La drammatica vicenda del capitano d'artiglieria dell'esercito francese, Alfred Dreyfus, ebbe inizio nel 1894, con la scoperta di un biglietto anonimo e non datato (bordereau)
in cui un ufficiale di stato maggiore francese comunicava a M. von Schwartzkoppen, addetto militare dell'ambasciata tedesca di Parigi, un elenco di documenti da inviare,
relativi all'organizzazione militare francese. L'elenco era stato trovato, in mille pezzi, dentro il cestino della carta straccia da Marie Bastian, una donna delle pulizie in servizio presso l'ambasciata tedesca (in realtà agente del controspionaggio francese).
La donna fece pervenire il biglietto al maggiore H.J. Henry. Il 13 ottobre 1894 fu arrestato il trentacinquenne Dreyfus. Sembrava una comune vicenda di spionaggio. In realtà la vicenda sarebbe durata ben 12 anni.
Ovviamente non si poteva pensare di trovare un "traditore" tra gli ufficiali dello stato maggiore, ch'era una casta rigidamente selezionata (di origine prevalentemente nobiliare).
Si pensò quindi che il "colpevole" potesse annidarsi fra i giovani ufficiali che svolgevano il loro tirocinio presso lo stato maggiore e fra questi spiccò subito un nome
che nobile non era, ma suonava piuttosto come ebreo e come tedesco: Alfred Dreyfus (egli infatti era di origine alsaziana).
Dei cinque esperti calligrafi chiamati a consulto dallo stesso ministro della guerra, Mercier, che aveva affidato le indagini al maggiore d'Omerscheville,
solo tre si dichiararono favorevoli a riconoscere in Dreyfus l'autore dell'elenco. Ciononostante, a conclusione dell'inchiesta si ritenne che le prove fossero sufficienti per portare Dreyfus davanti alla Corte marziale
con l'accusa di alto tradimento. Le alte gerarchie, il presidente della Repubblica, Casimir Périer (succeduto a Sadi Carnot, assassinato da un anarchico il 24 giugno precedente)
e un'opinione pubblica infettata da idee xenofobe e acceso nazionalismo, spingevano a fare di Dreyfus il colpevole.
Il Consiglio di guerra, presieduto dal colonnello Maurel e composto da sette giudici emette all'unanimità un verdetto di colpevolezza e condanna l'ufficiale alla degradazione
e alla deportazione perpetua in una fortezza della Nuova Caledonia (Guyana). La stampa pensò che non fu comminata la pena di morte sia perché essa era stata abolita per i delitti politici nel 1848,
sia perché il tradimento non era stato commesso in tempo di guerra. Le uniche due prove esibite furono il suddetto biglietto e un dossier segreto, di cui non era a conoscenza né Dreyfus né la sua difesa;
dell'esistenza di questo dossier si verrà a conoscenza solo al momento dello scoppio dell'affaire vero e proprio e sarà uno degli elementi fondamentali sui quali si baserà la difesa di Dreyfus per richiedere la revisione del processo.
D'altra parte interrogatori e perquisizioni non avevano portato ad alcun risultato; per di più mancava un valido movente: figlio di un industriale alsaziano che aveva optato per la nazionalità francese nel 1871,
Dreyfus era ricco (apparteneva alla borghesia ebraica di recente crescita sociale), patriota (aveva scelto la carriera militare proprio per riscattare l'Alsazia allora occupata dai tedeschi)
e benpensante (credeva nei valori della giovane repubblica, tra cui quello del laicismo. Si era laureato al Politecnico).
Subito dopo la deportazione, la moglie e il fratello di Dreyfus, con l'aiuto dello scrittore ebreo Bernard Lazare, si mobilitano per cercare di riaprire il processo. Tuttavia, nazionalisti e socialisti erano concordi nel ritenere che Dreyfus avrebbe meritato la pena di morte e gli stessi ambienti israeliti non gradivano la riapertura di un caso che gettava ombra sulla loro onorabilità. Grande incertezza regna nelle file del partito operaio. La linea di tendenza dominante è quella di considerare il caso come un conflitto interno alla borghesia. Anche personalità socialiste indipendenti, come p.es. J. Jaurès, denunciano in Parlamento l'eccessiva indulgenza del tribunale militare che avrebbe dovuto comminare la pena di morte.
