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    Predefinito Diritto di famiglia: 40 anni di riforme

    C’è oggi un tentativo di “svuotare” la separazione del suo contenuto, e in particolare di eliminare i riferimenti alle responsabilità della crisi familiare, responsabilità oggi rilevata con la pronuncia di addebito. A ciò si aggiunga che oggi anche i Tribunali riconoscono con estrema difficoltà l’addebito, spesso attribuendo la responsabilità della crisi a entrambe le parti (ovvero a nessuna delle parti). Se questo tentativo andrà in porto avremo un diritto di famiglia attuale totalmente diverso da quello del 1975 e nel quale la responsabilità era acclarata nella prospettiva della tutela del coniuge debole.


    1975-2015 Diritto di famiglia40 anni di riforme e aggiustamenti | La ventisettesima ora

    Il 19 maggio 1975 venne introdotta la riforma del diritto di famiglia (legge n. 151). Basata sul principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29 della Costituzione) estendeva alla moglie i diritti che erano stati strettamente riconosciuti solo al marito. Fino ad allora le norme che regolavano le relazioni tra i coniugi si basavano sul Codice Civile del 1942 che concepiva la famiglia fondata sulla subordinazione della moglie al marito, nei rapporti personali, patrimoniali, nelle relazioni di coppia e nei riguardi dei figli. Il Codice, inoltre, discriminava i figli nati fuori dal matrimonio (figlio naturale) ai quali erano riconosciuti meno diritti che ai figli legittimi. Le innovazioni previste prendevano atto di quanto stava accadendo nella società e ne accelerarono la trasformazione. Parificando i ruoli tra uomo e donna nella famiglia, accompagnarono la trasformazione del ruolo delle donne nella società. In 40 anni non c’è più un solo modello di famiglia. Le relazioni tra uomini e donne hanno più opzioni e diversi sono i risvolti giuridici. Cogliamo l’occasione per un excursus sulle riforme degli ultimi quarant’anni e sui mutamenti della società italiana dall’approvazione della riforma del diritto di famiglia a oggi.

    Da quaranta anni il numero dei matrimoni celebrati tende a calare, come riportato dall’Istat, «la minore propensione a sancire con il vincolo matrimoniale la prima unione è da mettere in relazione in parte con la progressiva diffusione delle unioni di fatto, che da circa mezzo milione nel 2007 hanno superato il milione nel 2011-2012 […]. La conferma di questo mutato atteggiamento sembra pervenire anche dalle informazioni sulle coppie di fatto con figli; l’incidenza di bambini nati al di fuori del matrimonio è in continuo aumento: nel 2012 oltre un nato su 4 ha genitori non coniugati».
    A ciò si aggiunga un aumento delle separazioni e dei divorzi, anche se «i tassi di separazione e di divorzio, in continua crescita dal 1995, hanno [avuto] una battuta d’arresto nel 2012. Per ogni 1.000 matrimoni si contano 311 separazioni e 174 divorzi».

    In sintesi: meno matrimoni, più dissoluzioni del matrimonio, più unioni di fatto, più figli nati fuori dal matrimonio. La situazione sociale è quindi oggi del tutto diversa da quella regolata dal legislatore nel 1975. E anche le leggi stanno seguendo altri percorsi. Non sempre migliorativi.

    C’è oggi un tentativo di “svuotare” la separazione del suo contenuto, e in particolare di eliminare i riferimenti alle responsabilità della crisi familiare, responsabilità oggi rilevata con la pronuncia di addebito. A ciò si aggiunga che oggi anche i Tribunali riconoscono con estrema difficoltà l’addebito, spesso attribuendo la responsabilità della crisi a entrambe le parti (ovvero a nessuna delle parti). Se questo tentativo andrà in porto avremo un diritto di famiglia attuale totalmente diverso da quello del 1975 e nel quale la responsabilità era acclarata nella prospettiva della tutela del coniuge debole. Nevralgico è il ruolo degli avvocati che dovranno accompagnare le parti alla consapevolezza di ciò che li attende in caso di separazione. In particolare, sappia la donna che se ha dedicato tutta la vita alla famiglia, in caso di separazione vedrà con difficoltà riconosciuto il suo diritto a un equo contributo da parte del marito.

