Disabilità, cosa resta della 328? | Fainotizia


DISABILITÀ IN ITALIA
L’80% delle famiglie in cui è presente una persona con disabilità non riceve alcun aiuto o supporto pubblico da parte di Comuni, istituzioni o Asl: lo rileva l’Istat, che evidenzia come la presenza di una persona con "limitazioni funzionali" in famiglia rappresenti una delle principali cause di impoverimento. Insomma, qualcosa in Italia non funziona in materia di assistenza.
Stando ai dati dell’indagine Istat sulle “condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari” del 2013, in Italia ci sono 3,2 milioni di persone di età superiore ai sei anni con almeno una limitazione funzionale, di cui 2,5 milioni di anziani.
Tra queste, le persone con disabilità grave che hanno meno di 65 anni sono circa 540 mila e poco meno della metà vive, con uno o entrambi i genitori (49,9%): si tratta di persone a rischio di esclusione ed emarginazione, se la società non sarà in grado di fornire loro il supporto delle cure e l’autonomia economica garantita attualmente dalla rete familiare. In una situazione particolarmente critica sono poi le 89mila persone con disabilità grave che vivono con genitori particolarmente anziani.
Inoltre, quasi la metà dei disabili gravi con meno di 65 anni non solo non riceve alcun aiuto dai servizi pubblici, ma non si avvale né di servizi a pagamento, né dell’aiuto di familiari non conviventi: il carico della loro assistenza grava quindi interamente sui familiari conviventi.
Delle 52mila persone che vivono sole, il 23% usufruisce di assistenza erogata da servizi pubblici (sanitaria o sociosanitaria) e il 15,5% paga l’assistenza a domicilio (non sanitaria per le attività di cura della persona). In caso di necessità, il 54% ricorre solo all’aiuto di familiari non conviventi (28mila persone). Il 19%, pari a circa 10mila persone, non può invece contare su alcun aiuto: sono disabili gravi per i quali il “dopo di noi” è già iniziato.


IL DOPO DI NOI
Con ‘dopo di noi’ ci si riferisce alla vita dei disabili dopo la morte dei genitori, una condizione di particolare vulnerabilità che ha portato all’elaborazione di un disegno di legge approvato alla Camera lo scorso febbraio e attualmente in discussione al Senato.
Dai potenziali destinatari del ddl “dopo di noi” sono state escluse le persone sopra i 65 anni la cui disabilità sia causata dall’invecchiamento o da patologie connesse alla senilità. Insomma i diretti interessati da questo ddl dovrebbero essere solo i disabili gravi al di sotto dei 65 anni che vivono soli e che hanno perso entrambi i genitori (38mila) insieme a quelli (89mila) che vivono con genitori anziani, con più di 64 anni, quindi in totale circa 127mila persone.


LA LEGGE 328 DEL 2000
La legge quadro sull’assistenza è la 328 del 2000 e ha come obiettivo quello di realizzare “un sistema integrato di interventi e servizi sociali che garantisca la riduzione delle condizioni di bisogno e di disagio degli individui e delle famiglie derivanti da condizioni di non autonomia o disabilità”.
La legge si basa su una logica di decentramento che ha causato non poca confusione tra Stato, Regioni e Comuni. Gli standard sono infatti definiti a livello nazionale, ma sono i Comuni a giocare un ruolo cruciale nella realizzazione della rete dei servizi utili a soddisfare i bisogni dei cittadini.
La Corte Costituzionale si è pronunciata varie volte nel tentativo di ristabilire gli equilibri tra i diversi poteri dello Stato in materia assistenziale. Esiste però una perdurante difficoltà nel definire le competenze dello Stato e della Regioni, su cui pesa tra l’altro l’assenza della previsione dei livelli essenziali delle prestazioni (i cosiddetti Lep) a livello nazionale.
I Lep costituiscono l’insieme dei diritti civili e sociali nell’ambito di istruzione, formazione, sanità e assistenza sociale che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il motivo principale della loro mancata attuazione è di natura economica: la legge delega 42 del 2009 sul federalismo fiscale prevede infatti che il finanziamento delle spese relative ai Lep sia commisurato ai fabbisogni. Insomma la quantificazione economica dovrebbe avvenire con riferimento ai costi standard associati alla loro erogazione in condizioni di efficienza e appropriatezza su tutto il territorio nazionale e non alla spesa storica.

QUANTO SPENDONO LE REGIONI?
A livello nazionale la spesa media per ogni disabile è di 2.990 euro all’anno, ma mentre la spesa più alta si registra in Trentino-Alto Adige (16.912 euro), seguito dalla Sardegna (8.517 euro), in coda alla graduatoria si collocano le regioni del sud, in particolare la Calabria con 469 euro e la Campania con 706 euro. Il totale della spesa pubblica sociale è 52,9 miliardi, di cui 30,7 miliardi vanno in sussidi e assegni sociali e 22,2 miliardi in servizi di assistenza e socio-sanitari. Prevalgono insomma le prestazioni monetarie sui servizi alla persona.



