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  1. #1
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Le Rune - Una introduzione

    FEHU

    "Bestiame", quindi "ricchezza".
    Dalla radice PEKU, dalla quale deriva l'antico alfabeto tedesco (a.a.t.) fihu, "bestiame"; gotico faihu, "denaro", "fortuna"; alfabeto islandese (a.isl.) fé, "bestiame", "ricchezza"; alafabeto inglese (a.ingl.), féoh, "proprietà" "tesoro"; latino pecu e pecus.

    Questa runa inizia la prima famiglia della serie runica detta Freys ætt, cioè "famiglia di Freyr". Freyr, signore dei Vanir, dio preposto alla fecondità è detto "Signore del popolo". Nei riti agrari e nei banchetti veniva bevuta in suo onore una coppa "per ottenere pace e buon raccolto".

    Freyr è il re-sacerdote dell'età dell'oro scandinava. Il suo potere deriva dall'alto e si rivela come capacità di ordinare il mondo e la società in armonia con le leggi che regolano l'universo. Il risultato di tale armonia, che è il rito di cui il re è depositario ed operatore, è pace tra gli uomini e prosperità nella natura. E' significativa una comparazione tra ambito germanico (e celtico) e Roma, dove l'auctoritas del re arcaico era letteralmente, la "capacità di far crescere", di far prosperare.

    L'animale mitico associato a Freyr è Gullinbursti, il cinghiale dalle "setole d'oro".

    FEHU, intesa nel suo intimo senso, è la runa dell'oro simbolico. Si tratta di un "oro" eminentemente spirituale, di una qualità interiore definibile come pienezza di Scienza e di Potenza.

    Come runa dell'inizio FEHU può essere messa in relazione col senso della mitica Terra Iperborea, o Isola Bianca, nella quale giace in uno stato di latenza il dio dell'età dell'oro ed alla quale nelle saghe medioevali tornano, a volte dopo la morte, a volte ancora in vita, gli eroi vittoriosi come Artù e Lohengrin. La tradizione celtica insulare designa quest'isola come "Terra dei Morti" e, contemporaneamente, come "Terra dei Viventi" ad indicare, quindi, non già una morte reale bensì uno stato di occultamento della Sapienza delle origini che è immortale e che dà l'immortalità a chi sappia riunirsi ad essa.

    FEHU, corrispondente nell'alfabeto al fonema F, è la runa del soffio non ancora modulato, non ancora divenuto parola. Come tale questa runa si presta ad esprimere in forma simbolica il silenzio delle origini ed altresì il silenzio rituale.




    URUZ

    "aurochs" (Bos primigenius);a.isl. ùrr; latino ùrus, "toro selvaggio".
    Cesare afferma che gli uri sono di poco inferiori per grandezza agli elefanti, ma con aspetto di tori. Riferisce anche che per i giovani Germani era una prova di valore cacciare ed uccidere l'urus.

    URUZ, che per forma ricorda le corna del toro selvaggio abbassate verso terra nell'imminenza della carica, è o si presta ad essere interpretata come la runa della potenza guerriera.

    Trasponendo il significato di URUZ sul piano cosmogonico, la runa può riferirsi alla Potenza cosmica, alle correnti del Caos non ancora ordinate dal volere di dio, all'oceano primordiale.

    Riferita all'uomo URUZ può essere interpretata come runa degli istinti scatenati.




    þURISAZ

    þ=si legge come l'inglese thin
    nell'interpretazione più antica è la "runa dei Giganti": a. isl. þurs "gigante", "orco". Nel poema a. ingl. la runa è detta þorn, "spina".
    þURISAZ era ampiamente usata per la magia negativa e gli incantesimi amorosi. Probabilmente è la "spina del sonno" con la qual Odino colpisce ottundendo la mente e inducendo il sonno.

    þURISAZ è runa del mondo germinale e oscuro: il mondo dei Giganti che si estende sotto la seconda radice del Frassino del mondo. I Giganti, presso i Germani come presso i Greci, sono simboli del potere dissolutore delle energie elementari: l'eterna brama che crea e inghiottisce senza sosta le forme. Sono di tre specie: del ghiaccio, delle montagne e del fuoco, a rappresentare il condensarsi delle energie del caos.

    Nel microcosmo umano, per analogia, þURISAZ è la runa delle potenze tenebrose, dei suoi fantasmi, delle passioni che avvelenano (per forma ricorda il pungiglione dello scorpione).

    I Giganti, nell'Edda, a fianco delle qualificazioni negative, possiedono anche un valore positivo: sono detti "saggi". Mimir, custode della fonte della sapienza, è un gigante.Tale ambivalenza del simbolo sembra alludere contemporaneamente al nemico da combattere, alla pericolosità dell'impresa e al premio finale che attende al vincitore: la sapienza.




    ANSUZ

    "dèi". Il nome anglosassone di questa runa è os: os byþordfruma ælce spræce: "Dio (la bocca) è creatore di ogni discorso", cifr. lat. os, "bocca", ostium, "ingresso", a. isl. òss, "fonte", "estuario di fiume" e áss, "dio". In sanscrito asu è il "soffio vitale", l'energia divina che anima il cosmo.
    ANSUZ può essere interpretata come runa del Verbo divino: il silenzio primordiale (runa FEHU) viene rotto dal prorompere della Parola ordinatrice. Dalla tensione armonica dei due principi complementari del fuoco e dell'acqua individuatisi nell'abisso primordiale nasce il suono. Odino rompe il silenzio rituale delle nove notti con un grido.

    Tra i nomi di Odino vi è Omi, "colui che grida"; þundr, "il tuonante", nome che lo designa anche come scopritore delle rune.

    ANSUZ, runa di parola, è anche la runa del canto sacrificale, delle parole sacre delle invocazioni con le quali l'uomo si rivolge alla divinità ed è la runa della bocca che si apre per svelare la volontà del dio. Runa oracolare e sapienzale del Vate, del Profeta, della Sibilla, FEHU, che per forma ricorda la figura stante con le braccia levate, diviene dono, parola, significata dalla runa ANSUZ nella quale le braccia sono abbassate verso terra e gli uomini.

    ANSUZ è la runa della parola secondo verità: chi ha ritrovato il "soffio" divino - il sapiente - sa agire nel mondo manifestando il divino, la sua parola è parola secondo verità e giustizia. Questo è il senso del poema anglosassone citato: "Dio è creatore di ogni discorso". E' la bocca (os) che silenziosamente risuona nel cuore del saggio ispirandolo. E' la fonte prima dei testi sacri, Rivelazione che si automanifesta nel silenzio del contemplante e del vate, che viene affidata alla parola della tradizione orale e, più tardi, quando la mente ha perso l'arte della memorizzazione, viene cristallizzata nella Scrittura.





