Massimo Centini
GIARDINI MISTERIOSI
da Misteri d'Italia
Ispirato ALL'Hypnerotomachia Polyphili, ma anche a motivi tratti dai poemi cavaliereschi o dalla fiaba nordica, è il Sacro bosco di Bomarzo, nel Viterbese, che rappresenta una delle più stupefacenti creazioni della cultura cinquecentesca. Vicino Orsini, uomo d'arme, erudito umanista e poeta, ereditò la signoria di Bomarzo nel 1542 ed edificò il Sacro bosco a partire dal 1552. lavorandovi per oltre 30 anni e dedicandolo alla moglie Giulia Farnese, che morì in giovanissima età.
Accolti all'ingresso del bosco da due sfingi che fugano ogni dubbio sul carattere iniziatico del luogo (sulla base di una di esse è incisa quest'iscrizione: «Tu ch'entri qua pon mente / parte a parte / e dimmi poi se tante / maraviglie sien fatte per inganno o pur per arte»), il percorso serpeggia tra sentieri ove -di volta in volta - compaiono all'improvviso draghi, un cerbero, un'enorme tartaruga, l'elefante, sirene, un'orca, altri animali fantastici e misteriose costruzioni, evocatrici di simbologie alchemiche o caratteristiche della filosofia ermetica e neoplatonica del tempo. La "via" si conclude in un tempio con un corpo ottagonale sostenuto da 12 colonne, sormontato da una cupola e preceduto da un pronao sorretto da 16 colonne, che dovrebbe racchiudere i segreti dell'alchimia, raggiunti dall'uomo pienamente realizzato, consapevole di essersi conformato al proprio modello divino.
Il mistero è di casa in questo giardino: qui l'atmosfera è quella della fiaba, ma di certo alcuni scorci e antri possono essere utilizzati ad hoc per fare da scenografia ad un film horror. Eppure questo strano giardino non fu progettato per incutere paura, ma sostanzialmente per fare riflettere; uno spazio consacrato soprattutto alla filosofia dove il mistero è quello tipico che governa il nostro essere: chi siamo? Dove andiamo? Perché siamo? Questo parco, a differenza di quelli rinascimentali, non risulta scandito da prospettive e viali ordinati e simmetrici, ma si presenta con un impianto tearale, fatto di apparizioni, a volte seducenti, altre volte terrificanti, che si fondono con la morfologia dell'ambiente, creando un'osmosi in cui natura e simbolo si amalgamano indissolubilmente.
Senza dubbio, infatti, è molto condizionante l'ambiente circostante, in cui la natura si pone come una sorta di quinta tra gli uomini e quelle singolari strutture di pietra, che i muschi hanno in gran parte avvolto. Il centro del mistero del "Parco dei mostri" è costituito dall'enorme testa di in orco, impietrita in un urlo che, con geniale tecnica costruttiva, ha consento di trasformare la bocca in accesso ad una piccola grotta, che dall'esterno pare evocare il mondus romano, il luogo degli spiriti. Divinità e semidivinità, ed eroi del mondo classico costellano il parco di Bomarzo, offrendo al visitatore l'occasione per stupirsi, ma, nello stesso tempo, l'osservatore più attento percepisce che, alla base della fantasia dell'Orsini, vi doveva essere un disegno preordinato, forse un progetto ermetico che ancora oggi non è stato risolto.
