Sintesi. La predicazione dell’Evangelo può sembrare un’impresa disperata perché spesso incontra indifferenza ed ostilità. È la situazione del cuore umano: impermeabile alla verità e pieno di pregiudizi. Vi è però chi giunge sinceramente al ravvedimento ed alla fede in Gesù Cristo. Da che cosa dipende questa risposta positiva? Dall’abilità di chi predica? Non necessariamente. Che cosa ci insegna la Scrittura sull’efficacia dell’annuncio evangelico? Lo vediamo questa settimana sulla base di Atti 104-43.
Un'impresa disperata?
Comunicare il messaggio dell'Evangelo significa essenzialmente far conoscere una persona, Gesù Cristo, e gli straordinari benefici che essa, e soltanto essa, può dispensare alla vita umana. Comunicare il messaggio dell'Evangelo significa far prendere coscienza della miseria della vita umana, la quale solo in Gesù Cristo può trovare il suo autentico significato, un senso ed una prospettiva eterna.
I messaggeri dell'Evangelo, nella Bibbia, incentrano i loro discorsi ne «la storia di Gesù di Nazareth» e spiegano, come fa l’apostolo Pietro nella sua predicazione riportata dalle Scritture: «...come Iddio l'ha consacrato di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Iddio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose che egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. Esso Iddio ha risuscitato il terzo giorno, e ha fatto si che egli si manifestasse non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. Ed egli ci ha comandato di predicare al popolo e di testimoniare che egli è quello che da Dio è stato costituito Giudice dei vivi e dei morti. Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve la remissione dei peccati mediante il suo nome» (Atti 104-43).
Il problema però è che viviamo in una società fatta di persone così refrattarie, insensibili, "dure", direi "intorpidite", che veramente potrebbe essere considerata un'impresa disperata cercare di persuaderle e di fare loro aprire gli occhi sull'urgente loro bisogno di accogliere Gesù Cristo come loro personale Signore e Salvatore e lasciare che sia Lui a modellare il loro modo di pensare, di parlare e di agire.
Comunicare con efficacia il messaggio dell'Evangelo è di fatto estremamente difficile, e le ragioni non vanno cercate tanto in un difetto di abilità o di buona testimonianza da parte della comunità cristiana oppure dalla forza che i condizionamenti sociali o i pregiudizi esercitano sull'uditorio, - cose che certamente influiscono - ma da una sorta di incapacità funzionale dell'essere umano così com'è, di intendere le cose di Dio. Che senso avrebbe allora - mi chiederete - l'attività evangelistica, quale risultato mai potrebbe avere, e come spiegare il fatto che alcuni di fatto arrivino al ravvedimento ed alla fede in Gesù Cristo e a cambiare modo di vivere e di pensare?
Può sembrare assudo, ma, in realtà, non c'è persona al mondo che mai accetterebbe l'Evangelo di sua propria forza, volontà ed iniziativa se non ci fosse, e qui sta il nostro punto, se non ci fosse quella salutare "scossa" che solo può venire da Dio e che risveglia il nostro "organo di percezione spirituale". Come un'elettroshock può riattivare una persona che ha avuto un arresto cardiaco, così è necessario, da parte dello Spirito di Dio, quell'intervento decisivo dopo il quale la persona esclama: «Ma come ho potuto non vederlo prima, non rendermene conto prima della verità di ciò che Gesù Cristo ha detto ed ha fatto e della sua impellente necessità per la mia vita?». Dice infatti la Bibbia: "Ora l'uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché gli sono pazzia, e non le può conoscere, perché le si giudicano spiritualmente" (1 Corinzi 2:14).
Se Dio lasciasse la risposta favorevole della persona a Cristo all’iniziativa umana, nessuno mai accetterebbe verosimilmente l'Evangelo - e nessuno potrebbe di fatto essere salvato. Dio però, nella sua misericordia è attivo ed operante e, come e quando Egli lo desidera, alle condizioni che Egli stabilisce, chiama in modo efficace uomini e donne alla fede risvegliando la loro capacità di udire e di scegliere. Ecco perché l'apostolo Paolo, rivolgendosi ai cristiani di Efeso dice: "E voi pure ha vivificati, voi che eravate morti nei vostri falli e nei vostri peccati" (Efesini 2:1), si, voi eravate come morti, ma Dio vi ha vivificato. Ecco perché la Scrittura descrive l'opera dello Spirito Santo come qualcuno che "vivifica" (Efesini 2), che "crea in Cristo Gesù" (2:10), che fa "nascere di nuovo" (Giovanni 3:4,7), che ci "risuscita con Lui" (Efesini 2:6).