    RAIDÔ

    "cavalcata": a. isl. reið, "cavalcata", "carro"; ing. ride, "cavalcare"; latino. rota, "circolo". Accanto a questi significati che indicano movimento, ciclicità e simili l'area semantica delle radici REID-, REIDH-, RET- abbraccia anche l'idea di suono: ags. rad, "musica", sweglrad, "flauto", "carro solare"; nell'a.isl. la radice radd- indica il suono della voce.
    Il cavallo e il carro sono entrambi simboli solari e, contemporaneamente, simboli che si riferiscono al viaggio delle anime nell'aldilà.

    RAIDÔ è la runa del primo movimento del sole: è il segno dell'aurora del mondo. Il sanscrito evidenzia la relazione esistente fra "luce" (svara) e "suono" (swar). RAIDÔ contiene in se l'idea di "suono" e "movimento" e indica l'effetto del disserrarsi della "bocca" divina, il prorompere del tuono (Odino è detto "Tuonante") e l'inizio della "rotazione" universale.

    þorr è detto "dio del carro", Okuþorr. Il tuono prodotto dal rimbombare del suo carro che trascorre il cielo non è, chiaramente, da interpretarsi unicamente secondo il senso "naturalistico" come fenomeno atmosferico ma si riferisce, per la polivalenza dei simboli, anche al rimbombare della Parola divina, il "tuono", nell'abisso primordiale. La Parola ordine le potenze del Caos e il carattere di þorr è quella di dio ordinatore, nemico implacabile dei Giganti, difensore della Terra di Mezzo e delle sedi degli dei. Se Odino è il dio ordinatore mediante la Parola, þorr lo è mediante l'azione: è la divinità preposta alla seconda funzione sociale, ovvero la guerra.

    Nel senso di "cavalcata" RAIDÔ può riferirsi alle valkyrie, entità celesti che scelgono i caduti sui campi di battaglia.

    Nel mondo degli uomini la runa in questione oltre al carattere guerriero già sottolineato, può riferirsi nell'ambito del sacro agli strumenti arcaici destinati a riprodurre il suono: il rombo, il flauto, ma soprattutto il tamburo. Lo sciamano usa il tamburo per ottenere l'estasi e il "viaggio" (parimenti il tamburo è usato per esaltare il valore guerriero). Il tamburo è detto il "cavallo" dello sciamano poichè questi "cavalcandone" il suono entra in comunicazione con tutti i mondi. Spesso sul tamburo sciamanico è raffigurato il cavallo, o lo strumento è costruito con la pelle del cavallo.

    Di un'ulteriore interpretazione è suscettibile la runa RAIDÔ attraverso l'etimologia della riða che significa allo stesso tempo "cavalcare" e "penzolare" (detto degli impiccati). Odino è il dio degli impiccati ed egli stesso s'"impicca" per conoscere le rune: per questo la "forca" alla quale si appese, il Frassino del Mondo, è detto "Destriero".




    KÊNAZ KAUNAZ


    I. KÊNAZ "fiaccola", ags, ken, "torcia", ted. Kien, "legno resinoso"
    II. KAUNAZ: "ascesso", "purulenza",a .isl kaun

    Dai poemi runici si deducono due significati di questa runa profondamente contrastanti tra loro: il poema antico-inglese associa la runa alle qualità luminose della torcia (ken); il poema norvegese ed islandese interpretano il segno runico in un senso nettamente infausto: kaun, "purulenza".

    Ci troviamo probabilmente di fronte a due aspetti del simbolismo della fiamma come fonte di calore e luce ma anche di morte.

    KÊNAZ: segno benefico di luce. Esprime la qualità radiante e vivifica del Sole primordiale. Evidenzia l'aspetto luminoso dell'energia e, in questo senso, può riferirsi al dio Heimdallr. Heimdallr è il fuoco d'Ariete. Secondo molte tradizioni antiche (che continuano nel medioevo per finire a Dante Alighieri) l'universo ebbe inizio a partire dal segno d'Ariete ed avrà fine quando i cicli si concluderanno nel segno d'Ariete.

    Per analogia, nell'uomo KÊNAZ si presta ad essere interpretata come la scintilla divina; il fuoco dell'intelletto creatore; la parola rituale che dà vita; la tendenza ascenzionale dell'essere. Ma è anche il potere dello sciamano che illumina o uccide.

    KAUNAZ esprime l'aspetto dissolutore del Fuoco. Nell'uomo è il fuoco febbrile che divora, causato dall'ascesso (kaun) ed è il fuoco malefico delle tendenze sotterranee dell'essere.

    Due personaggi divini, Surtr e Loki, sono strettamente connessi al carattere distruttivo del fuoco. Surtr siede ai confini di Mùspell montando la guardia con una spada dalla lama di fiamma e circondato da fuoco. Nel ragnarök Surtr lotterà a fianco di Loki portando tra le braccia "la rovina dei rami", circonlocuzione poetica che indica il fuoco divoratore della vegetazione. Nel duello finale Loki ed Heimdallr si affrontano e si annientano a vicenda: il Fuoco cosmico, assolta la sua funzione di creazione e distruzione, viene riassorbito nel Principio. Loki è direttamente responsabile della morte di Baldr, dio della gioventù e della primavera. Ma Baldr, comunque, risorgerà alla fine dei tempi per dare inizio ad un nuovo ciclo, (.....) Il fuoco che ha creato il mondo è lo stesso che lo distruggerà: Loki è il volto oscuro di Heimdallr. Nella terribile necessarietà della distruzione il fuoco compie ciò che deve essere compiuto. La morte cresce assieme alla vita, incede con essa ed annienta quest'ultima affinchè nell'oscuro grembo delle origini possa ritrovare forza e gioventù. Loki è necessario nello svolgimento del ciclo universale come l'inverno lo è nello svolgimento del ciclo annuale: il gelo distrugge la veste degli alberi e della terra ma le potenze nascoste della germinazione, intatte, attendono il nuovo ciclo primaverile.

    III. Alcuni studiosi hanno proposto di interpretare il segno runico che stiamo esaminando partendo, per l'etimo, da un protogermanico KANÔ, "imbarcazione leggera". Questa interpretazione non è in contrasto con la doppia valenza della runa: l'imbarcazione del Sole è conosciuta fin dai graffito della più alta antichità e, nel Nord, spesso la barca è usata nei rituali funerari. In questo senso "funerario" la runa è connessa al fuoco dell'arsione dei morti. Fuoco che distruggendo la spoglia fisica libera lo spirito della materia.





    GEBÔ


    "dono". Il nome della runa nel poema a .ingl. è gyfu; a. isl. gipt; protogermanico geftiz; ingl. gift, give.
    Tre sono le specie del dono: la prima è il dono che la divinità fa all'uomo affinchè questi esista, "il respiro che Odino diede".

    La seconda specie è il dono che l'uomo fa alla divinità mediante l'offerta, l'immacolazione cruente e il sacrificio.

    La terza specie di dono è quello che l'uomo fa all'uomo: era usanza che i capi facessero splendidi doni ai propri guerrieri.

    GEBÔ è la runa dell'ospitalità, sacra presso i Germani.

    La runa può essere messa in relazione con l'aspetto generatore e fecondo di Freyia. Uno dei nomi della dea è Gefn/Gefjum, formato sul verbo gefa, "dare", "donare".