Ecco che, allora, questo luogo delle meraviglie potrebbe divenire una sorta di itinerario da leggere in chiave esoterica, quasi un percorso iniziatico accessibile solo da chi intenda veramente andare oltre l'apparenza, per cogliere sfumature simboliche ignorate dalla maggioranza. Senza dubbio il nobile progettista di questo strano posto, uomo d'armi ma anche letterato, ha inteso dare forma ad un luogo di passeggio e di meditazione: come effettivamente appare dalle numerose iscrizioni sulle panche presenti lungo l'itinerario. Esiste quindi la possibilità che Vicino Orsini abbia voluto trasferire in questo strano giardino, frutto dell'incontro tra arte e ambiente naturale, una sorta di trattato che aveva come referente primario il linguaggio dell'ermetismo, impegnato nella trasformazione dell'uomo, nel tentativo instancabile di porlo davanti alle immagini che scaturiscono dalla visione e dal sogno, alimentando paure e credenze. Il risultato è davanti agli occhi di tutti, ma proposto in modo tale da essere accessibile solo a chi intenda veramente conoscere, lasciandosi trascinare nel dedalo della filosofia.
Ogni figura proposta trova un collegamento letterario: da Dante a Pulci, dall'Ariosto al Tasso. Il ruolo di questo parco misterioso, che estremizza l'ambiente allegorico del giardino rinascimentale, è quindi quello di costringere il visitatore a continue riflessioni, ad una impegnativa valutazione dello spazio in cui vive, al fine di creare una simbiosi costante tra uomo e ambiente, tra creatura evoluta e natura, nelle sue rappresentazioni e allegorie. Il motto degli Orsini era «Conosci e vinci te stesso»: senza dubbio l'acuto Vicino ha voluto trasferire, sul piano della raffigurazione, una definizione che ha governato per molto tempo gli atteggiamenti della sua famiglia nei confronti della realtà oggettiva e forse del mistero che ci circonda tutti. Sempre.
L'itinerario suggerito dal Parco dei mostri si snoda all'interno di una verde conca adagiata ai piedi dell'altura sulla quale è posta la città di Bomarzo: il percorso ha senza dubbio il potere di produrre una buona dose di inquietudine, che costringe anche il visitatore più distratto a guardarsi intorno con un po' di sospetto.
Probabilmente l'Orsini voleva dare ai visitatori un immediato senso di stranezza, o forse stimolare la gente ad osservare il mondo da un originale punto di vista, infrangendo regole e luoghi comuni.
Senza dubbio ci è riuscito con il rincorrersi di figure allegoriche, di animali colmi di mistero, almeno per l'epoca, come la tartaruga e l'elefante. Non mancano poi figure mostruose come Cerbero, un drago che divora altre creature e leoni-furia che, malgrado abbiano subito gli attacchi del tempo, continuano, dopo oltre 450 anni, ad essere capaci di produrre una notevole aura di mistero.
Alla fine del viaggio, il visitatore ritorna alla realtà con il proprio bagaglio di suggestioni e certamente non privo di domande a cui, spesso, è difficile trovare una risposta. Forse bisognerebbe conoscere qualcosa in più su quel misterioso Vicino Orsini, che si disegnò una per una le varie figure presenti nel suo parco avvalendosi di forme mostruose per cercare di riportare su piano della realtà un mondo interiore nel quale non erano assenti incubi e visioni. Non sapremo mai che cosa spinse un nobile del XVI secolo a costruire quell'universo parallelo, criptico e in effetti un po' inquietante, mentre in Europa molti altri ricchi possidenti erano impegnati a dare al giardino una fisionomia di tutt'altro tenore, sostanzialmente basata sull'enfatizzazione e sulla volontà di far convivere natura e scultura in un'armoniosa simbiosi Qui si è verificato un processo contrario: a prevalere su tutto sono stati l'incubo e il mostruoso, il mito più crudo e potente sulla dolcezza delle forme e sulla limpidezza del paesaggio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ma il significato no. E forse sta proprio in questa impenetrabilità il mistero profondo del Parco dei mostri. Fino a oggi, nessuno è riuscito a stabilire concretamente "che cosa voleva dire" il nobile Orsini: le ipotesi non mancano, ma le prove non ci sono e così questo strano luogo di titani, animali e creature impossibili, continua ad offrirci interrogativi e qualche inquietudine.
Massimo Centini, Misteri d'Italia (Newton Compton editori, pag. 176 e seguenti)