    Vorrei riflettere insieme a voi sui mutamenti intervenuti e sulle nuove prospettive del diritto di famiglia. A tale proposito va sottolineato che – a parte le “tumultuose” riforme approvate recentemente a partire dalla fine del 2012 – l’impronta del diritto di famiglia, con alcune rivisitazioni (o meglio, “rattoppi”), era quella della legge n. 151/1975, che fotografava una situazione completamente diversa, sia concettuale sia pratica, rispetto a quella attuale.

    1. Le riforme del diritto di famiglia dal 1975 a oggi.
    La necessità di una riforma del diritto di famiglia era ed è dunque evidente da molti anni. Come sopra anticipato, sono stati numerosi gli interventi del legislatore negli anni. È tuttavia sempre mancata quella necessaria “visione di insieme”, ovvero la volontà di riformare organicamente la materia sia nel merito sia dal punto di vista procedurale per evitare le numerose differenze di trattamento che si sono verificate nel tempo.

    Vediamo in ogni caso per sommi capi le principali riforme che si sono succedute negli anni.

    1.1. La “prima” riforma del diritto di famiglia (L. n. 151/1975).
    È la prima vera riforma del diritto di famiglia, che possiamo definire epocale. Questi i punti principali della legge:
    – equiparazione dei coniugi nei diritti e nei doveri (art. 143 c.c.);
    – superamento di molte delle differenze tra lo status di figli legittimi e naturali, permanenza tuttavia di alcuni “privilegi” dei primi nei confronti dei secondi, specie in ambito successorio;
    – acquisizione della maggiore età a 18 anni (e non più 21 anni);
    – divieto di contrarre matrimonio prima dei 18 anni, con possibilità di autorizzazione ai sedicenni da parte del tribunale;
    – abolizione della patria potestà, divenuta potestà genitoriale “complesso diritti e doveri dei genitori nei confronti del figlio” (oggi responsabilità genitoriale);
    – introduzione del regime legale della comunione dei beni (secondo l’Istat «nel 2012 l’incidenza dei matrimoni in regime di separazione dei beni è pari al 68,9% »)
    Un accenno va poi fatto alle innovazioni del 1975 che hanno avuto limitata applicazione pratica: il fondo patrimoniale e l’impresa familiare.
    Di fatto l’impianto di base voluto dalla legge è tuttora il fondamento dell’istituto familiare.

    1.2. Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza (L. n. 194/1978).
    Tra i punti principali della legge:
    – abrogazione degli articoli dal 545 al 555 del codice penale per i quali l’interruzione della gravidanza era considerata reato;
    – facoltà per la donna di ricorrere alla interruzione volontaria della gravidanza nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese possibilità di interrompere la gestazione solo per motivi di natura terapeutica.

    1.3. Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori (L. n. 184/1983).
    Con questa legge sono stati definiti i requisiti sia per l’adozione nazionale sia per quella internazionale:
    – gli adottanti devono essere uniti in matrimonio da almeno 3 anni, non deve sussistere separazione personale neppure di fatto. I richiedenti devono essere idonei a educare e istruire, e in grado di mantenere i minori che intendano adottare;
    – la differenza di età tra gli adottanti e l’adottato deve essere compresa tra i 18 e i 40 anni (successivamente portata dalla legge n. 149/2001 a 45 anni);
    – gli adottanti devono essere idonei a educare e istruire, e in grado di mantenere i minori che intendono adottare.


    1.4. “Nuovo concordato” (Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, L. 121/1985).
    La legge ha riformato la disciplina del matrimonio concordatario in tema di:
    – riconoscimento degli effetti civili del matrimonio canonico;
    – attribuzione degli effetti civili alle sentenze di nullità ecclesiastiche.


    1.5. Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio (L. n. 74/1987).
    La novella ha inteso apportare i primi “aggiustamenti” alla legge sul divorzio (legge n. 898/1970):
    – riduzione del tempo intercorrente tra separazione e divorzio (da cinque a tre anni) e facoltà del tribunale di pronunciare una sentenza parziale che dichiari lo scioglimento definitivo del vincolo ovvero la cessazione degli effetti civili, separatamente dalla discussione sulle ulteriori condizioni accessorie dello scioglimento;
    – indicazione specifica dei presupposti per la concessione dell’assegno divorzile.