    WUNJÔ

    "gioia", "piacere", ma anche "stirpe".

    Da WEN (WENOS è la fascinosità della donna) deriva il latino Venus, "Venere"; in sanscrito vanas è il "piacere" e vanih significa "desiderare"; in tedesco Wonne è "desiderio". I Vanir (Freyr - Freya), dèi della fecondità e del piacere, si riportano, per l'etimo, a WEN- ed all'ambito simbolico di questa runa.

    Nell'uomo WUNJÔ è la gioia e la pienezza che scaturiscono dal dono degli dei, la Sapienza, la forza, la stirpe.




    HAGLAZ

    HAGALAZ

    HAGLAN

    "grandine", a. isl. hagall; a.a.ted. hagal. Questa runa inizia la seconda "famiglia" della serie detta Hagal ætt.

    Il nome della runa concorda con la forma che richiama quella del cristallo di ghiaccio. Nella cosmogonia germanica il ghiaccio è la materia primordiale dell'universo.

    Il primo essere, il macrantropo che sacrificando se stesso produce l'universo nelle sue parti è Ymir. Dallo smembramento di Ymir fu formato ciò che esiste: "Dal corpo di Ymir fu formata la terra e dalle sue ossa i monti / il cielo dal cranio di quel gelido gigante, e dal suo sangue il mare".

    Il mito narra che da Ymir nacque un gigante con sei teste: dal disfarsi del corpo del macrantropo inizia ad esistere la manifestazione sensibile nelle sei direzioni dello spazio. Nella forma del cristallo di ghiaccio HAGALAZ rappresenta graficamente le sei direzioni spaziali (N, S, W, E, zenith, nadir).

    La runa in questione, data la sua attinenza con la furia degli elementi, è da intendere come una brim rùna "runa di tempesta".




    NAUDIZ


    "necessità", ma anche l'azione dello sfregamento che produce il fuoco da due legni.

    La forma di NAUDIZ ricorda quella del primitivo strumento per accendere il fuoco: il trapano di legno azionato da una cordicella o archetto.
    Il fuoco del sacrificio vedico era acceso mediante uno strumento chiamato arani, composto da due assicelle una, inferiore, di legno di mimosa avente la forma di croce, l'altra verticale, di legno di ficus religiosa che, azionata da una corda, produceva l'attrito necessario alla accensione in un foro provocato al centro della croce di mimosa. L'accensione del fuoco sacro in India è la riattuazione della cosmogonia: le due parti dello strumento esprimono il simbolismo nuziale, l'unione del principio divino maschile, Shiva - il palo che perfora -,e dal principio femminile Shakti - il legno "femminile" di mimosa del quale è fatta la parte inferiore dello strumento.

    Nell'uomo NAUDIZ si riferisce alla capacità generativa in senso lato, dalla generazione fisica alla generazione - o rigenerazione - spirituale, quindi all'iniziazione, che è infusione del fuoco celeste,ed alle privazioni necessarie per giungere ad essa.

    Nei documenti NAUDIZ appare usata certamente come runa dai poteri magici per gli incantesimi d'amore.





    ÎSA/ÎSAZ


    "ghiaccio". Runa del ghiaccio primordiale che, nella cosmogonia germanica, è la materia dalla quale fu formato l'universo.

    Nell'uomo ISA può essere interpretata come segno delle acque congelate del pensiero raccolto e unificato dall'esercizio ascetico e riunito al principio spirituale. Il sapersi trasporre al di là delle correnti della sfera mentale, il saper camminare sulle acque è condizione indispensabile e, insieme, segno di sapienza.






    JERA / JERAN

    "anno". ingl. year; ted. jahr. JERA è "anno" ma anche "stagione fertile", "raccolto".

    Runa primaverile. Segno fausto d'inizio e di fecondità.

    Lo scongelarsi del ghiaccio primordiale dà luogo alla fioritura del mondo, all'inizio del ciclo. Alla primavera segue il "terribile inverno" del ragnarok, la chiusura del ciclo e, contemporaneamente, la premessa della nuova primavera.





    EIHWAZ / ?WAZ

    "albero del tasso". Il legno del tasso era particolarmente usato per incidere formule di incantesimi sia presso i Germani sia presso i Celti.

    L'attribuzione di poteri magici all'albero di tasso risale probabilmente alle origini della cultura indoeuropea.
    I rami di quest'albero venivano usati nel medioevo cristiano come protezione contro i demoni, contro le streghe e contro il fulmine.

    Il tasso ben si prestava ad essere assunto a simbolo cosmico dal momento che è sempreverde (e quindi è simbolo di vita) ma contemporaneamente possiede frutti velenosi e il suo legno è tossico (e quindi partecipa alla valenza infera del mondo dei morti).

    EIHWAZ è anche la runa dell'arciere degli dèi Ullr che vive in Ydalir, "Valle dei tassi". Gli archi erano costruiti col legno del tasso che gode di particolari qualità di resistenza e flessibilità.

    Nella cosmografia EIHWAZ è da riferirsi alle radici, alle potenze germinali del sottosuolo, gli Elfi scuri, e delle profondità delle rocce dove la vita minerale svolge le sue remote trasformazioni. EIHWAZ è la runa degli gnomi, signori delle miniere, maestri nella scienza delle rocce e dei metalli.




    PERÐ/PERÞÔ /PERÞRÔ



    (senso sconosciuto). La forma protogermanica indica il "bicchiere per tirare le sorti" o i dadi. Anche per la sua forma PERD richiama alla mente una coppa nell'atto di versare il suo contenuto. Intesa in questo senso PERD si presta ad essere interpretata come runa delle Norne, o dee del Fato.
    Le Norne germaniche, equivalenti delle Parche, sono tre: Urðr è la Norna che fila o "volge" il destino; Verðandi è la Norna che presiede alle modalità dello svolgimento o della filatura; Skulld è colei che fissa il compimento del destino. Le Norne segnano i tre momenti dello svolgersi della vita universale: l'inizio; lo sviluppo delle possibilità contenute nell'Origine; la fine o riassorbimento nell'Origine.

    Esistono significative analogie tra le Norne germanche e le Moirai greche.

    Se l'attribuzione di PERD alle Norne è esatta, la runa si presta ad essere interpretata come segno della mantica giacchè vi è una profonda relazione tra le dee ed il seggio del Vate, quindi tra Norne e vaticini.




    ALGIZ


    1. "alce"; 2. "difesa". La runa ALGIZ corrisponde alla coppia divina dei gemelli Alcis, equivalenti nordici dei Dioscuri greci e degli Ashvin indiani. L'animali ad essi sacro era l'alce

    Questa runa ha un senso nettamente fausto: le corna dei cervidi fin dalla più remota antichità simboleggiavano l'eterno ritorno; la resurrezione; il risveglio primaverile. Il cervo simboleggia anche la resurrezione come ritorno al Centro spirituale originario: è l'animale di Apollo iperboreo.