LA SITUAZIONE A ROMA
Uno studio sui servizi alla persona disabile, condotto dall’agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale nel 2013, evidenzia la diversità delle prestazioni erogate anche a livello dei singoli Municipi.
Per quanto riguarda ad esempio le case famiglie, l’ammministrazione spende in media 39mila euro all’anno per ogni ospite, ma i costi variano da un minimo di 21.624 euro nell’ex Municipio V (ora IV) ai 44.714 del Municipio I o ai 44.553 dell’ex Municipio XV (ora XI). Inoltre le case famiglia non sono distribuite in modo uniforme e nel 2012 la lista di attesa contava 729 persone: quasi il doppio rispetto agli utenti (425).
E non va meglio con i centri diurni: sono gestiti a livello centrale solo quelli socio-sanitari cofinanziati dalle Asl e, in ogni caso, queste strutture (10 in tutto) sono presenti solo in sette Municipi. La realizzazione dei centri socio-assistenziali è invece lasciata ai soli Municipi che, tuttavia, non sembrano aver preso molte iniziative in merito: 11 centri, attivati in soli 5 Municipi. Complessivamente sono ben otto gli ex Municipi (prima dell’accorpamento dei municipi del 2013) che non dispongono di alcun tipo di struttura. Eppure i fondi non mancherebbero: nel 2014 (con la deliberazione della giunta regionale 136/2014) sono stati assegnati a Roma circa 40 milioni di euro da destinare ai servizi relativi alla non autosufficienza, all’affido familiare, alla residenzialità minori, al contrasto alla povertà, alla lotta alla droga e alle case famiglia per disabili gravi.
Inoltre, per le persone disabili, esiste uno specifico fondo per le non autosufficienze istituito a livello nazionale. Nel Lazio, era stato istituito anche un fondo regionale per la non autosufficienza, ma nel 2014 la Giunta Regionale (sempre con la dgr 136/2014) ha deciso di far confluire i piani per la non autosufficienza nei piani sociali di zona.

L’ASSISTENZA DOMICILIARE NELLA CAPITALE
L’assistenza domiciliare è erogata a disabili, anziani e minori, sulla base di un piano individuale di intervento personalizzato il cui fine ultimo è il mantenimento e, quando possibile, il miglioramento dell’autosufficienza, dell’autonomia e dell’integrazione sociale di ogni singolo utente. Sulla carta questo tipo di assistenza dovrebbe garantire alla persona la permanenza nel proprio ambiente domestico e al contempo offrire un sostegno alla famiglia.
Nel 2014, il programma di utilizzazione delle risorse statali del fondo per le non autosufficienze approvato dalla Regione (dgr 633/2014) ha destinato 18 milioni a copertura degli interventi previsti a livello locale dai piani sociali di zona, e i restanti 12 milioni al potenziamento dell’assistenza domiciliare diretta e indiretta.
I comuni hanno però ampi margini di discrezionalità nel definire le modalità organizzative e le procedure di accesso al servizio. La conseguenza è una grande disomogeneità nei criteri e nelle modalità di erogazione del servizio e nei livelli qualitativi. Nel 2015, l’Assessorato alle Politiche sociali e allo sport della Regione Lazio ha pubblicato delle Linee guida per una riforma della disciplina del servizio pubblico di assistenza domiciliare socio-assistenziale e per l’accreditamento dei soggetti erogatori; le linee guida intendono promuovere la definizione di regole comuni a livello regionale nell’erogazione del servizio pur salvaguardando l’autonomia organizzativa dei comuni stessi.

Inoltre, già con la memoria di Giunta Capitolina del 27 giugno 2014 per la riforma dei servizi di assistenza alla persona, era stato avviato un processo di riforma del servizio di assistenza domiciliare. Essendo un servizio a carattere socio-assistenziale, non comporta interventi riabilitativi di tipo specialistico, le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie rimangono invece di competenza delle Asl. Ci sono tre tipi di assistenza domiciliare integrata, il SAISA a cui nel 2014 accedevano 3.112 anziani non autosufficienti ma ben 3.972 erano in attesa; il SAISH per gli adulti disabili con 4.698 utenti nel 2013 e 2.043 in attesa; e il SISMIF a cui nel 2014 hanno avuto accesso 738 minori disabili mentre 231 erano in attesa.
Dal punto di vista organizzativo, il servizio è erogato a livello municipale e l’assistenza è solitamente fornita in via diretta anche se tramite soggetti accreditati (di solito cooperative), tuttavia è possibile il riconoscimento di un contributo economico a copertura delle spese di assistenza personale sostenute per l’attivazione dell’assistenza indiretta. Per ogni utente viene definito un budget sulla base del costo orario degli interventi, la tipologia di assistenza erogata e il livello di intensità assistenziale. La dgc 355/2012 ha definito specifiche soglie di esenzione per determinati livelli di Isee, differenziate in base allo specifico servizio, oltre le quali è richiesta una contribuzione al servizio da parte dell’utente sempre in funzione della fascia Isee di appartenenza.