    1.6. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile (L. n. 149/2001).
    Come sopra anticipato, la riforma del 2001 ha così modificato la normativa del 1983 in tema di adozioni:
    – innalzamento da 40 a 45 anni dell’età che deve intercorrere fra genitori che aspirano all’adozione e il minore da adottare;
    – possibilità di adottare per i coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni “o che raggiungano tale periodo sommando alla durata del matrimonio il periodo di convivenza prematrimoniale”, convivenza sino a quel momento non rilevante.


    1.7. Misure contro la violenza nelle relazioni familiari (L. n. 154/2001, modificata dalla legge n. 304/2003).
    Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale dell’altro coniuge o convivente, il giudice può disporre:
    – la cessazione della violenze e l’allontanamento del soggetto dalla casa familiare;
    – il divieto di frequentazione di luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa;
    – l’obbligo di pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi che, per effetto dei suddetti provvedimenti, siano rimasti privi di mezzi adeguati;
    – l’intervento dei servizi sociali del territorio e dei centri di mediazione familiare in presenza di situazioni di forte tensione


    1.8. Norme in materia di procreazione medicalmente assistita (L. n. 40/2004).
    La legge prevede:
    – la possibilità di accedere alle tecniche di fecondazione solo alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi, possibilità comunque circoscritta ai casi in cui sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione;
    – l’esclusione del ricorso alla fecondazione eterologa.
    Peraltro, con sentenza n. 162/2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma della legge 40 nella parte in cui si vieta il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nei casi di infertilità assoluta.


    1.9. Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli (L. n. 54/2006).
    La legge ha modificato il precedente regime in materia di affidamento in base al quale i figli erano affidati o all’uno o all’altro dei genitori. Così infatti l’art. 155 c.c. (oggi 337-ter c.c.): “il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento”.


    1.10. Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali (L. n. 219/2012 e D.Lgs. 54/2014).
    La legge e il successivo decreto legislativo a essa collegato hanno stabilito:
    – l’eliminazione degli status di figlio naturale, di figlio adottivo minorenne (per gli adottati maggiorenni la disciplina non è stata modificata), e di figlio legittimo, e creazione di un unico status di “figlio”;
    – il riconoscimento del diritto del minore “che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, […] di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”, con anticipazione da sedici a quattordici anni di alcune fattispecie codicistiche che fissano l’età in cui il figlio può compiere alcuni atti (per esempio l’impugnazione del riconoscimento ex art. 264 c.c.);
    – l’attribuzione al tribunale ordinario (e non più al Tribunale per i minorenni) della competenza per le controversie relative all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio (ma il rito è diverso rispetto a quello dei figli nati all’interno del matrimonio).


    1.11. Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile (D.L. 132/2014 convertito in legge con modifiche dalla L n. 162/2014).
    Nell’ambito del riassetto del processo civile e per la riduzione dell’arretrato giudiziario, la coppia che consensualmente vuole separarsi o divorziare (ovvero modificare le condizioni della separazione o del divorzio) non dovrà necessariamente rivolgersi al giudice, ma avrà la possibilità di scegliere tra due nuove opzioni, che riducono notevolmente i tempi della procedura:
    – la negoziazione assistita da avvocati, con trasmissione dell’accordo al procuratore della Repubblica perché abbia ad autorizzarlo (in presenza di figli minori) ovvero a rilasciare il nulla osta (in assenza di figli minori);
    – ovvero la conclusione di un accordo avanti il Sindaco, purché l’accordo stesso non contenga patti produttivi di effetti traslativi di diritti reali. Con la circolare 1307 del 24 aprile 2015, il Ministero dell’Interno ha mutato il proprio precedente orientamento e ha stabilito che non rientra nel divieto della norma la previsione, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio ( c. d. assegno divorzile).