Intanto nel luglio 1895 il tenente colonnello Georges Picquart subentra al colonnello Sandherr a capo dei Servizio Informazioni dello Stato maggiore e scopre nel marzo del '96 che l'ambasciata tedesca era da tempo in contatto col maggiore M. Ch. Walsin-Esterhazy, un nobile di origine ungherese, giocatore pieno e debiti e spesso invischiato in affari loschi. Il rapporto di una agente francese a Berlino asseriva che i servizi segreti tedeschi non sapevano nulla circa il capitano Dreyfus e che il loro informatore era un maggiore dell'esercito, nobile e decorato. Il servizio intercetta frammenti di un telegramma che, ricostruito, diventa una comunicazione riservata dell'addetto militare tedesco Schwartzkoppen al maggiore Esterhazy. Picquart riesce anche ad avere la certezza che la calligrafia del bordereau è la stessa di Esterhazy. Decide dunque, nonostante le resistenze dei vertici militari (soprattutto del colonnello Henry, che produsse anche dei documenti falsi) e del ministro della guerra Billot, di riaprire il dossier Dreyfus.
Il 3 settembre 1896 Mathieu Dreyfus diffonde, attraverso un quotidiano londinese, la falsa notizia della fuga del fratello, per suscitare nuovamente l'attenzione della stampa sul caso. Il 14 infatti "L'Eclair" afferma che Dreyfus sarebbe stato condannato sulla base di documenti segreti. Scendono nuovamente in campo i nazionalisti (Drumont, Rochefort…) per denunciare le trame del cd. "sindacato ebraico". Il Parlamento, con soli cinque voti contrari, respinge la domanda di revisione del processo avanzata dalla moglie Lucie e dal fratello di Dreyfus. Il ministro della Giustizia dispone che di notte il prigioniero sia legato a un letto di contenzione. L'unico a non arrendersi è l'anziano vicepresidente del Senato A. Scheurer-Kestner, che conosceva le scoperte di Picquart. Dal canto suo Esterhazy chiede di essere giudicato da un tribunale militare per fugare ogni sospetto su di lui. Il 6 novembre 1896 Lazare pubblica a Bruxelles, poi a Parigi, un pamphlet in cui ricostruisce l'incredibile vicenda giudiziaria.
Il 10 novembre due giornali conservatori, "Le Matin" e "L'éclair" pubblicano un facsimile del bordereau, nonché alcuni documenti del dossier segreto, pensando di chiudere definitivamente il caso; in realtà ottengono l'effetto contrario, poiché risulta evidente la differenza della calligrafia con quella di Dreyfus. Infatti alcuni intellettuali cominciano a prendere le sue difese: il filosofo Lucien Herr, gli storici Albert Mathiez, Paul Mantoux e Leon Blum, i sociologi Lévy-Bruhl e Durkheim, il politologo Sorel, l'economista Simiand, letterati quali Charles Peguy, Marcel Proust, Anatole France, Sarah Bernhardt, A. Gide, pittori come Monet, Pissarro, Toulouse-Lautrec, Signac… Violenta diventa la campagna di stampa antidreyfusarda: quotidiani come "L'Intransigeant" e la "Libre Parole" per almeno tre anni attaccheranno duramente gli ebrei, i democratici, i socialisti… L'ostile campagna lanciata contro gli ufficiali ebrei provocherà anche molti duelli tra i militari.
Il 16 il generale Boisdeffre allontana Picquart da Parigi col pretesto d'una missione in Algeria e in Tunisia, in territori infestati da tribù ribelli. Ma nel giugno del '97 in congedo a Parigi, Picquart rivela all'amico e avvocato L. Leblois i suoi sospetti su Esterhazy; Leblois a sua volta informa della cosa il vicepresidente del Senato, Scheurer-Kestner, che ottiene il 29 ottobre d'essere ricevuto dal presidente della Repubblica Faure. Il 15 novembre il fratello di Dreyfus invia una lettera al ministro della guerra accusando esplicitamente Esterhazy d'essere l'autore del bordereau. Il 4 dicembre di fronte alle Camere riunite il primo ministro Méline dichiara che "non esiste alcun affaire Dreyfus". Infatti il 10-11 gennaio 1898 Esterhazy viene assolto con formula piena e diventa l'eroe del momento.