[...] quei mostri gelidi, cinesi e russi, membri del Consiglio cosiddetto di Sicurezza
[...] vergogna per gli ambasciatori che hanno fatto di tutto, in quella cittadella infame che è diventata oggi la sede newyorkese dell’Onu, per scuotere gli uomini di ghiaccio e impedir loro, stavolta, di alzare la mano grassoccia che dice che no, in fin dei conti non c’è niente di male a trasformare in brandelli decine di migliaia di corpi. Che cosa succede nelle loro teste in quel momento? Chi si sente peggio, il funzionario della morte che vota senza emozione il proseguimento della carneficina, oppure l’uomo di buona volontà che si è dato da fare per mettervi fine, ma è stato costretto a rassegnarsi? E come si vive, dopo una notte trascorsa a osservare coloro che hanno messo il veto, ovvero messo le bombe, mentre bocciano per l’ennesima volta, in un rituale ordinato come una sessione di tortura, il vostro appello all’ultima possibilità, per poi scoprire all’alba, rientrando a casa, di avere il passo pesante: la pesantezza della poltiglia umana che vi è rimasta incollata alle suole delle scarpe e non vi abbandona più?
[...] Mi vergogno di tutto ciò, perché indubbiamente abbiamo le televisioni, le voci, i parlamentari e i candidati che ci meritiamo. Siamo dei disfattisti, mentre ci crediamo uomini di pace. Siamo degli europei sazi, che rinnegano i loro valori, mentre viene perpetrato il primo immenso crimine contro l’umanità del XXI secolo — un crimine contro ognuno di noi. Noi siamo i contemporanei di questa ecatombe, e come accadde davanti alle grida uscite ieri dai campi di sterminio, pochissimi di noi hanno il coraggio di invocare che si faccia guerra alla guerra e che si distruggano i bombardieri portatori di distruzione. La piramide dei martiri affligge la terra, sì. E la terra geme e soffre. A questo siamo arrivati.