    1.12. Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi (L. n. 55/2015).
    È questo il cosiddetto “divorzio breve”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’11 maggio 2015, che sarà quindi in vigore dal 26 maggio 2015. Le principali novità riguardano:
    – in luogo dei tre anni prima previsti, in caso di separazione giudiziale, basterà un anno per porre fine al matrimonio. Il termine decorre sempre dal giorno della comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale. Rimane fermo, inoltre, il requisito della mancata interruzione: la separazione dovrà essersi “protratta ininterrottamente” e l’eventuale sospensione dovrà essere eccepita dalla parte convenuta;
    – il termine di un anno si riduce ulteriormente a sei mesi, secondo il nuovo testo dell’art. 3 lett. b), n. 2 della l. n. 898/1970, nelle separazioni consensuali. Ciò indipendentemente dalla presenza o meno di figli e questo anche in caso di separazioni avviate in contenzioso;
    – l’art. 2 della l. n. 55/2015 aggiunge un comma all’art. 191 c.c. anticipando il momento dello scioglimento della comunione tra i coniugi. Finora previsto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, lo scioglimento infatti avverrà nel momento in cui “il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati” (all’udienza di comparizione, per le separazioni giudiziali), ovvero “alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato” (per le consensuali). L’ordinanza, inoltre, con la quale i coniugi vengono autorizzati a vivere separati deve essere inviata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione dei beni sull’atto di matrimonio;
    – altro punto cardine della riforma è l’applicazione dei nuovi termini per la domanda di divorzio e lo scioglimento della comunione legale, anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 55/2015.

    Di questo “divorzio breve” va colta innanzitutto l’utilità di anticipare lo scioglimento della comunione legale all’udienza presidenziale.
    Peraltro, è evidente che se a questa accelerazione non farà seguito un’auspicata accelerazione anche dei tempi del giudizio contenzioso, la cui durata media attuale è ben superiore a un anno, la possibilità di divorziare dopo dodici mesi a seguito di separazione giudiziale rimarrà puramente teorica, dovendosi comunque attendere la fine del giudizio di separazione. Allo stato quindi reali effetti pratici si avranno solo in caso di separazione consensuale.
    La riforma lascia in ogni caso immutati i profili sostanziali collegati all’impianto della separazione, profili sui quali sarebbe stata forse opportuna una riflessione nell’ambito di una riforma organica del diritto di famiglia.
    Rimane il dubbio se questa norma abbia l’obiettivo di permettere alle parti una maggiore consapevolezza e presa di responsabilità, o se in realtà intenda solo assecondare chi vuole mettersi alle spalle rapidamente il matrimonio senza una vera riflessione.

    2. Nuove prospettive.

    2.1. La riforma dei riti e il tribunale della famiglia.
    Le riforme sinora intervenute, fatto salvo solo l’ultimo periodo dal 2012 a oggi, ha visto solo “aggiustamenti” a un impianto, quello del 1975, che nel corso degli anni si è consolidato e che ancora oggi è il nucleo fondante del diritto di famiglia. È sicuramente mancata la volontà, e forse la capacità, del legislatore di mettere mano a questo nucleo e di prendere atto delle modifiche intervenute nella società. Vero è che nel 2012-2013 vi è stata la cancellazione di ogni residua differenza tra figli legittimi e figli naturali, differenza sempre ingiustificata – perché a danno dei minori – e oggi insopportabile a motivo degli innegabili mutamenti sociali verificatisi negli ultimi decenni e registrati anche dall’Istat (cfr. supra). Tuttavia anche questa riforma ha lasciato alcuni punti oscuri, basti pensare alla disciplina processuale: ancora oggi i procedimenti nell’interesse dei figli sono di competenza di giudici diversi e sopposti a riti diversi. Anche questa differenza di trattamento, che finisce con l’essere anche sostanziale, non ha più ragione d’essere e deve essere eliminata.
    In questo senso salutiamo con favore il disegno di legge del 10 febbraio 2015, e attualmente in corso di esame in commissione giustizia alla Camera (C. 2953), che conferisce al Governo la delega a ridefinire il quadro della giustizia civile in Italia. In particolare, se la legge sarà approvata, vedrà finalmente la luce il tanto auspicato “tribunale della Famiglia”, ovvero una «sezione specializzata per la famiglia, i minori e la persona con competenza chiara e netta su tutti gli affari relativi alla famiglia, anche non fondata sul matrimonio, e su tutti i procedimenti attualmente non rientranti nella competenza del tribunale per i minorenni in materia civile».
    La norma in esame prevede poi un riordino della normativa processuale anche in materia di famiglia, così che – finalmente – tutte le questione relative ai minori saranno trattate dallo stesso giudice con lo stesso rito. Bisognerà comunque attendere che la legge delega sia approvata, e in quali termini, per esprimere un giudizio più approfondito.

