Giovine, dieci anni a caccia di poltrone a colpi di firme false o inventate


Eletto in Regione spostò la residenza
per godere dei rimborsi destinati
ai pendolari


A. ROS.

TORINO
Con le firme ha sempre avuto un rapporto bizzarro. Le ha inventate, falsificate e addirittura dimenticate. Come nel 2009, a Tortona. Il candidato sindaco di centrodestra Massimo Berruti si faceva forte delle 17 liste schierate a suo sostegno. Pardon, 16, perché l’ultimo giorno, un’ora prima che scadessero i termini, Michele Giovine era bloccato in autostrada per un incidente, e addio firme per il gruppo dei Pensionati. Berruti, che non ci credeva nemmeno un po’, s’infuriò al punto da chiamare la polizia stradale: «Non c’è nessun incidente, solo un traditore politico». Vinse comunque.

Delle liste civetta ha fatto una ragione di vita, dei sotterfugi una pratica buona per campare e lucrare a spese dei conti pubblici. La giustizia più volte l’ha rincorso senza mai acciuffarlo, anche perché c’era sempre una leggina o una depenalizzazione che scattava al momento giusto. La politica (con poche eccezioni, vedi i radicali) l’ha tollerato e spesso usato, non disdegnando di arraffare i voti che portava in dote. Cinque anni fa, sempre alle regionali, finì nel mirino del pm Francesco Saluzzo. «Si accaniscono contro di noi perché dentro le istituzioni diamo fastidio».

L’indagine dimostrò che l’80 per cento delle firme sulla lista Consumatori per Ghigo erano false. Fu rinviato a giudizio e salvato dalla prescrizione: nel frattempo il reato era stato depenalizzato, lasciapassare che gli consentì di farla franca anche altrove. Era riuscito a depositare firme false persino a Porte, mille abitanti all’imbocco della Val Chisone, per farsi eleggere consigliere di minoranza. Fu indagato dalla procura di Pinerolo, pratica chiusa con un’oblazione di 6.500 euro.

In dieci anni di politica è andato a caccia di decine di poltrone. Una volta agguantate è sparito dalla circolazione: a Gurro, nel Verbano, è stato eletto consigliere comunale, ma il sindaco dice che s’è visto «solo sotto elezioni». Anni fa a Tricerro, provincia di Vercelli - dove era riuscito a farsi nominare assessore - si beccò i rimbrotti del sindaco per essersi detto disponibile a sposare il tele-disturbatore Gabriele Paolini «con chiunque desideri, di qualunque sesso sia». «Farebbe meglio a partecipare ai consigli comunali, è da mesi che non lo vediamo, non si è presentato neppure per votare il bilancio», disse il sindaco Aichino.

Quanto meno distratto se c’è da occuparsi della cosa pubblica, attentissimo quando c’è di mezzo l’interesse di bottega. Eletto in consiglio regionale nel 2005 spostò subito la residenza da Torino a Nizza Monferrato, casa dei genitori. Morale: 92 euro al giorno di rimborso, 1800 al mese per fare il pendolare fittizio. Inutile dire che ha continuato ad abitare a Torino, tanto per il rimborso bastava l’autocertificazione. Ha paralizzato la Regione finché la giunta Bresso l’ha autorizzato a costituire il suo gruppo autonomo. Autonomo nel senso che il gruppo era lui. L’operazione è costata 125 mila euro l’anno ai contribuenti.

L’hanno pizzicato a fare campagna elettorale in giro per il Piemonte usando carta intestata e risorse della Regione. Per non parlare della sede del gruppo, in via Dellala, aperta notte e giorno, via vai di ogni genere, musica a tutto volume fino all’alba. Quando i residenti chiamarono la polizia e il presidente del consiglio regionale la vigilanza interna, lui replicò candido: «Io faccio politica ed è normale ricevere i cittadini, a volte anche la notte perché chi lavora ha difficoltà a raggiungermi in altri orari».

Sfacciato oltre misura. L’altro giorno, al Tar, gli avvocati dei ricorrenti quasi se la ridevano. Dei 19 candidati nella lista Pensionati per Cota le firme di 18 erano fasulle. Tutti pensavano che l’unica buona fosse la sua: sbagliato, era quella di una prozia. Il guaio è che uno così tre anni fa fu inviato in Calabria come rappresentante della Regione a un convegno di «Libera». Si parlava di legalità.



