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    Predefinito Il "Parco dei mostri" di Bomarzo

    IL PARCO DEI MOSTRI DI BOMARZO
    di Gianni Pittiglio

    A pochi chilometri da Roma, sulla via Cassia, alle falde del Monte Cimino, sorge Bomarzo (Viterbo), antico centro etrusco (Polimartium) dominato dal cinquecentesco Palazzo Orsini opera del Vignola.
    All’interno del grande parco prende vita il cosiddetto “sacro bosco” dalle stravaganti statue colossali, commissionato nel 1552 dal principe Pier Francesco Orsini, detto Vicino, a Pirro Ligorio, per l’amore nei confronti della moglie Giulia Farnese.
    E’ seguito un lungo oblio durato fino al XX secolo quando, dal 1954, prima Tina Severi Bettini e quindi suo marito Giovanni Bettini lo hanno gestito e riportato in buone condizioni, rendendolo fruibile al pubblico che qui approda da ogni parte del mondo per ammirare un’opera unica nel suo genere.
    Le sculture di Bomarzo sono dislocate in un percorso all’interno del giardino che si rivela come una wunderkammer all’aperto. Tutte, probabilmente, all’origine si collegavano ad un unico discorso organico che coinvolgeva la personalità di Giulia Farnese e di Pier Francesco Orsini.
    Molti giardini cinquecenteschi si fondavano sul teatro che era una fonte primaria di ispirazione: architetture scenografiche, colpi di scena, prospettive. Tutti questi elementi spiccano anche a Bomarzo, dove, però, in luogo della prospettiva unificata rinascimentale viene preferita la veduta per stazioni propria della processione medievale.


    Il Sacro Bosco

    L’ingresso al giardino di Bomarzo è costituito da una semplice porta merlata, unica “normalità” tra le bizzarrie formali che introduce. Chiaro il senso di una scelta di questo tipo: il visitatore, ignaro di cosa lo aspetta non deve presagire nulla. Varcata quella soglia ogni criterio razionale viene messo in scacco lasciando via libera alla fantasia più sfrenata. Ci si trova così di fronte a sfingi, elefanti, divinità classiche, giganti, draghi, orchi.
    Splendido il gruppo di “Ercole e Caco” con l’eroe che viene colto nell’atto di squartare il figlio di Vulcano, reo di avergli rubato due tori, prendendolo dalle gambe. Un gesto terribile che segna la vittoria del bene sul male, della virtù sulla frode.
    Poco più avanti in una piccola valle si vede una tartaruga che trasporta una donna in piedi su una sfera. La donna ha i caratteri di una vittoria alata. Ancora più in basso è posto un masso rappresentante una balena a fauci spalancate pronta ad inghiottire la preda. Lì vicino Pegaso pronto a spiccare il volo. Il tutto è riconducibile ad una rappresentazione astrologica: sotto il ciglio del torrente, che rappresenta la divisione tra i due emisferi, figura la costellazione della Balena, e a suo riscontro, nel nostro emisfero, fra essa e i Pesci, appare la piccola costellazione della Tartaruga. Il celebre poeta Manilio nel suo “Astronomica” del I secolo d.C. scrive: «Quando, sorti i Pesci, il loro ventunesimo grado, sull'orizzonte illumina la Terra, Pégaso si inclina, volando al cielo» (V,628-630).
    Per quanto riguarda altre sculture legate alla cultura classica, qua e là compaiono Nettuno, Venere, Cerere, Proserpina, il mascherone con Giove Ammone, le tre Grazie, Cerbero, una Ninfa dormiente, Echidna e una delle Furie.
    Le statue che meglio danno il senso della diversità di questo parco sono quelle che secondo l’immaginario collettivo appartengono alla tradizione fantastica. Su tutti la testa a bocca aperta dell’Orco, gigantesca e con all’interno un intero tavolo da banchetto; ma ancora un Drago che combatte contro un cane, un leone ed un lupo.
    Di grande effetto il mastodontico Elefante sormontato da una torre e con un legionario stretto nella proboscide: secondo Pirro Ligorio l’elefante è animale che “discerne il bene dal male”. Allo stesso tempo per gli antichi è l’incarnazione dell’eternità: la sua presenza nel parco è ulteriore conferma della volontà di superare i limiti della morte terrena.
    Da simbologie così elevate si passa di colpo all’ennesimo gioco che contrappone realtà a finzione: componente teatrale che è dominante nelle stravaganze manieristiche. In una radura trova spazio un’intera architettura di fantasia realizzata: una casa pendente, nata così per lasciare di stucco il visitatore, in cui è possibile passeggiare con ovvi problemi di equilibrio.
    Tutto ciò che sorprende e meraviglia è a Bomarzo, secondo un dettame tradizionalmente legato a G.B. Marino, ma evidentemente in voga sin dal Rinascimento.
    Non manca il fattore encomiastico legato agli emblemi familiari: in un angolo del giardino sono posti su dei piedistalli due piccoli orsi (=orsini) che reggono tra le zampe la rosa romana e lo stemma Orsini. C’è, inoltre, chi ha visto nel Pegaso scolpito nei pressi della grande Tartaruga la volontà di celebrare l’unicorno dell’emblema Farnese cui apparteneva Giulia, moglie del principe.
    La visita al parco si chiude con il Tempio dedicato a Giulia Farnese: un edificio classico, senza particolari bizzarrie formali. L’aula del tempio, sormontata da una cupola, è introdotta da un pronao a quattro file di colonne, chiuse in alto da un timpano interrotto centralmente da un arco. L’aula e la cupola, che Vicino Orsini paragonava a quella di S. Maria del Fiore, sono di forma ottagonale. Tale struttura rimanda alla simbologia resurrezionale: il tempio, infatti, venne edificato alla morte di Giulia Farnese.
    Per chi volesse approfondire il tema delle interpretazioni delle singole sculture del parco segnaliamo lo scritto dello studioso tedesco H. Bredekamp (“Vicino Orsini e il Sacro Bosco di Bomarzo”, Roma 1989).


    Stravaganze e capricci

    Il giardino di Bomarzo nasce come Villa delle meraviglie a ridosso del paese in cui risiedeva il Principe Orsini. L’ambito culturale in cui se ne concepisce la realizzazione è connesso a quella tendenza verso il fantastico che caratterizza il Manierismo. Sono questi gli anni in cui sono in voga le stravaganze più ardite che fanno infuriare i classicisti inorriditi da tante “licenziosità”.
    In architettura sorgono giardini che sono vere e proprie sfide tra la natura e l’arte: Boboli a Firenze, Palazzo Farnese a Caprarola, per citarne solo due tra i più famosi, presentano grotte finte che nascondono l’artificio fatto di tubi e di stalattiti trasportate. Ma a questo periodo risalgono anche Palazzo Te a Mantova, Pratolino a Firenze, Villa Giulia a Roma, Villa d’Este a Tivoli, celebri esempi di residenze estive caratterizzate da fontane con giochi d’acqua, labirinti, congegni semoventi, ecc.
    Il mondo mostruoso gioca un ruolo di primo piano all’interno di questa tendenza generalizzata, e, come ha notato Pinelli (“La bella maniera”, Torino, 1993), entra persino nelle città. Alla forma, basilare fino ad allora, si contrappone il concetto di metamorfosi con le opere di Ammannati e Buontalenti a Firenze; degli Zuccari a Roma a Palazzo Zuccari; Sebastiano Serlio idea addirittura un ordine “bestiale”. Il fenomeno viene avvertito anche in altre nazioni: in Spagna si parla si “estilo monstruoso” nel nord-Europa di “rollwerk” o “beschlagwerk”.
    Tali follie artistiche si riscontrano anche in pittura: ha grande successo un pittore come l’Arcimboldo che dipinge raffigurazioni con ortaggi e frutti a sostituzione dei tratti somatici, ma, soprattutto, dominano le decorazioni a grottesca riprese dalle pitture nella Domus Aurea. Amate da Montaigne, che le ammira per la libertà da ogni tipo di regola, tali ornamenti sono allo stesso tempo avversate da Vasari che le definisce “una spezie di pittura licenziose e ridicole molto”. Chiunque le affonti nei numerosi trtattati dell’epoca non può fare a meno di considerarle pitture oniriche, per Daniele Barbaro “picturae somnium” (1556), per G.B. Armenini “chimere” (1586).
    Anche Pirro Ligorio, l’artista a cui si deve il Parco dei Mostri di Bomarzo, è molto attratto dalle grottesche e da tutto ciò che appare terribile e capriccioso. Ciò che affascina Ligorio, però, è la possibilità di dare un senso a quel che sembra completamente irrazionale. Una specie di logica che studiosi come Chastel hanno ricollegato ai geroglifici: un sistema di segni densi di significato.
    Pirro Ligorio è un architetto di grande fama nella seconda metà del ‘500: a lui viene affidata la direzione dei lavori vaticani dopo la morte di Michelangelo, e frutto della sua arte è la bellissima “Casina di Pio IV” che sorge nei giardini vaticani, nata per Paolo IV Carafa nel 1558 e decorata tre anni dopo sotto il papa Medici.
    Anche qui, come a Bomarzo, alla base del progetto è il gioco intellettuale che fonde elementi della cultura classica, temi astrologici, valenze simboliche molto complesse.

    Dal sito ARTE.IT il motore di ricerca dell'arte | Nexta
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  2. #2
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    Il soldato-poeta-sognatore Vicino Orsini, che costruì il suo parco delle meraviglie nel 1550, ruppe tutte le regole dell'arte del tempo. Realizzò di proposito un'attrazione bizzarra e insolita per stupire gli ospiti e, come disse egli stesso, "per dare respiro al suo cuore". Creò, quattro secoli fa, un parco d'arte surreale, "straordinario e sovrannaturale", com'era suo desiderio.

    Quei mostri che si affacciavano fra le erbacce spaventavano la gente del posto. Sembrava che il parco fosse abitato da strani spiriti e la gente di Bomarzo cominciò a chiamare il bosco sacro "parco dei mostri". Se il bosco era sacro, le statue apparivano (e appaiono) come divinità pagane in una sorta di strana chiesa. Le enormi sculture di pietra all'inizio scioccavano i visitatori proprio per la loro dimensione. Perché sono dei veri giganti, giganti comparati alla natura che li circonda, che sembra piccola e insignificante. E così il visitatore viene disorientato da questa sproporzione e il parco risulta finto e terribile allo stesso tempo. Orsini stava solo giocando con i suoi ospiti? Dove finisce l'inganno e dove comincia l'arte? O, forse, l'arte e l'inganno sono la stessa cosa? Oltre quattrocento anni fa Orsini fece un'inscrizione su una sfinge all'entrata del parco: Voi che entrate qui, considerate ciò che vedete e poi ditemi se tante meraviglie sono fatte per l'inganno o per l'arte.

    Il sacro bosco di Bomarzo fu concepito come la nuova meraviglia del mondo, così eccezionale che nessuna cosa al mondo gli assomigliasse. Era, ed è, unico. Oggi viene chiamato "parco dei mostri" ma il suo nome originale forse rimane più appropriato, perché è veramente un "parco delle meraviglie". Ma, dopo la morte di Orsini, il parco e il suo "bosco sacro", come egli chiamava quella macchia di alberi sulla collina di Bomarzo, caddero in stato di abbandono. Per oltre trecento anni quelle meraviglie vennero trascurate e riposarono in silenzio. Erba e erbacce coprirono i mostri dell'Orsini. Ma questi non si mossero e dormirono. E aspettarono. Aspettarono di essere scoperti nel 1938 dal pittore spagnolo surrealista Salvador Dalì che definì il parco di Bomarzo una vera fantasmagoria proiettata nella realtà. Ma anche dopo la riscoperta di Dalì il parco è rimasto nell'oblio fino agli anni recenti. Fino al 1953, quando Giovanni Bettini, un amante dell'arte locale con una visione sul futuro, comprò l'intero parco e iniziò un attento restauro.

    Sorprendentemente le statue sono in buono stato nonostante i lunghi secoli di attesa e abbandono. I mostri sono sopravvissuti in silenzio sotto la copertura di erbe e erbacce e sotto i temporali che spesso si abbattono su questa aspra collina. Bomarzo siede là sulla sua collina e guarda in basso, a quello che succede nel bosco sacro. Bomarzo, scura e misteriosa. Niente ristoranti né alberghi, solo un bar e molte persone anziane. È un mondo a parte, forse proibitivo, esclusivo.


  3. #3
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    Predefinito Bomarzo: percorso iniziatico o paradiso manierista?

    Pier Francesco Orsini era certamente un personaggio singolare. Ed era quasi commovente il suo amore per il Parco, amore che, con il passare degli anni, si faceva sempre più tenace ed esclusivo, tanto che vi si recava ogni giorno e con qualunque tempo, percorrendone i sentieri a piedi o in sella a Ragazzino, il suo cavallo preferito. "… Non mi resta altro refrigerio se non per il mio boschetto - scriveva nel 1579 – et benedico quelli denari che vi ho spesi et spendo tuttavia."

    Non si conosce il motivo per cui fu costruito il Parco. E' possibile che il Principe Orsini volesse semplicemente dar vita a un bizzarro, gigantesco palcoscenico fatto di animali fantastici, eroi e mostri di pietra. Eruditi, storici e filologi hanno fatto diversi tentativi di spiegare quel labirinto di simboli, ma uno schema interpretativo universale ancora non è stato trovato e il mistero rimane. Non mancano gli studiosi (da Pieyre de Mandiargues a Elémire Zolla a Horst Bredekamp) che hanno riscontrato in quegli enigmi di pietra testimonianze incontrovertibili di messaggi esoterici e alchemici, un vero e proprio percorso iniziatico, tanto che il Sacro Bosco può forse essere collocato tra le dimore filosofali care a Fulcanelli.

  4. #4
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    L'ITINERARIO INIZIATICO DEL "SACRO BOSCO"


    All'ingresso del Parco di Bomarzo una scritta attende il visitatore:"Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte e stupende venite qua ove tutto vi parla d'amore e d'arte". Questa introduce in quella che alcuni considerano una tra le più sconcertanti dimore filosofali care a Fulcanelli.

    Delimitando uno spazio sacro in cui tutto concorra ad avvolgere il visitatore in un "altrove" indecifrabile, questo insieme in cui la vegetazione lussureggiante contende lo spazio alle stravaganze delle sculture precipita l'animo in uno stato di estrema concentrazione, specchio in cui si riflettono le forme, prodigiose e mostruosamente barocche al tempo stesso, di un universo mentale che l'uomo moderno tende a dimenticare. E' questa valletta ombrosa, disseminata di rocce enormi, paragonabili alle ossa pietrificate di qualche gigante dell'antichità, che il duca Vicino Orsini scelse per costruire lo scenario onirico del "mostruoso gregge di Bomarzo". Il poeta Annibale Caro, in alcune sue lettere datate 1564, parla già di questo parco quanto mai strano, che, a tutt'oggi, resta circondato da una spessa coltre di mistero. Si può accedere al Sacro Bosco di Bomarzo solo servendosi di un facile sentiero d'ingresso, che sbocca quasi subito accanto a un piccolo tempio "all'antica" invaso dall'erba…




    Il basamento, sommerso dalla verzura, si slancia in un elegante portico bizzarramente inclinato come una nave nella tempesta. Eccoci giunti sul limitare del santuario: dopo aver varcato la soglia della cella ottagonale in cui si compirà il mistero dell'arte regale, cioè la realizzazione dello scopo cui l'alchimista dedica la vita: non, banalmente, la trasformazione del piombo in oro, ma la trasmutazione della materialità in spiritualità. Un occhio allenato osserverà sulla volta un simbolo solare raffigurato sotto la forma scolpita di una fenice dalle ali spiegate, 'firma' segreta e persistente dei discepoli di Ermes. Quest'ultimo infatti, dio greco della parola e messaggero di Zeus, venne assunto dai filosofi ermetici come simbolo di colui che è depositario della conoscenza divina. Essi si considerarono pertanto suoi continuatori in quanto dediti alla ricerca di una sapienza antica, tramandata oralmente: un patrimonio che, se conosciuto e adoperato correttamente, può riportare l'uomo alla purezza dell'Eden. Sollevato il velo, non ci resta che leggere nel "libro di pietra" e tentare di decifrare il rebus proposto alla meditazione del visitatore solitario, seguendo il cammino un tempo riservato al neofita che aspirava alla scoperta di quei misteri comprensibili solo agli iniziati. All'interno del "giardino recintato" si trova il "guardiano della soglia": un cerbero. Le sue tre teste guardano in ogni senso, due bocche sono chiuse, la terza è spalancata e pronta a mordere.




    Proseguendo nel cammino, si passa, scendendo per una scala di pietra dai gradini consumati dal tempo, a uno spazio quadrangolare di imponenti dimensioni, un pianoro perfettamente vuoto delimitato solo da una decorazione di grosse pigne alternate a ghiande tagliate in una roccia di peperino vulcanico. I frutti dell'abbondanza che arricchiscono questo luogo privo di sculture sono il simbolo della ricchezza spirituale e, nel contempo, promessa continua di nascita, crescita, declino, morte e poi di rinascita, proprio come il seme di una pianta, piantato in terra dopo la sua caduta dal frutto imputridito, rigenera una nuova vita rigogliosa e provvida di frutti. «La vita in ibernazione conserva il "fuoco segreto" e noi raccoglieremo ciò che avremo seminato».




    Continuando il cammino, ci si trova di fronte a due orse di pietra, ritte sulle zampe posteriori. Una tiene tra le unghie una grossa rosa di peperino e l'altra le insegne della nobile casata degli Orsini. Non occorre essere maghi per comprendere che l'ordine degli Ursidi e stato scelto come emblema dai duchi romani in conseguenza dell'omofonia esistente tra i due nomi. Ma l'identificazione va ben oltre se si pensa che l'orso è l'animale polare, il simbolo del centro per eccellenza: il nome di re Artù, secondo la maggior parte degli autori, deriverebbe dal celtico arthos, che significa orso, e sarebbe il simbolo dell'orso artico, collocato dai Celti, come da tutti i popoli discendenti dalla tradizione primordiale, nel mezzo della volta celeste, nella costellazione in cui brilla la stella polare, chiamata appunto Piccola Orsa. Se gli Orsini assunsero la rosa come simbolo della conoscenza segreta (sub rosa) e gli orsi del loro giardino come quello delle due costellazioni del Carro di Artù (l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore), non sussiste alcun dubbio sulla loro iniziazione agli arcani più profondi dell'ermetismo e la loro speranza in una futura restaurazione saturniana dell'età dell'oro.




    Dopo aver oltrepassato le due belve appostate come immobili guardiani al limitare del pianoro, si penetra, scostando il fogliame, nell'angolo segreto del parco che ha per sfondo uno scenario silvestre. Qui, una sorta di sperone roccioso che segue il pendio del terreno fa arrestare il visitatore. A sinistra sta un gruppo formato da due leoni, accompagnati da un cucciolo che sembra molestarli, e dalla statua di una sirena dal sorriso enigmatico e dal corpo grazioso che termina in una coda di pesce squamosa e bifida; a destra, un'altra figura femminile dalla stessa natura composita guarda verso oriente: dal corpo mutilato escono due ali membranose da pipistrello e una coda serpentina da mostro marino.




    I due leoni che stanno accanto alla sirena sono i due simboli alchemici del 'fisso' e del 'volatile' e riassumono la formula secondo la quale occorre «dare un corpo allo spirito e rendere spirituale il corpo» nella successione del solve et coagula. Ciascuno guarda in direzione opposta: uno è attirato dall'aria, l'altro dall'acqua, elementi che non possono essere affrontati contemporaneamente senza trovarsi in grave pericolo. Passando con circospezione tra queste sculture che non degnano di un'occhiata chi le osserva, e non senza aver sentito il bisogno di un contatto con questi dorsi muschiosi e gelidi, ci si trova sotto le fresche ombre di una volta verdeggiante, per gustare una pausa di riposo ascoltando il placido mormorio del ruscello. Poi, scendendo la china che sbocca in fondo alla valletta, si giunge in una zona di oscurità sempre più profonda. Un sentiero si dirige verso il ciglio di una cascata che si apre la strada con difficoltà in mezzo a rocce enormi, tra le quali si può scorgere la forma lontana del Castello.


    Da ITALIA MISTERIOSA, a cura di Peter Kolosimo (EDIPEM, Novara)

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  5. #5
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    Predefinito Rif: Il "Parco dei mostri" di Bomarzo

    Ricordo che era chiamato sacro o terribile bosco. Sacro e terribile sono parole dall'etimo molto simile, il sacro è di per se terribile dato che nasconde verità profonde e indicibili e questo luogo è colmo di sapienza ermetica arcaica ricondotta a simbologie originali e innovative di concetti eterni. Il sacro è terribile e questi luogo (come il santuario di Monte Sant'Angelo del Gargano dove chi scende nella grotta può leggere: questo luogo è terribile) è assimilamile a molti altri.

  6. #6
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    Predefinito

    L'impressione che suscita questo luogo, chiuso da una muraglia crollata, è solenne. Nel muro si apre una grotta che ospita una giovane donna col corpo avvolto in una tunica: tiene in mano una conchiglia, da dove sgorga l'acqua che riempie la vasca a forma di grifone scolpita ai suoi piedi. Questo animale salvatore, secondo Charbonneau-Lassay, può anche, nel suo aspetto terribile, trasformarsi in un'arpia, che distrugge i disprezzabili beni materiali.






    Proseguendo sulla spianata, si resta perplessi scorgendo una casa che sembra essere stata costruita da un pazzo. L'edificio è a ridosso della collinetta, che oltrepassa in altezza solo di un piano. Ma il suo aspetto assurdo deriva dall'inclinazione, che la rende assolutamente inabitabile. Questa casa, quasi completamente priva di ornamenti, dà un senso di malessere. E' la casa della Fortuna, dove non bisogna cercare né rifugio né riposo: chi, per sfuggire alle intemperie, volesse ripararsi entrando nelle due stanze della casa stessa ne porterebbe le conseguenze. In effetti, appena varcata la soglia di questa strana dimora dalle mura oblique, si è come ghermiti da un pavimento in pendenza, che sfugge sotto i piedi: si è vicini alle vertigini. Si può veramente dire che questa casa si ispira a una conoscenza occulta: decisamente, il Parco dei Mostri di Bomarzo è pervaso dalla "grande tradizione".




    Che significato ha, dunque, questo edificio dall'angolazione così particolare?
    Nella casa dai muri obliqui, lo spirito è preso dalla nausea: istintivamente, il visitatore resta sgomento. Questa "casa delle streghe" avrebbe potuto ispirare Lovecraft, che scrisse una novella con lo stesso titolo. Appena si penetra all'interno, gli occhi cercano il cielo, trovando conforto nella vista delle colline all'orizzonte, visibili attraverso la finestra. Questo edificio dalla misteriosa inclinazione, vero tesseract del XVI secolo (il tesseract è la rappresentazione tridimensionale di un oggetto a quattro dimensioni), ammonisce a non restare a lungo nella casa della Fama o della Fortuna. In effetti, la casa storta ricorda l'intrusione nel nostro universo tridimensionale di un oggetto costruito in un altro universo a più dimensioni, come le scale al contrario della città dei saggi di Borges. Poiché entrandovi l'unico modo per non cedere alla vertigine è quello di guardare il cielo fuori dalla finestra, essa mette in guardia dalla troppa fiducia nella fortuna, che è ingannatrice e instabile: sfugge sotto i piedi come i pavimenti della casa-trappola da cui ci si salva solo tenendo lo sguardo fisso verso 'l'alto'.

    Per una ripida salita si accede, poi, al piano superiore della casa, situato al livello della collina. All'interno c'è un camino: ci si chiede quale fuoco, perpendicolare al pavimento, uscirà da questo focolare, aggravando la nausea del visitatore intirizzito, invece di ristorarlo. Questa fiamma male orientata ha troppa fretta di salire al cielo, come l'impaziente che volge sempre lo sguardo verso il mondo della Fortuna, aspettando che piova la "manna" dal cielo. Si è compiuto il passaggio dal regno orizzontale dell'acqua al regno verticale del fuoco.



    Da ITALIA MISTERIOSA, a cura di Peter Kolosimo (EDIPEM, Novara)
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  7. #7
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    Nel Parco di Bomarzo occorre analizzare con cura tutti gli elementi per penetrare a fondo il segreto dei mostri effigiati nella pietra. Alla svolta di un sentiero compare la scultura enorme della 'Morte divorante', una figura ben nota a tutti coloro che hanno una certa familiarità con l'alchimia: è il pericolo che minaccia l'uomo giunto alla fase conclusiva dell'Opera. Il terribile simbolo è là, la grande bocca spalancata e pronta a mordere, la fisionomia contratta.


    È la rappresentazione simbolica della perdita dell'Io, dell'oblio del proprio bagaglio di conoscenza autocosciente. Per contrasto, le sue linee si ornano di un elegante fregio di farfalle dalle ali disseminate di aureole, paragonabili a simboli della resurrezione legata al Sole. Sul capo, imponente, è posta una sfera (simbolo solare) che nella parte inferiore presenta delle bande color pietra alternate a bande rosse, avvolte a spirale per dare l'idea della rotazione. Sulla parte superiore della sfera poggia una torre squadrata, che ricorda le strutture architettoniche dei coperchi delle tombe etrusche. Il tempo che corre ha il volto della 'Morte divorante': su questa, tuttavia, si innalza lo Spirito (il Sole) e ancora al di sopra la torre della Sapienza, che costituisce il punto fermo in seno al moto perpetuo.


    Si procede, poi, piegando a destra e scendendo ancora più in giù, a costeggiare il ruscello che serpeggia tra i cespugli. In un angolo rinfrescato da una cascata, ci si trova di fronte a due statue dall'aspetto rozzo e minaccioso: un gigante che violenta, squartandola, una donna col corpo rovesciato, a testa in giù. «L'azione», commenta André Pieyre de Mandiargues (Les monstres de Bomarzo, 1957), «nella sua brutalità semplicemente impietosa, impone agli occhi di fermarsi. Se qualcuno volesse dare una rappresentazione concreta a certi traviamenti dei sensi e dello spirito che si sono spesso impadroniti degli uomini, non potrebbe trovare nulla di meglio di questo gruppo colossale scolpito nella roccia e sperduto in un boschetto verdeggiante». Il gigante si appoggia a un'armatura completa di stile romano, costituita da una corazza la quale porta impressa una testa di Medusa, che ricorda l'armatura di Agamennone nell'Iliade, completata dai gambali, da una spada e da un elmo col cimiero a forma di rosa a cinque petali (simbolo del libero arbitrio).





    L'iscrizione sulla roccia, in parte cancellata da licheni color vinaccia, dice: «Se Rodi fu già del suo colosso pur di questo il mio bosco anco si gloria ed per più nun poter fo quanto posso», a dimostrazione della grandiosità dell'opera. Il significato profondo di questo insieme titanico può sviare. Occorre allora ricordare il passo del De Amore di Marsilio Ficino, in cui l'autore dice che il logos divide l'anima in due e che, prima di assumere un corpo mortale, gli uomini avevano due volti che permettevano loro di contemplare con la stessa conoscenza il mondo materiale e il mondo spirituale. Ma, entrata l'anima nella carne, «i due volti furono divisi e ne rimase uno solo, il quale, ogni volta che la testa si volgeva verso il mondo sensibile, non era più in grado di vedere l'altra metà». Il gruppo massiccio e ripugnante racconta così l'orrore primordiale della caduta dell'anima nel corpo, quando il logos, il gigante, ve la fece precipitare dall'alto, dividendola in due.


    Da ITALIA MISTERIOSA, a cura di Peter Kolosimo (EDIPEM, Novara)
    continua...


    Aggiungo che non mancano letture diametralmente opposte nell'identificazione dei due personaggi. Per esempio, Giovanni Bettini, attuale proprietario del parco, sulla scorta di un'epigrafe irrimediabilmente illeggibile (TIR GIGANTE…SCEMPIO… ANGLANTE), vede nel gruppo scultoreo l'epica lotta tra Ercole e Caco: «Se fissate bene il vostro sguardo su Ercole, noterete nell'espressione serena che non è il "bruto"; il gesto, sì, può essere implacabile, ma l'intenzione è morale, è l'atto di un eroe che trionfa sul male».

  8. #8
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    Predefinito Rif: Il "Parco dei mostri" di Bomarzo

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 13-10-12 alle 23:53

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    Predefinito Il Parco dei Mostri di Bomarzo

    IL PARCO DEI MOSTRI DI BOMARZO


    "Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder maraviglie alte et stupende,
    venite qua, dove son faccie horrende elefanti, leoni, orsi e draghi"



    Luogo magico e misterioso sorto nella tenuta del Principe Orsini (1552). Dopo secoli di abbandono è stato restaurato ed aperto
    al pubblico.

    Figure in pietra inquietanti riposano all'ombra del parco,
    muti testimoni di un passato sfarzoso e principesco che
    non c'è più.
    Varcare le soglie di questo giardino incantato è come
    intraprendere un viaggio in un mondo a parte, fatto di
    quiete e immagini oniriche.
    Ecco apparire elefanti, draghi, orchi dalla bocca spalancata,
    animali a tre teste, dei dell'olimpo, una casa pendente, il
    corpo adagiato di una donna nel suo eterno sonno.
    Luogo di ispirazione per molti artisti continua ancora oggi
    ad attirare turisti e poeti, che giungono da ogni parte del
    mondo, per ammirare il fascino della sua bellezza suggestiva.

    Parco dei mostri di Bomarzo - Lazio - foto - parco Bomarzo - XVI secolo (1552) Principe Vicino Orsini - Lazio



    INFORMAZIONI UTILI

    Il parco è aperto tutti i giorni
    con orario continuato dalle 8,00 al tramonto.
    Località Giardino - Bomarzo - Lazio
    Biglietto ingresso euro 9,00
    Bambini euro 7,00
    Gruppi minimo 30 persone euro 7,00
    Scuole euro 5,50
    Per info Tel-Fax: 0761924029


    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 21-04-11 alle 23:28
    "Sarebbe anche simpatico, se non fosse nazista!" (Malandrina) :gluglu:


    "Al di là dell'approvazione o disapprovazione altrui!" :gluglu:

  10. #10
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    Predefinito Rif: Il Parco dei Mostri di Bomarzo

    Bomarzo - La Venere dei Cimini


    Questa scultura rappresenta una Venere che nasce da una conchiglia come quella del Botticelli, ma l'unica somiglianza resta quella.
    Come molte opere del Parco di Bomarzo, dove le interpretazioni dei posteri si è divisa, circa questa opera sembra che abbia prevalso l'idea che battezza questa Venere la "Venere dei Cimini", come se, Vicino Orsini, per rendere omaggio alle donne del luogo, avrebbe fatto riprodurre qui in pietra le loro fattezze.



    La Casa Pendente


    Fra le meraviglie del Parco si può ammirare ed addirittura entrare in una casa pendente.
    Sul muro esterno sono dei bassorilievi con le armi degli orsini ed una scritta latina.

    Entrando, i nostri sensi sono scossi dal camminare in uno spazio pendente, impressione strana, da provare.



    Sacro Bosco di Bomarzo - Cerere


    La mitologia classica romana celebra Cerere come la dea delle messi e dell'agricoltura.
    Il mito più ricorrente ha origini siciliane e racconta come sia stata questa divinità a diffondere la coltivazione del grano in occidente.
    In Cerere erano confluite, col tempo, molte delle caratteristiche della dea greca Demetra, protettrice della campagna, dell'agricoltura, dei cereali, e della civiltà.
    La tradizione la vuole madre di Proserpina, figlia di Saturno e di Rea e le riconosce il merito d'avere insegnato agli uomini l'arte di coltivare la terra.
    Lo scultore la rappresenta qui incoronata da un paniere dove le agavi rimpiazzano le spighe.
    Una ghirlanda di fanciulli si aggrappano al suo dorso, fin sulla spalla, giocano.



    Bomarzo - Nettuno o Plutone?


    Chi sia di sicuro il gigante accigliato e barbuto seduto con alla destra un mostro marino, non è ancora accertato.
    Secondo alcuni è Nettuno, il Dio del Mare, altri lo identificano in Plutone, Dio degli Inferi.
    Ma certamente dall'identificazione di questo personaggio dipende l'interpretazione dei personaggi che affollano la zona.



    Bomarzo - La Ninfa Dormiente


    Si resta ammirati nel vedere le proporzioni delle forme di questa scultura, la precisione delle unghie delle mani e dei piedi.
    La grande ninfa coricata sembra a metà strada tra il sonno e la morte.
    Pirro Ligorio, sembra abbia voluto rappresentare Arianna addormentata tra un amore terreno e uno divino, oppure "Nife" (purezza in greco), come l'ha chiamata lo scultore, rappresenta una delle Ninfe che difesero il pudore di Selene, dea lunare, la ninfa di cui parla Ovidio.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 21-04-11 alle 23:26
    "Sarebbe anche simpatico, se non fosse nazista!" (Malandrina) :gluglu:


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