    2.2. La riforma del cognome.
    Il 24 settembre 2014 la Camera ha approvato il DDL “Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli” che risulta attualmente all’esame del Senato (S. 1628).

    Questo progetto di legge prevede che il figlio nato nel matrimonio, su accordo dei genitori, possa assumere:
    – il cognome del padre;
    – il cognome della madre;
    – il cognome di entrambi, nell’ordine concordato.
    Al mancato accordo consegue l’attribuzione, in ordine alfabetico, di entrambi i cognomi dei genitori.
    La stessa regola varrà per il figlio nato fuori dal matrimonio che venga riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori. Se il figlio è riconosciuto da un solo genitore ne assume il cognome e laddove l’altro genitore effettui il riconoscimento in un secondo momento (tanto volontariamente quanto a seguito di accertamento giudiziale), il cognome di questi si aggiunge al primo solo con il consenso del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo nonché del figlio stesso che abbia compiuto i quattordici anni.

    Il testo dispone inoltre che:

    – i figli degli stessi genitori, registrati all’anagrafe dopo il primo figlio, portano lo stesso cognome di quest’ultimo;
    – colui che ha – anche grazie all’applicazione della riforma – due cognomi, potrà trasmetterne al proprio figlio solo uno, potendo liberamente scegliere quale dei due;
    – la riforma entrerà in vigore solo quando sarà emanato – entro dodici mesi dall’approvazione della legge – un apposito regolamento attuativo. In particolare, le nuove norme saranno applicate “alle dichiarazioni di nascita rese dopo l’entrata in vigore del regolamento” stesso. La legge quindi non avrà efficacia retroattiva.
    Il progetto di legge, se definitivamente approvato, porrà dunque finalmente i genitori in condizione di parità anche in merito alla trasmissione del cognome. Benché sia facile immaginare che vi saranno voci contrarie, non vi è dubbio che il risultato auspicato dai promotori corrisponde al dettato costituzionale e all’esigenza della società odierna di eliminare ogni ostacolo a una reale parificazione tra i genitori. Dovrà essere poi ben ponderato il testo del regolamento attuativo per verificare che la possibilità di scelta del cognome sia effettiva e che, attesa la prevista facoltà per il figlio maggiorenne di aggiungere al proprio cognome quello della madre o del padre, tale scelta possa avvenire eliminando o minimizzando tuttavia i rischi di incertezza a danno dei terzi che sono connaturati a ogni modifica degli elementi identificativi della persona, senza inoltre dimenticare i rischi per la sicurezza nazionale. Non resta quindi che attendere l’esito dei lavori.