Giovine, dieci anni a caccia di poltrone a colpi di firme false o inventate- LASTAMPA.it


E ancora dall'unità
Torino, firme false e fiaccolate. La Lega va all’assalto del Tar



Le elezioni non finiscono mai. In Piemonte continuano grazie alle firme false e alle fiaccolate, nell’aula del tribunale amministrativo (il Tar), in quelle della Procura della Repubblica e in piazza. La Lega ha convocato i suoi tifosi per una luminaria nelle vie del centro, domani sera. Il neo presidente, Roberto Cota, ha approvato: “Una fiaccolata per la democrazia”, citava la Padania. Cota spiegava: “Soltanto ipotizzare con un golpe il voto popolare è un fatto di una gravità inaudita…”. “Una vera truffa. Una vergogna – incalzava il governatore tra le bancarelle del mercato – far spendere venticinque milioni per un cavillo”. Peccato che la irregolarità in questione gli abbia procurato ventisettemila voti e Mercedes Bresso abbia perso per novemila voti.

Peccato che i cavilli siano tanti e che nel caso più clamoroso ci sia di mezzo una inchiesta penale, sotto accusa un consigliere uscente, Roberto Giovine, a capo della lista “Pensionati per Cota”, protagonisti della storia anche il padre Carlo, parenti e fidanzate, qualcuno ignaro, qualcuno consapevole. Giovine avrebbe messo assieme la lista con i loro nomi e con le loro firme, contraffatte, “imitazioni fatte da un dilettante, una falsità chiara e incontrovertibile”, secondo la perizia del tribunale (che s’aggiungerà alle altre prove in mano al Tar). Il gip è andato a sentire i firmatari veri o falsificati, gli zii, i cugini, l’ex fiamma. C’è lo zio che conferma, spiegando d’aver attraversato in due ore e mezza il Piemonte da un capo all’altro e ritorno per apporre lo storico sigillo e, quando il giudice gli contesta l’improbabile rapidità del viaggio, s’inalbera e risponde: “Ma, insomma, ci ho messo il tempo che ci voleva”.

C’è la zia che di quel giorno non ricorda più nulla: aveva mal di testa. C’è la cugina che di fronte alla firma scarabocchiata si scusa: “Ero emozionata”. Non manca l’ex fiamma, che si vendica: “Ormai vivo a Milano”. Per fortuna compare, dagli interrogatori, anche qualcuno che si salva: “Siamo amici. Se ce lo avesse chiesto, avremmo firmato. Ma non l’ha fatto”. Chi cerca argomenti alla tesi del familismo amorale degli italiani, venga in Piemonte.

Ma il ritratto del capo dei “Pensionati per Cota” è già ricco di un precedente, perché Michele Giovine verrà processato per la stessa violazione per cui fu indagato nel 2005. Allora se la cavò con la prescrizione, perché il reato di falsità previsto dalle norme speciali elettorali era stato derubricato ad ammenda, talmente fortunato il Giovine che non pagò neppure quella. Stavolta gli capita sulla testa la tegola di una sentenza della Corte Costituzionale che giudica illegittima la nuova norma. Si torna al “delitto”, punibile con il carcere. Per la sentenza si dovrà attendere. Intanto giudicherà il Tar, probabilmente tra una o due settimane. Chi è costretto a seguire di giorno in giorno i movimenti di Cota dice di averlo visto assai nervoso, al limite di una crisi. Naturale perché il “cavillo” è in realtà un fatto grave e il “fatto grave” è una delle gambe della sua poltrona, dopo un voto che ha lasciato la Lega più o meno ai numeri di prima e dopo mesi di apprendistato che hanno provocato malumori nel centrodestra.

La sentenza del Tar non è detto che preveda nuove elezioni: potrebbe annullare le precedenti confermando in carica Cota per l’ordinaria amministrazione, potrebbe cancellare Cota richiamando la Bresso ancora per l’ordinaria amministrazione, potrebbe commissariare. In ogni caso la telenovela piemontese si chiuderebbe male o non si chiuderebbe affatto. La via migliore, a irregolarità confermate, sarebbero le elezioni: costano, ma cancellano una ferita e ripristinano la chiarezza. Mercedes Bresso aveva chiesto subito, in diretta televisiva, da poche ore chiuse le urne, il riconteggio: novemila voti sono sempre un’inezia. Cota replicò: “Non sa perdere”. Non tutti, anche nel centro sinistra, apprezzarono la richiesta della Bresso. Poi la fondatezza del ricorso fece cambiare idea.

Nel frattempo la Bresso è diventata presidente del Comitato delle regioni dell’Unione europea e, come hanno già scritto alcuni giornali, è girata l’ipotesi di Sergio Chiamparino, sindaco in scadenza, come candidato, forte a Torino (che vale il cinquanta per cento dell’elettorato piemontese), ma anche in alcune altre province, soprattutto capace di rimettere assieme un’alleanza con il vizio delle divisioni. Altra variabile, la durata dell’effetto Grillo. In Piemonte i grillini sono riusciti a eleggere un loro rappresentante. Reggerà a un nuovo eventuale voto? Di qui a un anno è possibile tutto.



Direi che si tratta di meridionalizzazione dei leghisti, non c'è altra spiegazione, :gluglu::gluglu: