Potrebbe essere uno dei mestieri del futuro, sicuramente in Italia è un mestiere esercitato da pochissimi. Stiamo parlando dei professionisti di futures studies, volgarmente detti ‘futurologi’.
Il primo meeting nazionale italiano sui ‘futures studies’ si terrà domani, 7 aprile, presso l’Università di Trento. A organizzare l’evento l’Italian Institute for the Future in collaborazione con la cattedra UNESCO in Anticipazione dell’Università di Trento e del Nodo Italiano del Millennium Project.

Ma chi sono i futurologi? Professionisti a metà tra l’esoterico e la scienza? O puri analisti, gente che per professione esercita la capacità di ‘guardare lontano’, scenaristi? La sensazione che provoca il suono della parola ‘futurologia’ è proprio alla base della pressoché totale ignoranza su ciò che fanno in realtà queste persone. “Il futurologo usa conoscenze in campi multisistemici, vede interazioni che non tutte le persone sono capaci di addizionare e fa delle previsioni che non sempre si avverano e che sono assolutamente vaste”, spiega Alberto Zucconi, psicologo e co-fondatore dell’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona (IACP). Futurologia, però, è un termine che non molto amano gli stessi esperti del settore. “Cerchiamo di adoperarlo il meno possibile perché in Italia ci sono parecchi pregiudizi, per questo, utilizziamo un altro termine che è ‘futures studies’ ovvero ‘studi futuri’ al plurale”, spiega Roberto Paura, Presidente dell’Italian Institute for the Future, il primo istituto italiano che, dal 2013, si occupa di futurologia. “E’ una disciplina nata tra gli anni 60 e 70 con il Club di Roma fondato da Aurelio Peccei e poi diffusa soprattutto nel mondo anglosassone; nel corso degli anni sono nate organizzazioni, think tank e professionisti individuali che svolgono attività di consulenza con aziende ed istituzioni pubbliche”, continua Paura. “Quello che si fa è cercare di elaborare scenari di anticipazione e di previsione in tutti i possibili ambiti e con un approccio interdisciplinare: business, politica, economia, scienza e tecnologia”. Insomma, cercare di scoprire quali saranno i trend da qui ad una ventina d’anni (minimo), consente di anticipare i cambiamenti propri di un mondo in continua evoluzione.

I metodi utilizzati dai professionisti del futuro sono tanti: “uno, probabilmente il principale, è quello degli scenari, ovvero, raffigurazioni in cui si costruiscono un certo numero di futuri possibili”, spiega Roberto Poli professore di previsione sociale presso l’Università di Trento; “andando ad individuare gli assi di incertezza fondamentale, si possono disegnare una serie di futuri alternativi”. “L’idea classica è proprio quella del ‘rapporto sullo sviluppo’”, ovvero il famosissimo documento che predisse le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema della Terra e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. “Gli esperti utilizzarono programmi informatici per simulare il mondo da lì a trent’anni e, quindi, analizzando, ad esempio, come sarebbe stato lo sfruttamento delle risorse naturali, l’impatto sull’ambiente, la riduzione della crescita economica nei vari Paesi dovuta alla riduzione delle risorse naturali e come questo avrebbe modificato gli aspetti politici nel mondo, soprattutto dell’Occidente; questo rappresenta uno scenario macro”, precisa Roberto Paura. “Poi ci sono gli scenari micro, quando, ad esempio, un’azienda chiede uno scenario per capire come cambierà il proprio business da lì a vent’anni, analisi che tiene conto della digitalizzazione, dell’impatto della disoccupazione tecnologica, di componenti strutturali e di come vanno ad impattare sulla propria occupazione”, spiega lo stesso. “Ad esempio, nel 1973, ci fu il primo shock petrolifero, il prezzo del petrolio arrivò a livelli tali per cui non si poteva più andare in macchina”, ricorda Poli; “nessuno poteva immaginare quell’innalzamento del prezzo, però, la Shell (che aveva visto anche la possibilità della caduta del muro di Berlino), usando il metodo degli scenari, lo aveva capito e si era preparata all’evenienza”. “Prevedere delle possibilità, quindi, significa poter preparare delle strategie che, anche se non complete, comunque, danno un guadagno operativo”, continua Poli. “Poi se lo sforzo di noi futuristi non si traduce in una scelta operativa vera e propria, il nostro esercizio è fallito, se gli scenari più belli finiscono nel cassetto, vuol dire che non siamo riusciti a far passare il messaggio”.


“Ci sono due situazioni fondamentali: quelle ragionevolmente tranquille in cui i meccanismi di previsione ordinaria, come le serie temporali e le loro estrapolazioni, (come ad esempio quando un Governo dice «il PIL l’anno prossimo sarà di X»), funzionano abbastanza bene”, spiega Poli; “però, in altre situazioni, come quella che stiamo vivendo da alcuni decenni, ci sono remote incertezze e questi strumenti non funzionano”. Non sono adatti, cioè, ad affrontare ed analizzare situazioni decisamente più complesse perché tarati per servire solo su scale temporali brevissime, ovvero, un anno o due. “Per capire i problemi ed organizzare strategie robuste abbiamo bisogno di guardare più avanti, intercettare i fenomeni in modo da poter preparare strategie adeguate per 30, 40 anni”, afferma Poli. “O non si fa nulla o intervengono le tecniche dei futuristi focalizzate sull’esplorazione dei futuri possibili e diversi”, continua. “Il passaggio dal futuro singolare al futuro al plurale è la condicio sine qua non per mettersi in condizione di sfruttare questa molteplicità di possibilità ed il fatto di vedere che ci sono futuri diversi, permette di costruire strategie più robuste”. Il futurologo, quindi, interviene per mostrare che le strade sono tante e, anche se non sono tutte a prima vista visibili, ci sono e possono essere molto utili.

Non è facile stabilire quando sia nato questo interessante mestiere. “Il momento fondativo è stato probabilmente il 1972 anno di pubblicazione del ‘rapporto sui limiti dello sviluppo’ che ha aperto la consapevolezza sull’importanza degli studi di lungo periodo”, spiega Paura. “E’ una materia che nasce, sia in ambito americano, sia in Europa, sia in Unione Sovietica; in USA, nel settore militare, poiché con la guerra fredda nascono nuovi problemi non più risolvibili con le tradizionali metodologie”, spiega Poli. “Poi, sempre nel corso degli anni 70, è nata la World Futures Studies Fedeation e la World Future Society che unisce tutti i futurologi di professione”, continua Paura; “negli anni successivi, però, il tutto è andato un po’ in declino poiché si iniziò a sostenere la falsità del rapporto a causa della crescita degli anni ‘80 e quelle visioni catastrofiste, perciò, sembravano essere smentite”. “Poi, in realtà, con la crisi economica del 2008 ci siamo resi conto che quelle previsioni, invece, erano assolutamente reali perché i problemi che stiamo vivendo oggi erano stati ampiamente anticipati proprio da quel rapporto; per questo credo che negli ultimi anni la consapevolezza e l’interesse verso queste discipline sia tornato ad aumentare”. “La cosa sorprendente è che questa materia abbia messo così tanto a farsi notare in Paesi come il nostro, il fatto che abbia l’unico corso in materia a Trento, è indicativo della scarsità di impegno che viene messa qui nel settore”, afferma Roberto Poli.

La gestione del rischio è parte integrante della vita di questi professionisti: “è una questione connessa all’incertezza sul futuro, c’è la consapevolezza che ci sono delle cose che noi non sappiamo, per cui, in qualche modo, però, dobbiamo cercare di anticiparle”, spiega Paura. “Una nozione introdotta negli ultimi anni è quella di ‘rischio esistenziale’, ovvero, l’idea che alcuni sviluppi della scienza e della tecnologia possano compromettere diverse situazioni nel lungo periodo, pensiamo al cambiamento climatico ad esempio; quello che cerchiamo di fare non è bloccare il progresso scientifico ma anticipare i cambiamenti, soprattutto quelli negativi, cioè, i rischi che potrebbero derivare ed introdurre le politiche che vadano a mitigare il rischio stesso o, se possibile, evitarlo”. Se si parla di futuro, quindi, si parla inevitabilmente di rischio e di incertezza: anticipazione dei rischi e massimizzazione dei benefici che il progresso può apportare: una soluzione di grande impatto di cui i futurologi sono i custodi. “Si tratta di capire come gestire il rischio, come anticiparlo e permettere così di prepararsi e guardare avanti”, afferma Poli.


“L’Italia è sicuramente molto indietro, nonostante il fatto che siamo stati i precursori; abbiamo avuto figure importanti, come Aurelio Peccei ed Eleonora Masini, rimasti, però, delle mosche bianche che hanno influenzato più l’estero che l’Italia”, afferma Poli. “Invece, hanno recuperato Francia, Germania, Paesi anglosassoni e quelli scandinavi”, dice Paura; “noi non abbiamo mai avuto un’organizzazione che si è occupata di questo in maniera precisa; negli ultimissimi anni la consapevolezza sta crescendo grazie alla nostra realtà e a quella di Trento ed anche grazie al Millennium Project che è un organizzazione internazionale attiva anche qui che si occupa di analisi di scenario come noi”. Ma c’è sempre un’inconsapevolezza proveniente soprattutto dalla classe politica. “Mentre in alcuni Paesi, penso alla Finlandia in cui c’è addirittura una commissione parlamentare che utilizza metodologia di futures studies per la sua agenda politica, qui, invece, non c’è attenzione sull’apporto che può dare la futurologia ai cambiamenti”, afferma Paura. “Questo perché, da un lato, sembrerebbe esserci una sorta di pregiudizio verso una parola che suona molto come la parola ‘astrologia’ e sembra che non ci sia serietà”, spiega lo stesso; “dall’altro, in Italia, non c’è neanche la tendenza all’interdisciplinarietà come invece nei Paesi anglosassoni dove c’è più attenzione al modo in cui il progresso scientifico e tecnologico impatta sui cambiamenti sociali ed economici”. Il fatto che non sia poi scienza esatta chiaramente influisce. “C’è proprio un’assenza di cultura di tipo scientifico qui, e questo fa si che anche la politica tenda ad ignorare queste componenti; se non si comprende questo non si comprende nemmeno il cambiamento in atto” , continua lo stesso. “In Europa ci sono alcuni Paesi che hanno cumulato più esperienza sia a livello di centri di supporto governativo come Inghilterra, Olanda e Francia”, spiega Poli; “poi ci sono una serie di aziende che offrono servizi simili le più note sono in Inghilterra; in USA ci sono un paio di programmi accademici (Houston e Hawaii) che esistono da molto e diverse compagnie di consulenza. Il nostro Governo è uno dei pochi Governi che in Europa non ha ancora una sezione specializzata con un occhio rivolto al futuro. Questo forse perché una politica che guarda avanti e che evita di prendere decisioni giorno per giorno ha sempre fatto fatica ad affermarsi in Italia”. Abbiamo bisogno di strategie di lungo periodo da sviluppare. “I pregiudizi oggi ci sono e nessuno può dire di non sapere che qualcosa di importante si sta per verificare; il vederli e il non prepararsi in maniera adeguata è una questione ancor più seria del solo pregiudizio e non sto parlando di chissà che cambiamenti ma di quelli che sono sotto gli occhi di tutti”, afferma Poli. Sempre un Italia in ritardo, un Paese restio al cambiamento e sordo all’importanza di una sua anticipazione. “Siamo in un parossismo di autodistruzione, di effetti boomerang”, afferma Zucconi; “se siamo ciechi e non riusciamo a diagnosticare il futuro con cosa ci ritroviamo?”. “Insegniamo ai futuri cittadini e ai futuri responsabili della società una visione del mondo obsoleta, insegniamo un mondo che non esiste, fatto di riduzionismo meccanicistico, insegniamo a non vedere quello che chi non va a scuola vede benissimo perché non è stato accecato dal procedimento di scolarizzazione”. “Non vediamo che tutto è in relazione come diceva Einstein «non si possono risolvere i problemi con idee vecchie», tutto è relazionato e lo possiamo capire solo in termini sistemici: siamo tutti sistemi complessi, a loro volta contenuti da sistemi più ampi e contenti al nostro interno sistemi e tutti interagiscono a vicenda”. “E’ quindi impossibile fare previsioni esatte proprio per questa ovvietà, però, noi, per renderci la vita sicura, semplifichiamo al massimo e quindi viviamo della bugia, nell’irrealtà come a Willy il coyote che cammina nel vuoto e poi se ne accorge e precipita”, continua Zucconi.