    2.3. Il riconoscimento delle unioni omosessuali, la disciplina delle unioni di fatto e la “step child adoption”.
    È attualmente in discussione al Senato il cosiddetto “DDL Cirinnà” (S. 14), che ha lo scopo di disciplinare le unioni formate da persone dello stesso sesso, nonché le unioni di fatto (sia omosessuali che eterosessuali). Il DDL è ancora all’esame del Senato e dunque è probabile che intervengano mutamenti anche significativi. Nel testo attuale, le unioni tra persone omosessuali – definite “unioni civili” – sono disciplinate mediante un puntuale rimando alle norme sul matrimonio. Di fatto, l’unione civile altro non sarebbe che un matrimonio con un diverso nomen juris. Peraltro, vi sarebbero due rilevanti differenze da tenere in conto: in primo luogo per le unioni civili sarebbe possibile accedere direttamente al “divorzio”, senza quindi la previa separazione; inoltre tali coppie non potrebbero accedere all’istituto dell’adozione di minori in difficoltà, salvo quanto si dirà infra. Tale impostazione è dibattuta, in quanto una parte del Senato – nel ritenere comunque imprescindibile la regolamentazione della fattispecie – non vorrebbe effettuare dei richiami alla disciplina del matrimonio, ma creare un istituto autonomo. In tal caso dovrà essere disciplinato con chiarezza l’aspetto che con ogni probabilità sarà il più problematico, ovvero quello economico nel caso di cessazione dell’unione civile.
    Il DDL ha poi lo scopo di attribuire alcuni effetti “automatici” alle cosiddette unioni di fatto, ovvero l’unione affettiva di una coppia, omosessuale o eterosessuale, che non voglia sposarsi o creare un’unione civile. Tali effetti sarebbero molto significativi, anche dal punto di vista economico. Basti pensare che la proposta richiama le norme sull’addebito della separazione, con diritto per il convivente cui non sia addebitabile la “separazione” di percepire un assegno di mantenimento per una durata proporzionale alla durata della convivenza, ovvero di ricevere i soli alimenti nel caso di “addebito” della “separazione”. Di fatto, i conviventi di fatto diverrebbero “coniugi a loro insaputa”. Si tratta evidentemente di temi amplissimi, che non possono essere qui trattati compiutamente. Basti dire che la volontà stessa di disciplinare le unioni di fatto – tanto più quando saranno istituite le unioni civili – non è oggi univoca in Parlamento, ed è dunque probabile che l’intero titolo del DDL a ciò dedicato sia espunto dal testo in esame.
    Rimane in discussione il tema della cosiddetta “step child adoption”, ovvero il riconoscimento del ruolo del nuovo compagno ovvero della nuova compagna nei confronti del figlio biologico del contraente l’unione civile ovvero in caso di secondo matrimonio. Sul punto sono finora emersi due distinti orientamenti: il primo, che vorrebbe disciplinare questo riconoscimento utilizzando l’istituto dell’adozione in casi particolari; l’altro, che per evitare ogni riferimento genitoriale, vorrebbe richiamare le norme sull’affido famigliare. Anche in questo caso la discussione è appena iniziata e dunque dovremo attendere di conoscere l’orientamento definitivo del legislatore. In ogni caso, sin da ora pare non ottimale l’approccio metodologico, ovvero il richiamo sic et simpliciter a un istituto (l’adozione in casi particolari ovvero l’affido famigliare) nato per scopi del tutto diversi. Probabilmente la soluzione migliore – trattandosi di disciplinare fattispecie del tutto nuove – sarebbe quella di creare un istituto nuovo, magari prendendo le mosse proprio dall’affido famigliare, ma con le necessarie puntualizzazioni. Inoltre, per evitare l’acuirsi di probabile conflittualità tra troppe figure genitoriali o para-genitoriali, sarebbe probabilmente il caso di consentire l’accesso a questo nuovo istituto solo nel caso in cui manchino uno o entrambi i genitori biologici.

    2.4. La “privatizzazione” del diritto di famiglia: i patti prematrimoniali e i contratti di convivenza.
    Un’altra tendenza evidente è quella della cosiddetta “privatizzazione” della giustizia e, in particolare, del diritto di famiglia. A fronte infatti di un sistema giudiziario globalmente non efficiente – basti pensare ai tempi non congrui dei procedimenti – e, soprattutto, non omogeneo nei risultati, da tempo esistono alcuni correttivi che tendono a evitare il più possibile il ricorso all’autorità giudiziaria, e ciò anche nell’ambito del diritto di famiglia. Del resto, la tipologia di procedimento scelta in prevalenza dai coniugi a fronte della crisi coniugale è quella consensuale: nel 2012 si sono concluse in questo modo l’85,4% delle separazioni e il 77,4% dei divorzi. Già questo elemento riflette una tendenza a risolvere i problemi “in casa”. Ma c’è di più. La negoziazione assistita, di cui s’è detto supra, accentua questa caratteristica e consente di pervenire, in caso di accordo, a separazioni e divorzi con il solo vaglio del procuratore della Repubblica e senza udienza, oppure direttamente davanti al Sindaco, senza alcun controllo dell’Autorità giudiziaria. Ancora, lo sviluppo dei contratti di convivenza, di cui s’è accennato in tema di unioni di fatto, porterà a una sempre maggiore autonomia privata delle parti su temi prima definiti indisponibili. In questo pare inevitabile che presto o tardi sia dato ingresso anche nel nostro ordinamento ai patti prematrimoniali, contratti molto diffusi negli USA e non solo, con cui le parti disciplinano prima del matrimonio l’evenienza della crisi familiare, specie ove esistano rilevanti patrimoni. Questa può essere la soluzione per evitare annose e dispendiosissime cause, ferma restando la necessità di tutelare le parti deboli. Sul punto è certamente opportuno che sia avviato un dibattito a tutti i livelli.