    Ma ALGIZ oltre all'alce può riferirsi al "cigno". Quest'ultimo senso è particolarmente importante perchè riconnette simbolicamente il segno alle valkyrie. Una di esse è detta "Candido Cigno", Svanhvit.

    La forma della runa ricorda anche la figura dell'orante: le braccia rivolte verso l'alto nel gesto dell'invocazione.



    (continua)


    Le Rune

  2. #2
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Le Rune - Una introduzione

    SÔWULO / SÔWILÔ


    "sole"; a.isl. sòl; lat. sol; got. sauil; gr. helios; sscr. surya da i.e. SAWEL-, letteralmente "la buona ruota" (SU, "bene" e WEL "ruota"). In uno dei poemi dell'Edda, l'Alvismàl, è detto che il sole, chiamato sòl dagli uomini, è chiamato "ruota fulgi-da" (farghvel) dagli elfi.
    Il testo latino AM 6B7 ha l'equivalenza sòl -rota. Le raffigurazioni più antiche del sole sono la croce iscritta nel cerchio e lo svastika, entrambi esprimenti l'idea di "rotazione" e "ciclicità".

    Nella mitologia celtica il cimrico Mog Ruith, figura associata al culto solare, contiene nel nome il termine roth, "ruota". In Gallia è conosciuto un dio solare associato nell'iconografìa con la ruota e col fulmine.

    Nella concezione ciclica del tempo presso i Germani il sole presente morirà divorato dal lupo Skòll (a. isl. skóll, "beffa"), figlio del lupo infernale Fenrir, immagine del caos, ma il sole condannato a spegnersi genererà un altro sole che seguirà gli antichi cammini del cielo. Nell'Edda il sole è la figlia di Mundilfceri (sòl è di genere femminile) ed è preposta alla guida del carro solare costruito con una scintilla proveniente da Mùspell. Mundilfosri significa "colui che si muove seguendo tempi e ritmi precisi" (mundill è il manico della macina, immagine del tempo che stritola).

    Tacito riporta l'antica idea comune all'area indoeuropea presente presso gli Svedesi (Suiones) che al sole si accompagni una sonorità particolare:

    «Oltre i Suioni, troviamo ancora un altro mare, tranquillo e quasi stagnante. La ragione per cui si crede che questo mare costituisca il limite estremo che circonda la terra, è che l'ultima luce del sole che tramonta indugia qui fino all'aurora con una luminosità che rende pallide le stelle. Si narra anche che vi si possa udire il rumore del sole quando si leva dalle onde e vedere la forma dei suoi cavalli ed i raggi sul suo capo».

    La radice i.e. SWEN- esprime l'idea di "sonorità" e di "canto": da essa deriva il latino sonare e Tingi, swan, "cigno". In sanscrito svara significa "suono" e svar "luce". Dalla stessa radice derivano le forme got. sonno; norr. sunna; ted. Sonne; ingl. sun che designano l'astro diurno.

    Nell'anglosassone swegel significa "sole" e, contemporaneamente, "suono di flauto". Sempre nell'anglosassone l'aurora è detta "voce del giorno" e il tramonto "voce del rosso giorno". Al sole, insomma, si accompagna una sonorità che oggi si tenderebbe a definire "mistica" ma che, in realtà, risulta percepibile in uno stato "alterato" (o più propriamente "alterno") di coscienza, come quello in cui opera lo sciamano, indotto da digiuno e canto-musica e/o sostanze psicotrope, come ad es. il fango Amanita muscaria, o da inebrianti come l'idromele, ecc. Pitagora definiva "armonia delle sfere" la vibrazione sonora che si accompagna alla rotazione dei corpi celesti e che corrisponde, nella gamma di frequenze riproducibili con il monocordo (frequenze "audibili"), agli intervalli musicali della scala diatonica. Alla scala diatonica si accompagna analogicamente la scala cromatica dei sette colori derivanti dalla scomposizione della luce bianca sicché esistono corrispondenze precise tra suono-colore e corpi celesti. Nella tradizione buddhista in generale e nel buddhismo giapponese, in particolare, è riferita al Buddha (Hotoke) ed a colui che ha raggiunto il risveglio (settori) la capacità di ascoltare i suoni e di visualizzarli, allo stesso tempo, come forme luminose varianti di colore ed intensità a seconda della variazione del tono e dell'intensità del suono. Questa simultanea percezione auditiva e visiva, che può anche non realizzarsi attraverso l'organo della vista ma come visione interna alla mente, è detta tecnicamente "sinestesia". Un haiku di Matsuo Bashò (1644-1694) rivela questa capacità sinestesica:

    Umi kurete kamo no koe honoka ni shiroshi Il mare s'oscura richiami di oche selvagge biancheggiano appena

    Nelle più svariate tradizioni si trovano fissati i rapporti tra i vari piani di manifestazione dell'Energia universale che si estrinseca appunto, essenzialmente come vibrazione.

    Per restare nell'ambito dei popoli nordici essi usano comunemente dire che il sole e la luna "cantano" o "fischiano" la loro luce. La forma della runa ricorda molto da vicino la forma dei segni usati in altri alfabeti arcaici per esprimere la sibilante s. Si tratta, in
    definitiva, di una forma stilizzata della spirale il simbolismo della quale riporta all'idea di ciclicità e di eterno ritorno. Si noti che la forma caratteristica dello strumento a fiato chiamato in a. isl. lùór, una specie di tromba bronzea usata molto probabilmente nei culti solari, è quella di una S. Sono stati ritrovati esemplari di questo strumento di dimensioni ragguardevoli (fino a due metri e mezzo). Le incisioni rupestri testimoniano l'uso del lùòr fin dal primo millennio a.C.

    Cesare (D.B.G., VI, 21) afferma che i Germani «Deorum numero eos solos ducunt, quos cernunt et quorum aperte opibus iuvantur, Solem et Vulcanum etLunam, reliquos ne fama quidem acceperunt».

    Che il Sole e la Luna fossero particolarmente sacri ai Germani lo sta a dimostrare, tra l'altro, una proibizione di Eligio ai Franchi, datante al VII sec., che comprova la tenacia con la quale quelle popolazioni conservavano le vestigia della loro tradizione: «nullus dominos solem aut lunam vocet neque per eos iuret», «che nessuno invochi (come) signori il sole e la luna né giuri per essi».

    Il culto solare si riporta a tempi antichissimi ed affonda le sue radici nella religiosità originaria indoeuropea. Sono frequenti raffigurazioni rupestri nelle quali la ruota solare appare tenuta alta da un portatore (come insegna o stendardo) o appare circondata da figure (probabilmente adoratori) o è rappresentata posta su un carro tra simboli umani e animali (particolarmente significativa la presenza del cervo).

