La Stampa
In privato, Berlusconi perde quei freni che pubblicamente lo portano a soppesare le virgole. Per cui, tra le quattro mura di Arcore, non esita a ragionare già come se lui e Renzi fossero ritornati soci; addirittura, Silvio arriva a immedesimarsi in Matteo e, mettendosi nei suoi panni, a suggerirgli ciò che converrebbe o non converrebbe fare nel mutuo interesse. Ad esempio, si interroga su quale sarebbe il momento più propizio per ritornare alle urne. L’11 giugno, come piacerebbe al leader Pd? Da parte di Berlusconi non c’è alcuna contrarietà, questo risulta, ma semplicemente il dubbio che per quella data Renzi e l’Italia abbiano rifatto pace dopo la scazzottata referendaria. Forse cinque mesi non saranno sufficienti, sospetta il Cav. Solo a marzo si potrà misurare quanto alta rimarrà la rabbia che alimenta il M5S. Dopodiché, fatti per bene i conti, si potrà decidere insieme se votare a giugno o rinviare più in là.
«Ghe pensi mi»
Stesso discorso per il sistema elettorale. Berlusconi ne desidera uno che vada bene a entrambi. Cioè che, sommando insieme i voti suoi e del Pd, garantisca una maggioranza nel prossimo Parlamento. Perché, va sostenendo l’ex premier nei suoi colloqui più discreti, «una situazione drammatica come quella attuale richiederà di unire le forze più importanti». E questo afflato di unità tra i «responsabili» (che Osvaldo Napoli esalta come dimostrazione di sommo realismo) ben si coglie nell’ampia intervista al «Corriere». Tuttavia ci sono un paio di macigni da superare. Il primo: la formula capace di «ottimizzare» le esigenze del Pd e di Forza Italia non è stata affatto trovata. Nei contatti tra gli intermediari siamo al «carissimo amico». Servirebbe uno scatto di fantasia, con l’aiuto di chi se ne intende. Invece Berlusconi ha deciso di occuparsene lui medesimo. Siamo al «ghe pensi mi». E dal momento che è ben nota la sua idiosincrasia per le regole in genere, ma per quelle elettorali in modo particolare, i suoi più fidi consiglieri già tremano immaginando che pasticcio verrebbe fuori se lui e Renzi si sedessero intorno a un tavolo, loro due da soli, cosa probabile prima o poi.
Il voto nei Comuni
L’altro ostacolo sulla strada del Cav è rappresentato dal suo stesso partito. Dove molti scommettono che l’uomo, essendo seriale, tornerà alla carica con la vecchia idea di pensionare la dirigenza politica «azzurra» per far largo ai giovani. Berlusconi non ha deciso se, per imporre questo cambio generazionale, gli convenga di più puntare sulle preferenze, con cui mettere tutti in competizione tra loro, ovvero su «listini» bloccati di pochi nomi (che sceglierebbe ovviamente lui). Il partito del Centro-Sud preferisce la prima soluzione; quello del Nord detesta le preferenze e reclama invece collegi uninominali stile «Mattarellum» da spartire con Salvini, nonostante i rapporti siano al minimo storico. Da Brunetta a Romani, da Toti a Gelmini, l’argomento è persuasivo: quest’anno si voterà in 980 Comuni tra cui Genova, Verona, Padova, Parma, Alessandria, Cuneo. Tutte città dove, dicono, « sarà d’obbligo andare a braccetto con Lega». E reggere perlomeno la finzione di un centrodestra non ancora defunto.