Senz’altro chiara la connessione tra la previsione di ciò che verrà e ciò che, invece, manca nella società moderna. Faccio un esempio, dice Paura, “il cambiamento demografico nel nostro Paese che ancora non si affronta con la dovuta consapevolezza, si pensa che le migrazioni che provengono dall’Africa e la questione della sanità siano problemi di un anno o due ma, in realtà, se si va a vedere la tendenza, è un problema strutturale; ci si deve aspettare un aumento significativo delle migrazioni nei prossimi anni, un continuo calo della natalità nel nostro Paese e quindi un invecchiamento nella popolazione”, continua lo stesso. “I Governi non hanno mai affrontato nulla di questi problemi, non sono riusciti a risolvere i problemi pensionistici per cui ci troviamo con la voce pensionistica nel sistema di welfare che aumenta di anno in anno insieme a quella dell’anzianità; ci troviamo con mancanza di competitività perché diminuisce l’età media della popolazione e con problemi di ordine pubblico dovuti al fatto che non si gestisce l’ingresso di grandi quantità di migranti come, invece, si gestisce in altri Paesi più attenti, come la Germania”. Un classico esempio di mancanza di lungimiranza. La conseguenza è una popolazione assolutamente inconscia della realtà e del fatto che, con studi di anticipazione sul futuro e con previsioni politiche di lungo termine, i problemi potrebbero essere almeno mitigati. Troppo strano? Troppo diverso, forse, troppo difficile da far accettare alla nostra classe politica così legata alla ‘tradizione’. “Il problema è quello della natura umana: adesso addirittura siamo diventati la forma vivente che impatta tutti gli aspetti di tutto il pianeta, lo stiamo rovinando”, afferma Zucconi; “quindi, tutta questa capacità di previsione non dev’essere così grandiosa, altrimenti, si dovrebbe dedurre che ci vogliamo uccidere e che vogliamo distruggere tutta la vita del pianeta”. “Noi cerchiamo di fare il meglio possibile e nel modo più scientifico possibile ma, quello che ci manca, è che non riusciamo bene a prevedere il futuro perché la nostra visione è cieca ed i nostri strumenti di intervento spuntati, poiché, come nei tempi passati credevamo che un fulmine fosse un dio irato, siamo ancora superstiziosi”, continua Zucconi. “Si sta parlando di geo engineering a causa dell’inquinamento che ha fatto sovra riscaldare il pianeta, parliamo di diffondere delle particelle chimiche che assorbano il calore del sole ma come si fa a sapere che rimarranno al loro posto e he non produrranno alluvioni quadrimensionali in un posto vicino?”, spiega Zucconi. “Esattamente come l’inquinamento dell’uso dei carboni industriali ha fatto morire milioni di alberi in Germania, nella Foresta nera, ma era l’inquinamento della Polonia!”. “Purtroppo stiamo portando il pianeta alla fine, alla sparizione della nostra specie, questa è la facile profezia”, continua lo stesso.

“Ci auguriamo che questo mestiere cresca ed il fatto di aver organizzato questo incontro è proprio un modo per incominciare a fare network, mettersi insieme, costruire qualcosa che dia più visibilità”, dice Poli. C’è da sperare in una crescita di consapevolezza, in un’attenzione vera verso una professione che appare decisiva per affrontare nel migliore dei modi ciò che si prospetta davanti. “Ormai siamo la variabile che più impatta il pianeta, abbiamo un grande potere che, però, usiamo in maniera cieca; sono sicuro che bisogna prevedere un futuro un’educazione che non accechi ma che faccia vedere che tutto è in relazione, anche le persone”, afferma Zucconi. “Ancora non abbiamo imparato a relazionarci con noi stessi e con gli altri, non abbiamo imparato a camminare in un bosco e sentirci parte dell’universo, a guardare le stelle o un tramonto e sentire che realmente siamo parte di tutto questo; scientificamente siamo polvere di stelle ma ciò che siamo riusciti a fare fino ad ora è essere sordomuti”.


by Roberta Testa

E se parlassimo (seriamente) di anticipazione del futuro? ? L'Indro