    Il "Carro solare di Trundholm" (Seeland), rinvenuto nel 1902, testimonia il culto solare nell'alto periodo del bronzo. La ruota solare, bronzea, è ricoperta da una lamina d'oro con ornamentazioni sbalzate a spirale. La presenza della spirale (la lettera S1 è una spirale) non è casuale giacché rimanda all'idea della ciclicità e dell'eterno ritorno: sappiamo, del resto, dall'Edda che i popoli germanici credevano nel ritorno di un nuovo sole dopo la distruzione dell'attuale, come si è detto:

    «.Una figlia genererà Alfroòul (il sole) prima che Fenrir giunga, questa fanciulla percorrerà, quando gli dèi morranno, i sentieri della madre».

    Circa il carro solare Snorri dice: «(gli dèi) fecero guidare a Sóli i cavalli che trainavano il carro solare, costruito dagli dèi, per illuminare i mondi con una scintilla proveniente da Mùspell. Questi cavalli così si chiamavano: Arvakr ("che-si-desta-presto") e Alsviór ("Molto-veloce"); sotto le scapole dei destrieri gli dèi posero due manticiper rinfrescarle: sono quelli che in certi poemi antichi sono detti mantici di ferro».

    Noteremo qui soltanto di passata come l'idea che gli antichi adorassero il sole unicamente in quanto astro datore di vita sia oltremodo riduttiva: in India, ad esempio, è questione di un Sole "che non tutti conoscono con lo spirito" e di un sole "che tutti gli uomini vedono".

    Nella mitologia greca Helios è il dio del sole visibile, Apollo il dio del Sole spirituale quel Sole che brilla all'interno del cuore (il Sole della retta conoscenza, dell' ispirazione del poeta e dei vati) come il sole astronomico brilla al centro dei cicli. Troppo spesso, nell'in-terpretare il pensiero dell'uomo antico, si cade nel pregiudizio di attribuire alla realtà da quello contemplata un valore esclusivamente "reale", in senso moderno, cioè materiale. Tale pregiudizio, perdendo di vista il fatto che per l'uomo religioso ogni realtà materiale ha un valore simbolico che riporta ad un'analoga Realtà che sta a quella come causa ad effetto, si preclude la vera comprensione dei documenti che si studiano e di scientifico ha solo il puntiglio col quale si collezionano dati per spiegare le cose in modo esattamente opposto al significato che essi rivestono presso le culture cui appartengono.

    L'espressione del poema islandese: "il sole è l'angoscia mortale dei ghiacci" si riferisce certamente al ciclo annuale della primavera e dello svolgimento dei ghiacci ma sarebbe difficile non cogliere la valenza simbolica della formula se ci si pone nell'ottica del mito L'espressione "angoscia mortale dei ghiacci" richiamava alla mente il mito cosmogonico: «Ginnungagap, dalla parte in cui era rivolto al nord, si incrostò di strati di ghiaccio e di brina... quando la brina si incontrò con il venticello caldo si sciolse e gocciolò, e da quelle gocce viventi si formò la vita per mezzo della forza di colui che aveva mandato il calore... » .

    La runa SÓWULO, riferita al microcosmo umano, indica l'elemento igneo, la sfera solare dell'essere, quella forza trascendente che Odino infuse (gaf) ai primi uomini: lo spirito (ónd). Analogamente in India il Sole è la dimora di Purusha o di Brahmà: esso è l'Arma, lo Spirito universale. Il mito di Mithra presenta elementi che riportano a quanto detto sopra: egli è deus expetra natus, è la potenza vittoriosa del sole, liberata e liberatrice, che scaturisce dalla simbolica "pietra" (equivalente del "ghiaccio" e del "legno", tanto per limitarci all'ambito della cultura germanica).

    Anche la scrittura è un cristallo di pensiero che occorre "scongelare" per coglierne intatto lo spirito vitale. La runa, in specie, è potenza cristallizzata, fissata, che occorre saper destare disserrandola dal segno che ne è il sigillo. Ma per far tanto occorre possedere quel Sole interiore che contraddistingue il sapiente, fra i Germani VerilaR. In quanto runa solare SÓWULO esprime la regione cosmica sede delle potenze luminose: gli dèi celesti e gli Elfi che, nett'Edda, hanno dimora presso le sale degli dèi: «Molti luoghi lassù sono nobili. Ce n 'è uno chiamato Àlfheimr dove vive il popolo che si chiama Liósàlfar ("Elfi della luce": Ijós = "luce splendente"), mentre i D0kkàlfar ("Elfi scuri": d0kkr = "oscuro") abitano sotto terra, e sono da loro diversi nell'aspetto ma più ancora nella realtà. I Liósàlfar ali 'aspetto sono più belli del sole, mentre i D0kkàlfar sono più scuri della pece». Subito dopo aver fatto menzione degli Elfi l'Edda menziona la regione celeste detta Breióablik ("Ampio splendore"). L'etimologia di àlfr, "elfo" è incerta. Se la parola si interpreta in senso fausto (solare) può essere comparata al latino albus, "bianco"; greco alfós, "punto bianco" nonché al sscr. ribhu, "splendente" dall'i.e. ALBH-.

    Tuttavia, specie dopo la cristianizzazione, accanto all'antica valenza solare gli elfì acquisiscono un carattere negativo, ostile: così in ambito anglosassone troviamo rimedi per prevenire e curare mali dovuti al "colpo dell'elfo" ma si continua ad usare, contemporaneamente, un aggettivo che testimonia dell'originale carattere luminoso: Klfsciene (elfshining, potrebbe tradursi in inglese: "splendente come un elfo").

    Tenendo presente questa valenza nefasta degli elfì alcuni tendono a far risalire l'origine del nome ad una radice i.e. LBH-, LEBH-, LOBH-, esprimente il senso di "ingannatore".

    Nel folklore anglosassone erano conosciuti vari tipi di elfì: elfì bruni; elfì dei campi; elfì dei monti; elfì del mare; elfì degli alberi; elfì delle acque correnti; elfì selvatici.

    Chaucer (XIV sec.) nei The Canterbury Tales scriveva che le preghiere dei monaci cristiani frugando le acque e le terre più fitte che uno sciame di insetti in una lama di luce avevano fatto sparire gli elfì che un tempo popolavano quelle contrade.

    La runa solare appare in alcuni nessi di evidente valore magico: sulla pietra di Kylver, Svezia (I metà VI sec.), assieme alla serie runica di 24 segni compare il nesso sueus nel quale la prima runa è invertita rispetto alla forma normale. Il Marstrander propone di leggere il nesso specularmente come eus eus (partendo cioè dal centro) ed interpreta eus come "cavallo". La pietra di Kylver (Go-tland) essendo stata usata come chiusura di sepoltura riporterebbe al significato funerario del cavallo come animale psicopompo.

    Altri autori (Schneider) interpretano la ripetizione del termine indicante il cavallo come invocazione alla coppia di gemelli divini corrispondenti agli dèi della terza funzione (Dioscuri ed Ashvin in Grecia ed in India). In questo senso il nesso acquisterebbe il significato propiziatorio cui i gemelli, preposti alla salute ed alla fecondità, rimandano.

