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    Predefinito Francesco Compagna nel Partito repubblicano italiano

    di Giorgio La Malfa e Francesco Bernardini – In G. Pescosolido (a cura di), “Francesco Compagna meridionalista europeo”, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2003, pp. 23-39.



    Ugo La Malfa e Francesco Compagna



    1. Dalla sinistra liberale al Partito repubblicano

    Francesco Compagna aderì al Partito repubblicano italiano nel 1968, a pochi mesi da quelle elezioni politiche che sancirono una prima ripresa elettorale del Pri. Fu candidato nella circoscrizione di Napoli – Caserta ed entrò in Parlamento. Per la prima volta nel dopoguerra un deputato repubblicano veniva eletto in Campania. Si ricandidò successivamente, nella stessa circoscrizione, risultando sempre eletto con consensi crescenti (passando da 7.108 voti nel 1968, a 24.689 voti nelle ultime elezioni alle quali si presentò, nel 1979). Membro della direzione del Pri dal 1969, sottosegretario nei governi Rumor e Moro, ministro nel governo Andreotti, Cossiga e Forlani, accettò, con molta generosità, la richiesta, rivoltagli da Spadolini, di assumere l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri: ruolo che svolse con riconosciuto equilibrio, fin quando morì colto da un infarto il 24 luglio 1982.
    Come egli stesso ebbe modo di ricordare, aveva avuto rapporti stretti con l’azionismo e il Partito repubblicano, in modo particolare con Ugo La Malfa; politicamente, come altri che poi aderirono al Pri, proveniva dalla sinistra liberale che aveva partecipato alla scissione contro Malagodi. Attivamente presente ai convegni degli “Amici del Mondo”, non era stato fra i più convinti assertori della svolta di centro-sinistra, essendo rimasto legato a lungo al giudizio positivo sulla fase del centrismo degasperiano, non nascondendo le sue riserve, specialmente per i risvolti internazionali, dell’apertura a sinistra. Aderirà alla formula del centro-sinistra solo alla metà degli anni ’60, ritenendo allora tale impostazione come la più rispondente ai problemi del Mezzogiorno, quest’ultimo asse centrale della sua azione politica e culturale.
    Tre elementi ebbero rilievo nella sua adesione al Pri: il primo fu il riconoscimento che nel Partito repubblicano italiano viveva ed operava la più convinta ispirazione meridionalistica; la stessa idea di programmazione economica esposta per la prima volta da Ugo La Malfa nel 1962 nella Nota aggiuntiva si basava sulla visione che fosse necessaria “un’azione rivolta ad indirizzare i processi di sviluppo” in maniera che si tenesse conto “degli squilibri esistenti e dei problemi insoluti”, ove tali squilibri risultavano “settoriali e regionali”. Né, si proseguiva nel documento lamalfiano, ciò che era stato fatto nel Mezzogiorno risultava “sufficiente a bilanciare i motivi di accentramento al Nord del processo di sviluppo che si svolgeva nelle regioni già sviluppate e a ridurre i divari di reddito con le altre zone”. Tematica, questa dell’accentramento industriale nell’Italia settentrionale, che Compagna riprenderà innumerevoli volte, sia a livello di interventi parlamentari, sia all’interno del Partito repubblicano.