    2.5. Il diritto alle origini
    Con sentenza n. 278/2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la legge 184 (cfr. supra) sul diritto del minore a avere una famiglia, nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice di interpellare, con la massima riservatezza e su richiesta del figlio, la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del DPR 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. Ciò sulla scorta della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo la quale, con la sentenza del 25 settembre 2012 (Godelli contro Italia), ha dichiarato che sul punto la normativa italiana viola l’art. 8 della Convenzione, non adeguatamente bilanciando fra loro gli interessi delle parti contrapposte.

    È quindi attualmente in discussione alla Camera il DDL C. 784 nel quale si prevede la possibilità del minore adottato di venire a conoscenza delle sue origini, ossia dell’identità dei suoi genitori biologici. Nelle parole della relatrice On. Bossa: «Sono mediamente quattrocento ogni anno i bambini che nascono e che non vengono riconosciuti dalla madre […]. La donna ha diritto a un parto segreto e anonimo, e ha diritto di scegliere, entro dieci giorni dalla nascita, se riconoscere o meno il bambino. Si tratta di momenti drammatici per la vita di una donna: solo chi è madre può capire quanto profonda può essere tale lacerazione. […] Non si ritiene di mettere in discussione la possibilità per la donna di partorire in anonimato […]. Si chiede, però, che si trovi un sistema per tenere conto anche del diritto, e dello “strazio”, di un figlio non riconosciuto e adottato a ricostruire la sua storia. Quale potrebbe essere la soluzione? La presente proposta di legge […] prevede che il tribunale per i minorenni, valutata la richiesta di accesso ai documenti da parte dell’adottato, verifichi se la volontà della madre sia ancora attuale o se essa esprima il consenso al superamento dell’anonimato attraverso una “revoca del diniego”, alla luce delle mutate condizioni esistenziali». Secondo alcune anticipazioni giornalistiche, il DDL potrebbe essere approvato a breve dalla Camera ed entro l’anno dal Senato.

    2.6. Verso l’eliminazione della separazione? Considerazioni non conclusive.
    Questo excursus sulle riforme intervenute negli ultimi quarant’anni e sulle riforme all’orizzonte conferma quanto in premessa: pur animato da intenzioni lodevoli, il legislatore non ha inteso riformare organicamente la materia, ma solo introdurre degli aggiustamenti, senza considerare il quadro di insieme. Basti pensare alla separazione. È evidente che la scelta di ridurre sino a sei mesi il tempo di riflessione tra separazione e divorzio è frutto di un compromesso politico e rischia di far perdere il significato che la separazione aveva per il legislatore del 1975 e del 1987. L’impressione è che questa sia una norma ponte per pervenire all’abolizione della separazione come necessario passaggio prima del divorzio. Sarebbe un errore, ma se questa sarà la volontà del legislatore, non basterà un “rattoppo”, ma occorrerà un ripensamento dell’intera materia. È noto infatti che in Italia il divorzio è incolpevole, mentre la separazione può essere addebitata, e ciò ha delle rilevanti conseguenze economiche. La cancellazione della separazione tout court di fatto riporterebbe in vita in Italia una sorta di ripudio, il che è inaccettabile. Dunque, se divorzio diretto deve esserci, esso potrà riguardare unicamente le procedure consensuali, ovvero sarà necessario procedere a un globale ridisegno dell’addebitabilità della crisi familiare.

    Allo stesso modo è ormai imprescindibile una riforma organica dal punto di vista processuale. Da un lato – nonostante l’unificazione degli status – i procedimenti nell’interesse dei figli nati dentro o fuori dal matrimonio sono trattati da giudici diversi secondo riti diversi. Inoltre, tali riti sono troppo farraginosi (basti pensare alla memoria integrativa, all’udienza 183 c.p.c. e alla memoria ex art. 183, comma VI, n. 1) o rischiano di non garantire adeguatamente il diritto di difesa (procedimenti ex art. 316 bis c.c.).

    Tra l’altro, una riforma organica della giustizia non potrebbe prescindere da un adeguato finanziamento delle strutture dell’amministrazione pubblica. Quasi tutte le riforme supra citate sono leggi cosiddette “a costo zero”, che non comportano alcun onere per lo stato. Ma se la giustizia è il grande malato di questo Paese, le riforme a costo zero non potranno risolvere la situazione. Anzi, ove tali riforme creassero nuovi istituti senza accelerare i procedimenti, sarebbe concreto il rischio di ulteriori rallentamenti della macchina della giustizia.