    Interpretando le rune singolarmente si hanno i significati di "sole"; "potenza"; "cavallo"; "potenza"; "sole" e ciò sarebbe da intendere nel senso di un ritorno, di una resurrezione. Cosa plausibile se si pensa alla destinazione della scrittura: allora la serie runica avrebbe un valore apotropaico e il nesso in questione un valore augurale rivolto al defunto (l'iscrizione era posta all'interno della tomba).

    Sulla pietra di Fleml0se, d'epoca vichinga, appare il nesso sis. Il senso del palindromo magico potrebbe essere quello augurale di uno scioglimento del ghiaccio (runa ÌSA) in senso reale o allegorico.

    Sul bratteato n. 20 da Lellinge, Danimarca (I metà VI sec.), la runa SÒWULO appare in connessione col nesso alu (v. "rune di birra", in NAUDIZ) ripetuta due volte: s alu s alu. Qui il senso è palese: si tratta di un augurio di luce, salute e prosperità (alu). La duplice scrittura del segno è prescritta nelle invocazioni, da quanto può dedursi àaìVEdda (Sigrdrifomàl, str. VI).

    Alu, "incantesimo, estasi, magia, protezione'" (Buti 1982:25) cfr. a. norr. di, "birra". In greco alno significa "sto fuori di me" e ale "andare in giro vagando sensa senso", "fuori di sé".

    Sul bratteato n. 41 da Hammenhòg appare il nesso slkr (l'ultimo fonema è espresso da ALGIZ) da intendersi, probabilmente (Schnei-der), come s l(au)k(a)r.

    Etimologicamente il runico laukaR è imparentato col norreno laukr è col danese I0g, "porro" "aglio". LaukaR potrebbe essere stato il nome primitivo della runa LAGUZ: nei manoscritti di Leyda e di Londra la runa porta la denominazione di laukaR. L'aglio (o il porro) appare nei testi in stretta connessione con la fecondità. Nella Vóluspà il "verde aglio" è la vegetazione della terra primordiale. Nel Sigrdrifomàl (str. 8) la valkyria suggerisce di mettere dell'aglio (o forse delle rune LAUKAR/LAUKAZ: v. runa LAGUZ) nella coppa piena:

    «Devi benedire la coppa ricolma e guardarti dal pericolo

    e mettere aglio nella bevanda:

    ed io ti assicuro che mai a te capiterà

    idromele avvelenato.»

    Nell''Helgakviòa Hundigsbana (str. 7) il giovane principe Helgi ottiene in dono dal re un porro (o aglio).

    Nel Guòrunarkvida (str. 18) Guórun piange Sigurór comparandolo al fiore del porro che cresce nei campi.

    Il Volsa battr (XIV sec.) menziona l'uso magico, nel contesto dei riti agrari di fecondità, di conservare in un involucro di lino un sesso di cavallo e dell'aglio: lini... en laukum.

    Il coltello di Floksand (Norvegia) porta l'iscrizione linalaukaRf (i segni runici che corrispondono alla a ed alla R sono legati assieme). L'età del documento è circa il 350.

    In un testo anglo-sassone del X sec. contenente prescrizioni magi che e ricette di erboristeria, il Leechbook, si raccomanda l'aglio (garleac, ingl. garlic) contro i "colpi degli elfi".

    L'uso magico della scrittura laukaR appare testimoniato in diversi reperti tra i quali citiamo il bratteato di Skidstrup (circa il 550) che presenta l'iscrizione laukaR unita alle "rune della birra" alu: laukaR alu.

    Nel bratteato n. 71 da Bòrringe (circa 550) appare il nome del proprietario accompagnato dalle rune della birra (in forma abbreviata) e da laukaR: tanulu al laukaR, (tanulu / tantulu = "l'incantatrice"?).





    TEIWAZ - TIWAZ



    "runa del dio Tyr". La forma protogermanica * Teiwaz (nell'area germanica occidentale Tiwaz) si riporta etimologicamente al greco Zeus (da un originario *dje(v)s) e al vedico Dyàus che designano il "Padre Celeste": gr. Zeus Poter; sscr. Dyaus Pitar; lat. Jupiter (da diespiter). La forma indoeuropea DIEUS significava all'origine "giorno", "cielo luminoso" e, quindi, "dio del cielo luminoso". Essa deriva da DEIEU- che ha il senso di "risplendere" da cui il sscr. dideti "appare", "splende"; il gr. dèlos, "manifesto"; il lat. dies e l'a. irl. die, dia, "giorno"85
    II Bremer e il Krause accostano l'antico islandese tyr e la sua forma plurale tivar "dèi" al sscr. deva-s "dio"; al lat. divus e deus; all'a. irl. dia; al lit. dièvas da una radice i.e. DEIWO- nella quale, comunque, è presente l'idea di "risplendere" (espressa da DEI-). Dalla radice i.e. DEI- deriva il sscr. dideti, "splende'?; l'a. isl. teitr, "felice" (nel senso di "splendente di gioia") e il ted. heiter, chiaro". Questa runa inizia la terza famiglia runica detta, appunto, Tyr astt.

    Nell'Edda di Snorri si legge:

    «...C'è un dio che si chiama Tyr, è il più coraggioso e il più ardito e decide la vittoria in molte battaglie. È bene che lo invochino gli uomini di coraggio. Si dice "valoroso come Tyr " chi sopravanza gli altri uomini e non vacilla. Egli era così saggio che si chiama "savio come Tyr" il sapiente. Prova il suo coraggio il fatto che quando gli dèi lusingarono il lupo Fenrir per legarlo con la catena Gleipnir, gli posero in bocca la mano di Tyr come pegno, non fidandosi l'animale che lo avrebbero liberato. E quando gli dèi non vollero scioglierlo, egli morse la mano nel punto che è detto "giuntura del lupo " (il polso); perciò Tyr è monco e non è considerato propizio alle riconciliazioni tra gli uomini»u. Il lupo Fenrir fu incatenato dagli dèi per tre volte: la prima volta con una catena di ferro detta Loeding ("catena", "ceppo"), che il lupo spezzò, la seconda con una catena di ferro chiamata Dròmi ("catena"), che il lupo, sebbene a fatica, spezzò. La terza volta Odino mandò Skirnir, servo di Freyr, nella Regione degli Elfi Scuri (Svartàlfaheimr) alla ricerca di alcuni nani che costruissero una catena speciale infrangibile. Essa fu detta Gleipnir, "che azzanna" (Mastrelli), ed era costruita con sei ingredienti: rumore di passo di gatto; barba di donna; radici di montagna; tendini di orso; respiro di pesce e sputo di uccello. Quando gli dèi porsero la corda Gleipnir, liscia come la seta, a Fenrir questi fu diffidente subodorando qualche inganno e acconsentì a lasciarsi imbrigliare solo quando Tyr pose la sua mano destra nelle fauci del lupo. Fenrir provò a strappare la corda ma non vi riuscì. Gli dèi risero ma Tyr perse la mano. Sappiamo tuttavia dalla Vòluspà che negli ultimi tempi, per l'ultima battaglia, "i lacci si romperanno" e il lupo si libererà. Tyr, "dio della guerra e del diritto" (De Vries) rappresenta l'ordine solare che prevale sulle forze del caos (il lupo); la potenza ordinatrice che regola la manifestazione universale come Norma sovrana e, nella società degli uomini, permette lo svolgimento di ogni attività in armonia con l'Ordine supremo.