    L’altro motivo di rilievo nella sua adesione al Pri, fu la severa posizione del partito, in special modo sotto la guida di Ugo La Malfa, nei confronti del dissesto della finanza pubblica e delle lotte sindacali: due elementi inscindibili in un quadro di programmazione e quindi di priorità di investimenti. Da un lato Compagna sosteneva che, mentre una politica di investimenti pubblici mirati avrebbe giovato al Mezzogiorno, una finanza pubblica mal gestita non solo non avrebbe favorito la crescita dell’Italia nel medio periodo, ma avrebbe anche finito per danneggiare le fasce più deboli. Quanto all’azione sindacale, Compagna fu colpito dall’asprezza delle rivendicazioni a partire dal 1962-63: su questa valutazione si innesta in lui una ripresa del tema salveminiano della polemica contro l’alleanza fra i sindacati dei lavoratori e quelli degli imprenditori ai danni dei disoccupati.
    Il terzo motivo fu rappresentato dalla piena coincidenza di vedute rispetto al Pri sulla politica estera. Compagna si ispirò alle idee di Renato Giordano, suo amico carissimo, che era stato collaboratore fra i più apprezzati di Jean Monnet e aveva contribuito alla diffusione di quella visione secondo cui lo sviluppo del Mezzogiorno poteva realizzarsi in un’Italia collocata pienamente in Europa. Non era stato un caso che Nord e Sud, la storica rivista di Compagna, ospitasse nel primo numero del dicembre 1954 un suggestivo articolo di Ugo La Malfa intitolato Il Mezzogiorno nell’Occidente, ove si sosteneva che il Sud italiano “è Occidente senza le condizioni economiche, sociali, culturali che caratterizzano l’Occidente. Esso non è un Oriente occidentalizzato: è un Occidente orientalizzato”.
    Altri temi di politica estera che trovavano concorde Compagna, furono il fermo atlantismo del Pri, la riaffermazione della necessità dell’alleanza fra Europa e Stati Uniti, la polemica contro l’Europa di De Gaulle (altro tema prettamente lamalfiano) ed a favore dell’ingresso dell’Inghilterra in Europa come elemento di rafforzamento del legame atlantico dell’Occidente. Non ultimo motivo in termini di comunanza di vedute fu la battaglia in difesa di Israele, che aveva visto i repubblicani in prima linea durante la Guerra dei sei giorni nel 1967.
    Non vi è comunque dubbio che, all’interno di questa comunanza generale di impostazioni, lo scambio maggiore fra Compagna e il Pri si realizzò in larga misura nel concreto contributo di una battaglia meridionalista che egli era, sopra tutti, in grado di animare e portare fermamente avanti.