Incontri "combinati"
Tutte le persone che nella Bibbia giungono alla fede non sono "persone qualsiasi" che hanno raccolto il messaggio dell'Evangelo "sparato" dagli evangelisti a casaccio, "dove capita". Le persone che la Bibbia presenta come credenti, come convertiti, sono state sempre l'obiettivo di una precisa e personale chiamata di Dio, e gli esempi potrebbero essere moltissimi. Molto spesso il messaggero non ne è cosciente, ma con quel messaggio, in quella particolare circostanza, Dio intendeva chiamare alla fede ed alla salvezza una persona o un gruppo di persone in particolare, e quelle persone, e solo quelle, rispondono prontamente, perché Dio ha messo loro in grado di farlo.
Molte cose non avvengono per caso. A volte ci capita di incontrare qualcuno e solo più tardi ci rendiamo conto che quell'incontro - in realtà - non era avvenuto per caso: dietro quell'incontro c'era la provvidenza di Dio che, proprio attraverso di esso, ci offriva opportunità nuove.
Cornelio
Ricordate quella citazione da un discorso di Pietro fatta all'inizio? Pietro l'aveva pronunziata non come se fosse stato un messaggio generico che chiunque avrebbe potuto raccogliere, ma come risultato di un incontro che era stato, per grazia di Dio, miracolosamente "combinato". Dio aveva davvero combinato un incontro provvidenziale, Iddio aveva fatto incontrare un uomo di nome Cornelio, un ufficiale dell'esercito romano di stanza in Palestina, con Pietro, che serve l'Evangelo di Gesù Cristo portando questa parola di salvezza agli uomini ed alle donne della sua regione. Dio aveva scelto Cornelio affinché anch'egli trovasse salvezza in Gesù Cristo e "lo manda a chiamare" attraverso l'intervento di Pietro.
Pietro è stupefatto che Dio lo mandi proprio da un uomo come Cornelio, militare di un esercito straniero di occupazione, un uomo che egli considerava estraneo, nemmeno uno con cui valesse la pena di parlarci insieme, un "impuro", ma si accorgerà ben presto che quando è Dio che combina un incontro, quando è Dio che chiama, il risultato può essere straordinariamente efficace. Giunto in casa di Cornelio e ricevendone il benvenuto così egli parla della salvezza della quale egli è messaggero incominciando a dire: “In verità io comprendo che Dio non ha riguardo alla qualità delle persone; ma che in qualunque nazione, chi lo teme ed opera giustamente, gli è accettevole … e questa è la parola che egli ha diretta ai figlioli di Israele, annunziando pace per mezzo di Gesù Cristo. Esso è Signore di tutti. Voi sapete quello che è avvenuto…” (Atti 104-43).
Era stato Dio a combinare questo incontro, la Sua Parola di grazia è stata annunciata, e, attraverso di essa, in modo straordinariamente efficace, Cornelio e quelli di casa sua vedono la loro vita trasformarsi radicalmente ad opera dello Spirito Santo, giungono al ravvedimento ed alla fede e, chiedendo il battesimo, consacrano a Dio tutta la loro vita.
Lidia
Un altro esempio significativo è quello di una donna di nome Lidia. Il racconto del libro degli Atti così dice: «...e nel giorno di sabato andammo fuori dalla porta, presso al fiume, dove supponevamo essere un luogo d'orazione, e postici a sedere, parlavamo alle donne ch'erano quivi radunate. E una certa donna di nome Lidia, negoziante di porpora... che temeva Dio, ci stava ad ascoltare; e il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo. ...e fu battezzata con quei di casa sua» (Atti 16:13-15). Erano andati a predicare a molte donne che si trovavano là radunate: una sola aveva veramente ascoltato, compreso, ed accettato: Lidia, alla quale il Signore "le aveva aperto il cuore per renderla attenta...".
Filippo e l’etiope
Sempre nel libro degli Atti ci viene raccontata la storia di Filippo e di un etiope da lui evangelizzato. Filippo stava evangelizzando in Samaria, là si che c'era movimento, molti venivano alla fede, come desiderare andar via da un posto del genere? Eppure il Signore ha altri progetti, manda Filippo ...su una strada deserta chissà dove! Gli dice: «Lèvati e vattene dalla parte di mezzodì, sulla via che scende da Gerusalemme a Gaza. Ella è una via deserta. Ed egli, levatosi, vi andò» (Atti 8:26,27). Che senso avrebbe una simile istruzione, ma Iddio sa che cosa sta facendo, e sa che su quella strada c'è un uomo in particolare che ha deciso di raggiungere. Filippo ci va, incontra quell'uomo, gli parla di Cristo, e questi giunge al ravvedimento ed alla fede, e chiede di essere battezzato. Non è stupefacente? Eppure Iddio aveva preparato ogni cosa.
Dice una dichiarazione di fede riformata: «Ora, per condurre gli uomini alla fede, Dio, nella sua benevolenza, manda gli araldi di questa lieta novella a quelli che Egli ha scelto, e quando lo vuole, affinché tramite il ministerio di questi ultimi, gli uomini siano chiamati al pentimento ed alla fede in Gesù Cristo crocefisso» (Dort 1,1).
..continua..
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