    La valkyria Sigrdrìfa raccomanda a Siguròr l'uso delle "rune della vittoria" (sigrùnar) in battaglia:

    «Devi imparare le rune della vittoria,

    se vuoi essere vincitore,

    e inciderle sull'elsa della spada;

    alcune sulla lama, altre sul dorso,

    e devi invocare, inoltre, Tyr per due volte».

    La mutilazione di Tyr, che Dumézil pone a confronto con quella del romano Muzio Scevola, ricorda da vicino quella di Odino: là è un occhio ad essere sacrificato, qui è la mano come pegno (ai vedi) ma entrambi gli dèi ottengono in cambio la sapienza ed il potere di prevalere sull'avversario. Odino mediante la magia e Tyr mediante il diritto. De Vries spiega così il fatto che nella figura di Tyr si assommino due funzioni -quella del diritto e quella della guerra -richiamando l'attenzione sul concetto di "guerra" presso i Germani: «Bisogna tener conto (...) che, dal punto di vista germanico, non vi è contraddizione tra il concetto di "dio delle battaglie " e quello di "dio del diritto ". La guerra, infatti, non è soltanto la mischia sanguinosa del combattimento, ma una decisione ottenuta tra le due parti combattenti e garantita da precise regole di diritto. Per questo, frequentemente, il giorno ed il campo di battaglia erano fissati in anticipo...

    Per la forma TEIWAZ ricorda la lancia. Da quanto siamo venuti esponendo circa la figura di Tyr può dedursi facilmente che il senso implicito nella runa TEIWAZ abbraccia tutte le possibili valenze della "guerra" intesa, cioè, anche in senso interiore. Questa sigrùna può essere interpretata come segno della forza trascendente che, nell'uomo, ordina le correnti incomposte della natura terrena. È la runa della vis solare che si oppone a quanto nega la luce così come, nel mito, gli dèi del cielo contrastano la potenza dissolutrice del caos per permettere lo svolgimento del ciclo della manifestazione universale. L'incatenamento di Fenrir e di Loki sta ad indicare l'ordinamento del caos primordiale (svolgendo il mito in chiave cosmogonica) e, contemporaneamente, l'ordinamento che sussegue alla vittoria del bene sul male (svolgendo il mito in chiave morale). Senonché tale ordinamento è temporaneo -ciò sta ad indicare il mito - il patto (veó) di cui Tyr è garante, dura quanto dura il ciclo universale. Alla fine di esso le potenze del caos si liberano e vincono.

    La runa in questione, per la sua stessa forma, è associabile alla lancia di Odino che, in guerra, "lega" o paralizza magicamente gli avversari.




    BERKANA / BERKANAN

    "betulla" (forse "ramo di betulla"); a. isl. bjòrk; a. ingl. beorc, birce (nome di runa, "la betulla"); a. irl. bergann; lat. farnus, fraxinus', sscr. bhurjah da i.e. BHER- che indica contemporaneamente "altezza" (cfr. a. ted. bor "altezza"; sscr. brhàyati, "accresce") e "splendore" (cfr. a. isl. brimi, "fuoco"; got. bairths, "chiaro"; sscr. bbrasate, "fiammeggia").
    Dalla stessa radice i.e. discende l'a. isl. bjarga, "aiutare", cfr. a.a.t. bergan; ted. bergen, "portare in salvo". Dalla stessa radice deriva l'a. isl. ber a, "generare" - che rimanda alla funzione delle dee Freyja e Frigg associate idealmente al segno runico in questione - e derivano anche brim, "mare" e brimo, "suono del mare".

    Dalla radice BHER- deriva, inoltre, l'a. isl. bersi; ags. bera, "orso".

    Il Sigrdrìfomàl, str. 9, chiama le rune che alleviano il dolore alle partorienti bjargrùnar, "rune di soccorso". Si può però anche supporre che il termine derivi da una forma primitiva bjórkrùnar, "rune di betulla".

    L'albero della betulla - o per meglio dire lo spirito arboreo che abita nella betulla - compare, in molte parti d'Europa, nei riti di fecondità.

    È ben conosciuta la connessione profonda tra lo spirito vegetale che risiede nell'albero ed il parto. Ci limitiamo a citare ad esempio l'usanza svedese dell'albero-custode (tiglio, frassino od olmo) piantato nelle vicinanze della casa e considerato sacro. Le donne incinte abbracciavano l'albero per propiziarsi un facile parto.

    Nell'alfabeto ogamico la betulla corrisponde alla prima lettera dell'alfabeto: beth e al fonema b, nonché al solstizio d'inverno. In diverse parti d'Europa verghe di betulla sono usate per scacciare lo spirito dell'anno vecchio e per battere delinquenti e, soprattutto, lunatici. Si ritiene che la betulla scacci gli spiriti malefici. Le verghe dei fasci portati dai littori romani erano di legno di betulla.

    Presso i Celti la betulla (scorza o assicelle) era usata per la divinazione e ritenuta albero fausto.





    EHWAZ


    "cavallo"; a. isl. jór; got. aìhva; ags. eoh; a. ingl. eh. Cfr. sscr. dcva-s; lat. equus da i.e. EKWO-Presso i Germani il cavallo era associato al culto solare ed era l'animale degli eroi e dei re. Tacito
    tramanda:

    «... particolarità di quella gente (i Germani) è obbedire ai presagi ed ai vaticina dei cavalli. A spese pubbliche se ne nutrono alcuni nelle selve e nei boschi sacri, candidi e non deformati dalle fatiche. Questi, avvinti al carro, sono accompagnati dal sacerdote dal re o dal principe della città che osservano i nitriti ed i fremiti dei cavalli. Nessun auspicio trova maggior fede di questo, non solo tra la plebe, ma anche nell'aristocrazia, poiché tutti considerano i sacerdoti ministri degli dèi e i cavalli loro alleati».

    Nella mitologia germanica il carro solare è trainato da cavalli.

    Al principio del II millennio il cavallo da guerra si impone al seguito delle migrazioni arie, anzi come principale responsabile delle travolgenti vittorie, e il suo culto parallelamente si diffonde sostituendosi - del tutto o in parte - al culto pre-ario del toro e della vacca. Il sacrificio del cavallo, Yagvamedha è particolarmente sacro nei culti vedici.

    Il simbolismo del cavallo, tra i più complessi, presenta una duplice valenza: tellurica e solare, infera e celeste. Il cavallo nero appare sovente come epifania di forze sotterranee: in Germania la giumenta Mahrt è un demone tremendo. Altre volte è un cavallo bianco che atterrisce con le sue apparizioni.

    Sempre in connessione col mondo dei morti sono da ricordare le cavalcature delle valkyrie che la Vòluspà definisce "abili nel cavalcare" (gòrvar at rida). Sleipnir, "Sdrucciolevole", destriere sciamanico di Odirio ha otto zampe e permette al dio di comunicare con tutti i mondi.