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    Predefinito Re: Francesco Compagna nel Partito repubblicano italiano

    2. Il deputato Compagna

    “… sono stato candidato del Pri nelle elezioni amministrative di Roma del 1963, sono stato nominato esperto del Comitato regionale della programmazione in Campania per interessamento del Partito repubblicano, sono da molti anni collaboratore della Voce Repubblicana…”: il 27 febbraio 1968 è proprio La Voce Repubblicana a riservare in apertura uno spazio ad uno scambio di lettere tra Francesco Compagna e Ugo La Malfa. “Quando Giovanni Ferrara – continua Compagna – che proveniva dalle mie stesse esperienze politiche – l’unificazione liberale, il Partito radicale e soprattutto gli ‘amici del Mondo’ – decise di iscriversi al Pri, io non l’ho seguito ed ho preferito rimanere, per così dire, un repubblicano senza tessera: pensavo allora di non essere nella condizione di assumere gli impegni politico-organizzativi che l’iscrizione ad un partito comporta, dovevo far fronte ad altri impegni assorbenti e soprattutto mi sembrava che, nell’esercizio della mia attività pubblicistica, i comuni interessi ideali potevano essere serviti meglio dal di fuori”.
    Ma ecco un mutamento di prospettiva, visto che il direttore di Nord e Sud ritiene che sia “venuto il momento di decidere e di chiedere la tessera: non solo perché questo è il modo più eloquente per dare un’adesione alla linea politica del Pri ed una solidarietà agli amici che questa linea hanno elaborato e portato avanti: ma anche perché, ormai, i comuni interessi ideali possono essere serviti meglio dal di dentro, anche da chi esercita l’attività pubblicistica e di studio che io continuo ad esercitare”. Gli risponde “con fraterna amicizia” Ugo La Malfa, esprimendo “la soddisfazione e il grande compiacimento del Partito per il tuo gesto”.
    Del resto, come scrive ancora La Malfa, Compagna è uomo che ha saputo far valere, “senza fideismi e mitologie di sorta, una concezione democratica avanzata”, lavorando soprattutto “in quel campo di strenuo impegno umano e civile che è, per ogni coscienza meridionale che si rispetti, il nostro tormentato ed infelice Mezzogiorno”. E il 1968 è anno elettorale: in un comizio partenopeo, Ugo La Malfa afferma, come riportato dalla Voce Repubblicana del 22 aprile, “che aspirazione dei repubblicani è che Napoli mandi in parlamento Francesco Compagna”, visto che “si tratta di un uomo che da ben 15 anni continua sulla rivista Nord e Sud la battaglia meridionalista che fu già di Giustino Fortunato, di Salvemini e di Guido Dorso”. La Malfa informa l’uditorio che Compagna “appartiene alla generazione di coloro che rompono la tradizione di clientelismo meridionale e hanno una visione attuale e moderna dei problemi di una città nobile, ma tanto sfortunata come Napoli”, la quale ha dovuto subire Lauro, “che ha rappresentato una esperienza tra le più tradizionali e retrive del Mezzogiorno”.
    Il 28 maggio 1968 Francesco Compagna è proclamato deputato, per la circoscrizione XXII nella V legislatura che durerà fino al marzo 1972. È un suo editoriale ad aprire La Voce Repubblicana dell’11 luglio 1968. “Se si considerano le manifestazioni del sottogoverno democristiano; i non pochi episodi che possono ben essere definiti testimonianze non solo di un’arroganza, ma addirittura di una tracotanza del potere; certe scelte di uomini cui si sono voluti affidare compiti per assolvere i quali essi non hanno titoli di competenza tecnica e meno che mai la sempre necessaria passione civile; se si considera tutto ciò, e insieme si considerano i dati relativi al reddito, all’occupazione, agli investimenti nel 1967, non ci si può stupire del fatto che nel Mezzogiorno si siano diffusi, malgrado la grande promessa, stati d’animo di malcontento, diffidenza e delusione”. Sulla scia lamalfiana, Compagna propone una saldatura fra situazione del Mezzogiorno e programmazione, sostenendo che proprio “il rilancio della politica meridionalista” è il “criterio guida della politica di programmazione” la quale, per tradursi in progetto operativo, “pone un problema di mezzi, di strumenti, di uomini; e lo pone per oggi e non per domani”.