    Come taluno ebbe a dire: non si può guarire un malato per decreto. Più che mai il lavoro di avvocato – specie per chi si occupa di diritto di famiglia – può essere svolto solo con vera passione civile e tendendo alla giustizia. È vero che l’avvocato difende una parte, ma è ugualmente vero che anche grazie alla passione e alla tenacia degli avvocati nel tempo la giurisprudenza e le leggi sono mutate e hanno via via riconosciuto l’uguaglianza dei coniugi e la tutela delle parti deboli.

    Non possiamo quindi che augurarci che il legislatore agisca con lungimiranza e secondo reali priorità.
    La morte significava ben poco per me. Era l'ultimo scherzo in una serie di pessimi scherzi. Charles Bukowski
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  2. #2
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    Predefinito Re: Diritto di famiglia: 40 anni di riforme

    Buona lettura @King Z. @pedro
    La morte significava ben poco per me. Era l'ultimo scherzo in una serie di pessimi scherzi. Charles Bukowski
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  3. #3
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    Predefinito Re: Diritto di famiglia: 40 anni di riforme

    Citazione Originariamente Scritto da foglia Visualizza Messaggio
    In particolare, sappia la donna che se ha dedicato tutta la vita alla famiglia, in caso di separazione vedrà con difficoltà riconosciuto il suo diritto a un equo contributo da parte del marito.
    Me pare er minimo, visto che fino a oggi l'equo contributo consisteva in casa + stipendio col marito che finiva a vivere in macchina.
    i saccenti del Dams che sparano minchiate abominevoli nelle quali il nesso di causa ed effetto viene distorto a beneficio del loro sapere di sapere

    Sostanze psicotrope ad azione psicodislettica che possono causare farmaco-dipendenza.

  4. #4
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    Predefinito Re: Diritto di famiglia: 40 anni di riforme

    Citazione Originariamente Scritto da pedro Visualizza Messaggio
    Me pare er minimo, visto che fino a oggi l'equo contributo consisteva in casa + stipendio col marito che finiva a vivere in macchina.
    Ma infatti, il padre deve potersene andare per la sua strada con tutti i soldi per rifarsi una vita, lasciando ex moglie e figli a rompere qualcun altro. Non si può certo pretendere che siano i padri ad occuparsene e chi se ne frega se i figli rinfoltiscono le file di braccia a disposizione della malavita o quelle davanti alla caritas, con le madri che diventano puttane, eventualmente anche a gratis. Anzi quest'ultima eventualià ha un valore sociale di solidarietà maschile, così gli uomini avranno sempre abbondanza di donne facili con cui divertirsi e non dovranno infestare i social e i forum con le lamentele per la penuria di fornitrici di sesso.
    La morte significava ben poco per me. Era l'ultimo scherzo in una serie di pessimi scherzi. Charles Bukowski
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  5. #5
    Eroe Faustiano
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    Predefinito Re: Diritto di famiglia: 40 anni di riforme

    Comunque io ti voglio bene @foglia
    i saccenti del Dams che sparano minchiate abominevoli nelle quali il nesso di causa ed effetto viene distorto a beneficio del loro sapere di sapere

    Sostanze psicotrope ad azione psicodislettica che possono causare farmaco-dipendenza.

  6. #6
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    Predefinito Re: Diritto di famiglia: 40 anni di riforme

    Citazione Originariamente Scritto da pedro Visualizza Messaggio
    Comunque io ti voglio bene @foglia
    Lo so @pedro.
    Anche io vedo la Verità e great minds think alike.
    La morte significava ben poco per me. Era l'ultimo scherzo in una serie di pessimi scherzi. Charles Bukowski
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  7. #7
    email non funzionante
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    Predefinito Re: Diritto di famiglia: 40 anni di riforme

    Citazione Originariamente Scritto da pedro Visualizza Messaggio
    Me pare er minimo, visto che fino a oggi l'equo contributo consisteva in casa + stipendio col marito che finiva a vivere in macchina.
    Il giusto indennizzo per avere scopato gratis.

 

 

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