione talvolta assunse forme d'illegalismo come il banditismo [8], che talvolta poté godere dell'appoggio popolare. In questa fase sono da segnalare le poesie vagamente anarcoidi e fortemente anticlericali di Peppino Mereu (1872-1901) [9], poeta assai affine alla scapigliatura milanese.