    La modernità di questa impostazione viene sintetizzata dallo stesso Compagna durante il Consiglio nazionale del Pri del 29 luglio 1968, ove egli tratta del successo elettorale del partito nel Mezzogiorno. Si è trattato di un appello “concreto”, non “della consueta enumerazione dei luoghi comuni capaci di influenzare le fantasie dell’elettorato”. In pratica, come si legge ancora nel suo articolo per la Voce dell’11 luglio 1968”, “non è più questione di fare qualcosa per il Mezzogiorno, ma di fare talune cose nel Mezzogiorno”. Una di queste occasioni sarebbe consistita, di lì a breve, nella “fiscalizzazione parziale degli oneri sociali” contenuta in un decreto legge per favorire nuovi investimenti in vari settori, su cui Compagna interviene nell’aula di Montecitorio il 3 ottobre dello stesso anno, proponendo ancora la saldatura fra le esigenze del Sud e l’applicazione dei criteri della programmazione. “Se si vuole un salto di qualità nella politica di programmazione (che finora si è sostanziata prevalentemente nella redazione di pur pregevoli documenti), occorre rendere rapida ed efficace la manovra della spesa pubblica. Occorre per altro esaminare l’idoneità delle attuali misure a non compromettere, anzi a concorrere a realizzare, le previsioni e gli obiettivi del piano. Ora, fra tali obiettivi c’è, in primo luogo, quella della piena occupazione, il cui raggiungimento, soprattutto nel Mezzogiorno, appare sempre lontano”.
    Una correzione a tale situazione viene identificata nell’ “acquisire nuovi settori industriali” in grado di offrire un ciclo di lavorazione completo. In caso contrario, continua il parlamentare repubblicano, “nulla potrebbe esservi di peggio, per il Mezzogiorno, che il diffondersi di una simile prassi: esso si ridurrebbe in tal modo ad essere la sede di una prima lavorazione di prodotti che verrebbero poi rifiniti nelle industrie del Nord, per poi essere rinviati sui mercati di consumo meridionali”. Analizzando poi in modo più particolareggiato il decreto in oggetto, Compagna ritiene che lo sgravio degli oneri sociali non deve essere esteso “alle aree depresse del centro-nord, le quali non possono essere messe sullo stesso piano del meridione”. Meridione come concentrato di sottosviluppo, secondo quanto Compagna lascia intendere nel suo intervento al XXX Congresso nazionale del Pri (Milano, 7-10 novembre 1968), quando dà la sua interpretazione della politica dei redditi, letta “come l’aggiornamento lamalfiano del discorso salveminiano sulla priorità assoluta che si deve riconoscere al problema del posto di lavoro al disoccupato”. Che è disoccupato meridionale: da qui la necessità di Disincentivi e localizzazione delle industrie con altri criteri, come recita un suo articolo indirizzato a Giuseppe Luraghi, presidente dell’Alfa Romeo, che la Voce pubblica il 23 febbraio 1971. Per Compagna la strategia giusta è quella di “rendere tangibilmente onerosa per le imprese la loro ostinazione a ripetere le tradizionali localizzazioni industriali ed a creare nuovi posti di lavoro in zone di consolidata piena occupazione”. Anche se può accadere “che la disincentivazione delle aree congestionate favorisca più che le aree industrializzabili del Mezzogiorno, le aree non congestionate dello stesso Nord”.
    A questo punto, “se si vuole che ne risulti anche una indiretta spinta all’industrializzazione del Mezzogiorno, è necessario che, ai disincentivi per le aree congestionate del Nord, corrispondano gli incentivi per le aree industrializzabili del Sud”, caratterizzato da “riserve cospicue di manodopera la cui emigrazione deve essere intercettata”. Parole scritte quando ormai il pensiero ispiratore della programmazione stessa è in palese fase involutiva, e già si parla di “riabilitazione” della programmazione dello sviluppo economico che, come Compagna fa notare in un Consiglio nazionale del Pri dello stesso 1971 (6 marzo), “ha costituito a suo tempo e dovrebbe costituire ancora l’impegno principale della politica di centro-sinistra”. Ma vi sono variabili indipendenti a rendere ardua la strada: “Se infatti si vogliono considerare l’azione dei sindacati o peggio ancora l’azione delle Regioni come variabili indipendenti, una politica di sviluppo programmato non è possibile; e i fenomeni disintegrativi che già si sono manifestati non possono che aggravarsi. E quindi, se si vuole una programmazione riabilitata, non si possono concedere, né ai sindacati né alle Regioni, ruoli di comportamento del tutto autonomi”.
    Ma, prima ancora di sindacati e Regioni, sono “i partiti, la maggioranza, il governo che devono assumere la loro responsabilità”, segnando in ultimo i limiti delle autonomie ai fini dell’intento – e torna un motivo di Compagna cui abbiamo già accennato – “di programmare uno sviluppo economico e civile che si faccia carico soprattutto ed anzitutto degli interessi finora sempre sacrificati delle categorie più deboli (e naturalmente delle Regioni più arretrate)”.


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    Predefinito Re: Francesco Compagna nel Partito repubblicano italiano

    3. Una concezione meridionalista della programmazione

    Prospettive che il deputato Compagna non manca di ribadire in un lungo intervento del 6 aprile 1971 in occasione del dibattito sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 1971, ove egli sostiene che “la politica meridionalista si colloca a monte di tutte le politiche settoriali, e quindi delle riforme per la casa, la sanità, i trasporti. Questo significa, per esempio, che non ci si può illudere di avviare durevolmente a soluzione il problema della casa a Milano, a Torino, o altrove, se non si avvia preventivamente a soluzione il problema dei posti di lavoro del Mezzogiorno. E ciò significa, comunque, che la politica del Mezzogiorno non può essere giustapposta e meno che mai subordinata, come spesso è avvenuto, alle politiche settoriali; ma sono queste che debbono essere subordinate a quella, secondo una rigorosa applicazione di quella concezione della programmazione che abbiamo convenuto chiamare, come Saraceno l’ha chiamata, una concezione meridionalista dello sviluppo italiano; in base alla quale ogni previsione di rilievo deve essere valutata anche in rapporto agli effetti che ne possono derivare ai fini del divario economico, sociale e civile fra le due Italie”. E bisogna considerare che tale “concezione meridionalista delle programmazione” è, se vogliamo, un’amplificazione e una messa in chiaro di concetti di sicura derivazione lamalfiana, che il leader repubblicano aveva proprio in quei mesi esposto attraverso il volume Polemica economica a sinistra, intorno al quale viene organizzata, il 19 ottobre 1971, una tavola rotonda al Ridotto dell’Eliseo a Roma.
    Vi partecipa anche Compagna, che dichiara di condividere tale polemica (“La condivido fin da quando essa ha cominciato a prendere corpo nel discorso critico che La Malfa ha portato avanti dal 1963 in poi”), incentrata sul rifiuto di “obbiettivi finali, mitizzati”, dal momento che “ci sono solo e sempre obbiettivi intermedi”. Vale a dire, prosegue Compagna: “l’occupazione, il Mezzogiorno, i consumi pubblici”.
    Tema che viene ripreso e sviluppato nella sua relazione per il XXXI Congresso nazionale repubblicano di Firenze dell’11-14 novembre 1971, dove riappare l’urgente appello per “una moltiplicazione delle attività industriali più intensa e più rapida nel Mezzogiorno di quanto non si realizzi nel resto del Paese”, anche se “non basta dichiararsi d’accordo sulla priorità attribuibile a questi obiettivi”, poiché “è necessario spiegarsi le ragioni per le quali (…) ci siamo allontanati dagli obiettivi ai quali volevamo e dovevamo avvicinarci”. In realtà “si è preteso astrattamente di far coincidere il possibile con il desiderabile, invece di adoperarsi – secondo i moniti che da parte repubblicana non sono mancati – per spostare concretamente i limiti verso del desiderabile”.
    Dunque “i repubblicani avvertono un profondo disagio quando constatano che dopo anni di malgoverno della destra, specialmente nel Mezzogiorno, non è consentito ancora di poter esaltare il buongoverno del centro-sinistra, e meno che mai nel Mezzogiorno”.
    In realtà, come scrive Manlio Rossi Doria in un fascicolo de la Nuova Antologia della fine del 1982, “per la battaglia meridionalistica di Compagna gli anni del secondo tempo dei governi di centro-sinistra sono stati i più amari e difficili anche se il suo personale impegno è divenuto, se possibile, anche maggiore che in passato”.


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    Predefinito Re: Francesco Compagna nel Partito repubblicano italiano

    4. Un modello di riforma della società

    L’esordio del suo intervento al XXXII Congresso repubblicano di Genova (27 febbraio – 2 marzo 1975) elenca con lucida precisione i temi del suo discorso, ripartito in tre sezioni: “la coerenza del meridionalismo del Pri”; “l’originalità e la razionalità del modello di riforma continua della società proposto dal Pri”; “la possibilità che il centrosinistra, quando risultasse recuperabile sul piano degli schieramenti, si avvicini sul piano dei contenuti a quello che avrebbe dovuto essere e purtroppo non è stato”. Il deputato repubblicano, eletto nella VI legislatura (giugno 1972 – maggio 1976), sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei ministri nei ministeri Rumor e Moro, afferma risolutamente che “nessun programma di rilancio della politica meridionalistica è oggi credibile quando non presupponga uno sforzo risoluto per contrastare le cause endogene dell’inflazione e quando non presupponga un impegno a considerare la soluzione del problema dei posti di lavoro stabili da creare nel Mezzogiorno non compatibile con le rivendicazioni dirette a rafforzare il potere di consumo di chi il posto di lavoro già lo ha”.
    Torna, perentoria, l’ispirazione salveminiano-lamalfiana, anche nella difesa della Cassa per il Mezzogiorno, tema non certo estraneo al nostro che, il 14 gennaio 1971, aveva già fatto notare su La Voce Repubblicana come mancassero “ormai del tutto alla Cassa i mezzi finanziari per portare avanti l’intervento straordinario nel Mezzogiorno”. Nello stesso anno, intervenendo il 22 settembre nella discussione in aula sul Finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno, aveva dichiarato “di non considerare soddisfacenti i risultati che grazie all’intervento straordinario siamo riusciti ad ottenere nel Mezzogiorno. Non li consideriamo soddisfacenti specialmente per quanto riguarda l’industrializzazione; li consideriamo più soddisfacenti (…) per quanto riguarda la preindustrializzazione”. Ribadendo, più avanti che “se è soddisfacente constatare di quanto il Mezzogiorno sia diventato più industrializzabile, non è altrettanto soddisfacente constatare quanto poco esso risulti più industrializzato”, essendo, fra le varie cause “venuto meno il pur sollecitato contributo dell’iniziativa esogena, cioè di imprenditori che da altre Regioni fossero disposti a scendere nel Mezzogiorno”.
    Dopo aver sottolineato che “risulta necessario ed urgente modellare le strutture della Cassa per conferire a quest’ultima la capacità di formulare ad attuare progetti speciali”, Compagna annunciava nella seduta del 29 settembre che il gruppo repubblicano avrebbe votato a favore del disegno di legge, augurandosi che “il patrimonio di esperienze e di competenze accumulato dalla Cassa debba essere non già disperso, bensì valorizzato”.
    A quattro anni di distanza dall’intervento in aula, Compagna avverte i partecipanti al XXXII Congresso repubblicano di Genova che “è da respingere il tentativo di fornire ai responsabili delle mistificazioni sul Mezzogiorno l’alibi di un processo alla Cassa per il Mezzogiorno, dietro il quale potrebbe annidarsi l’intenzione di liquidare la politica degli interventi straordinari per destinare i mezzi di finanziamento che noi vorremmo ‘prenotare’ per questa politica allo scopo di una ristrutturazione aziendale concepita in senso angustamente nordista”. Insistendo, più avanti, sul problema “economico-finanziario”, che “è divenuto un problema etico-politico”. Ne segue che “non si riforma la società italiana se le invocate riforme settoriali si configurano come riforme di puro e vano inseguimento degli squilibri. Solo se caratterizzate da una matrice meridionalista le riforme sono di correzione degli squilibri; perché lo squilibrio tra Nord e Sud è lo squilibrio degli squilibri. E solo nel rapporto tra programmazione e politica dei redditi teorizzata da La Malfa le riforme possono avere una matrice meridionalista”. Quanto alle altre forze, “il centro-sinistra è recuperabile” ove voglia aderire ad una “concezione aperta, e arricchita dei contenuti repubblicani”.


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    Predefinito Re: Francesco Compagna nel Partito repubblicano italiano

    5. Vent’anni di Nord e Sud

    A ridosso del Congresso, nello stesso anno, Compagna appare con svariati editoriali sulla Voce, ove l’orientamento meridionalista viene e ribadito e guardato da una prospettiva storica anche personale, ricorrendo infatti nel marzo del ’75 il ventennale di Nord e Sud, celebrato con un articolo anche sull’organo del Pri che, il 29 marzo, ricorda come Nord e Sud abbia “in questi venti anni tenuto ben ferme le posizioni da cui era partita venti anni fa. Una rivista di cultura ‘liberale’, meridionalista ed europeista e che vede meridionalismo ed europeismo come le due facce di una sola medaglia”. Ma anche una pubblicazione “aperta ai socialisti, ma critica del socialismo, impermeabile alle lusinghe del sinistrismo, alle suggestioni del classismo, alle illusioni del populismo cattolico”.
    “Diventai regionalista convinto – ricorda Compagna in un editoriale della Voce del 12 marzo – agli inizi degli anni ’60, perché, sulla base di argomenti nuovi che i regionalisti francesi (…) facevano valere rispetto a problemi altrettanto nuovi (…), mi sembrò che i vecchi argomenti di Colaianni, e se si vuole di Cattaneo, venivano acquistando nuovo smalto”. Nella formazione di Compagna figura però anche Giustino Fortunato, antiregionalista convinto: a detta di Compagna non tutte le preoccupazioni di Fortunato “sono diventate anacronistiche (…); ma, a rassicurarmi nei confronti di queste preoccupazioni, c’è comunque proprio l’intervento straordinario, che in quanto tale può neutralizzare una certa condizione di inferiorità delle Regioni del Sud nei confronti di quelle del Nord: inferiorità della capacità di pressione e inferiorità del retroterra economico-finanziario, per esempio”. E giunge a questo punto l’aggancio con l’attualità, poiché “a chi vuole abolire l’intervento straordinario, io dico che da questa abolizione deriverebbe come risultato una esaltazione di questa condizione di inferiorità delle Regioni del Sud”. In sostanza “l’intervento straordinario è per definizione intervento dello Stato; se si vuole, è per definizione intervento dall’alto e dal centro: Roosevelt non si affidò agli Stati del Tennessee e della Columbia, ma alla Tennessee Valley Authority”.
    Si ha, però, in ultimo, il senso generale che la lotta per il Mezzogiorno abbia portato a risultati del tutto irrilevanti nel migliore dei casi: “Le stesse forze politiche – scrive Compagna sulla Voce Repubblicana del 20 settembre – che pure hanno parlato molto di centralità del problema meridionale, alla resa dei fatti hanno mostrato di non avere bene chiare le idee sulle cose da fare. E così oggi ci si trova dinanzi ad un Mezzogiorno ancora più in difficoltà che nel passato; e se la distanza tra le due Italie non è andata aumentando ulteriormente ciò è dovuto soltanto al fatto che anche il Nord, in questi anni di crisi, non ha progredito”. E anche la dialettica centralismo-regionalismo non sembra risolversi: “Si può dire che nel Sud sta avvenendo una strana confluenza tra il tradizionale malgoverno locale di cui gli esempi di lunga data non mancano, e la nuova moda di richiesta di maggiore potere alla base e quindi agli enti locali e alle Regioni, una costante nazionale di questi ultimi anni. Si verifica così che la incapacità della classe politica meridionale di affrontare concretamente i problemi dell’interesse generale dei cittadini si camuffa ora con formule dei conflitti di competenza e cerca copertura nel più vasto conflitto tra Stato e Regione. Il risultato è che le Regioni polemizzano contro lo Stato accentratore, magari chiedono l’abolizione della Cassa per il Mezzogiorno ed il relativo trasferimento di poteri, ma quando si tratta di portare avanti i progetti, o magari di prepararli, esse arrivano sempre in ritardo”.
    Una risposta ad una conflittualità che si risolve nella paralisi, può essere trovata in prospettive più equilibrate: così che in un articolo della Voce che si intitola Cassa sì e Cassa no (9 ottobre 1975), Compagna scrive che “la nuova legge per la politica di interventi straordinari nel mezzogiorno deve essere una legge di riforma, che cambi tutto ciò che va cambiato, negli incentivi e nei progetti speciali, e continui ciò che va continuato, come impegno straordinario e aggiuntivo: una legge di aggiornamento, di razionalizzazione, di efficienza, ma nella continuità”. In un discorso parlamentare del 2 agosto 1978 sulle modificazioni al testo unico delle leggi sul Mezzogiorno, l’onorevole Compagna, eletto per la VII e VIII legislatura (sarà ministro per il Lavori pubblici, della Marina mercantile, sottosegretario di Stato alla Presidenze del Consiglio) definisce il suo ideale modello di Cassa per il Mezzogiorno, che “deve essere un’agenzia infrastrutturale e non uno sportello, come per sua degradazione qualche volta tende ad essere. A tal fine affermo che la Cassa per il Mezzogiorno è ancora anzitutto e soprattutto l’agenzia dello Stato nazionale per cambiare e migliorare l’ambiente meridionale”, quell’agenzia concepita da “Menichella, Giordani, Saraceno”.


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    Predefinito Re: Francesco Compagna nel Partito repubblicano italiano

    6. Gli ultimi interventi

    Ritorna ancora l’ispirazione fondamentale durante i lavori del XXXIV Congresso repubblicano (Roma, 22-25 maggio 1981), sotto forma magari di ricordo, in un momento in cui la programmazione economica stava definitivamente tramontando. Compagna si ritaglia in quell’occasione uno spazio per rievocare “la concezione lamalfiana, e meridionalista, della politica dei redditi. È questo il terreno sul quale repubblicani e socialisti si debbono chiarire. Si tratta di aggiornare quel discorso sui contenuti democratici della politica economica che parte dell’eresia di Gaetano Salvemini e si prolunga nella polemica economica a sinistra di Ugo La Malfa”. Compagna non vede altra strada per “evitare l’ulteriore degradazione del sistema delle imprese”, non certo arginabile con “l’acquisizione di un soccorso dei comunisti”. E una linea memore del passato, Compagna sembra comunque tenere in una delle sue ultime apparizioni sulle colonne della Voce Repubblicana. Intervistato dal quotidiano del Pri, il 7 maggio 1982, a poco più di due mesi dalla morte, Compagna ammette che “tra i fautori di aggiornamenti senza continuità e fautori di una continuità che prescinde dalla necessità di aggiornare la politica meridionalistica, io mi definisco fautore di un aggiornamento nella continuità”.
    In estrema sintesi, “lo sforzo intellettuale di Francesco Compagna è stato costantemente indirizzato a conciliare l’eredità di Benedetto Croce con quella di Gaetano Salvemini. Il suo filone di problemismo democratico nasceva dal ripensamento e dall’aggiornamento dei grandi maestri del meridionalismo riformatore, che egli aveva rivissuto e risentito con vibrazioni moderne, adeguate al processo di trasformazione della società italiana”. Questo il necrologio che la Voce gli dedica all’indomani della sua scomparsa, avvenuta il 24 luglio 1982. Raramente si sarebbe ritrovata una così profonda “sinergia” fra un intellettuale sempre in prima linea e una formazione politica. Il Partito repubblicano fu per Compagna un ambiente ideale dove condurre le sue battaglie; a sua volta egli definì, forte della sua esperienza, tematiche essenziali, elaborate in modo fermo ed originale, antiretorico, di grande respiro. “Quali altre voci possono esprimere oggi questo meridionalismo e raccoglierne l’eredità?”. Questa la domanda con cui concludevamo un nostro ricordo di lui sul quotidiano repubblicano.


    Giorgio La Malfa e Francesco Bernardini



    https://www.facebook.com/notes/ugo-l...1836566972000/
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

 

 

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