    Il cavallo accompagnava sovente il suo signore nel viaggio nell'aldilà.

    Anche presso i Celti il cavallo appare come animale funerario.

    Il simbolismo del cavallo appare anche in profonda relazione con la fecondità: i Dioscuri greci, come i gemelli Ashvin dell'India, sono possessori di cavalli e presiedono alla terza funzione divina: la protezione della salute e la fecondità, nonché alla terza classe sociale, quella dedita alla produzione (agricoltura, allevamento, commercio).

    La connessione cavallo-acque-fecondità (protezione divina sulla salute) è conosciuta nelle più diverse culture: il carattere impetuoso dell'animale lo associa naturalmente alle correnti datrici di vita e di morte. Nella Grecia arcaica il cavallo era sacro a Poseidon, signore degli abissi marini e delle acque terrestri. Il sacrificio di cavalli alle correnti fluviali o alle acque in genere dovette essere praticato già in ambito indoeuropeo.




    MANNAZ /MAN(N)Z


    "uomo". La radice del germanico comune è *mann-mannon-; cfr. got. manna; a. isl. maòr; a. ingl. man(n).
    È il segno dell'uomo e della stirpe umana connesso con il mitico progenitore Mannus, generato dall'androgino primordiale Twisto:

    «(I Germani) celebrano nei carmi antichi (carminibus antiquis), unico loro modo di ricordare e fare la storia, il dio Tuisto (Tuisto-nem), nato dalla terra (terra editum) ed il figlio Manna, origine e capostipiti di (quella) gente. Assegnano a Manna tre figli dai nomi dei quali i prossimi all'Oceano sono chiamati Ingevoni, i centrali Erminoni e gli altri Istevoni»m.

    Il nome Twisto rimanda all'idea di "duplicità": nell'a. norr. tvi-si ritrova in composti che indicano "duplicità", "duplicazione", ecc.; in sscr. dvàu è "due"; gr. duo; lat. duo; got. twai, "due"; ingl. two "due", twin, "gemello", twine, "spago" e v. "attoreigliare", twist "intrecciare" e simili. Da una radice numerale i.e. DUO- DUI-.

    Twisto è dunque "il duplice", l'androgino delle origini.

    Mannus ricorda da vicino l'antenato mitico indiano Manu, creatore delle prime leggi che regolano la società umana e i rapporti dell'uomo con il sacro.





    LAGUZ


    "distesa d'acqua", "acqua". A. isl. lògr; a. irl. loch; lat. lacus, da i.e. LAKU-. Forse, alle origini, il nome della runa era LAUKAR / LAUKAZ: "porro", "aglio", ma anche "crescita", "prosperità".
    Runa delle acque nel loro aspetto benefico come elemento di fertilità ma anche nel loro aspetto pericoloso e distruttore.

    La figura divina cui la runa si riferisce è Njòròr, uno dei Vanir, signore delle acque, il nome del quale è da riconnettersi con ogni probabilità al Nerthus di Tacito che questi definisce come "madre Terra":

    «...adorano Nerto, cioè la Terra Madre, e pensano che essa si interessi alle cose degli uomini, e venga fra loro trasportata con un carro. Esiste in un 'isola dell 'oceano un intatto bosco sacro (castum nemus), ed in esso un carro dedicato alla dea, coperto da un drappo. Solamente al sacerdote è concesso toccarlo. Questi comprende che la dea è discesa, e con molta venerazione la segue quando la dea vi si insedia, trainata da due vacche. Sono giorni di letìzia e luoghi di festa quelli ove ella si degna di giungere come ospite. Non si fanno guerre. Non si impugnano armi. Il ferro è rinchiuso. La pace e la quiete sole sono conosciute e amate finché lo stesso sacerdote restituisce al tempio la dea soddisfatta di conversare coi mortali. Dopo il carro, il drappo e, se vuoi crederlo, lo stesso nume (si credere velis numen ipsum) sono lavati in un lago segreto. Gli schiavi che la servono vengono inghiottiti dallo stesso lago. Perciò un arcano terrore ed una religiosa ignoranza circondano questa dea che solo i morituri possono vedere».

    Nell'Eddal'acqua è la sede della vita, il grembo dal quale all'inizio, per la forza fecondante del fuoco, sorse la vita. Dalle acque emerse la prima terra. Dalle acque emergerà la nuova terra dopo che la presente sarà distrutta:

    «L'Alto (Odino) rispose: "Certamente la terra si alzerà verde e bella dal mare, cresceranno gli alberi là dove nessuno ha mai seminato"».

    Ma l'acqua è anche la sede del Serpente del Mondo, Jòrmun-eandr (jòrmun- è un prefisso che denota "vastità immensa" e gandr, letteralmente è "bastone magico"). Il Serpe che ucciderà i>orr si annida sul fondo dell'oceano che circonda Miògaròr ed attorno alla Terra di Mezzo con le sue spire si avvolge.

    Nel Beowulf'sotto le acque si annidano tremendi demoni notturni abitatori delle paludi stagnanti, oscuri laghi frequentati da forze innominabili, dalle acque profonde che emanano una così intensa malvagità che «cervo braccato dai cani fin sul bordo del lago preferisce essere sbranato pur di non gettarsi in quelle acque».

    Tutto ciò ci riporta ad una valenza particolare del simbolismo delle acque, quella che pone l'acqua in relazione con la sfera psichica, col mondo dell'instabilità e del divenire. L'"acqua" è l'elemento che va dominato, "fissato" affinchè possa giungersi alla Sapienza simboleggiata dall'Isola delle mele d'oro (Avallon celtica, Isola delle Esperidi greca). Giasone deve affrontare le insidie di un viaggio pericoloso per giungervi e potrà riuscirvi solo grazie all'aiuto di Athena. Mosè e Remolo sono salvati dalle acque. Cristo e Buddha sono dominatori delle acque.




    INGUZ / INGWAZ


    "Yngvì"; a. isl. ynglingr, "giovane".
    Questa runa è interpretabile come segno degli antenati, del fuoco sacro della stirpe. Il fuoco del focolare domestico rappresenta la manifestazione visibile dell'unione familiare. Il focolare è il centro naturale attorno al quale si riunisce la famiglia ed è, insieme, simbolo della continuità della stirpe. Nel culto del fuoco sacro di Vesta a Roma è da ravvisare una forma statalizzata del culto famigliare.





    OÞILA / OÞALAN / OÞILAN



    "proprietà", "patrimonio". Cfr. a. norr. ódal, "proprietà ancestrale", "patrimonio", "eredità", "luogo natale" (l'espressione flyja óóul sin significa: "abbandonare la propria casa", "andare in esilio"). Nell'a. ingl. epel significa "patrimonio".
    È il segno dello spazio protetto dal diritto: lo spazio della dimora famigliare e dei beni della famiglia e, in forma più estesa, lo spazio nel quale si svolge la vita della società umana, il recinto (o l'aula, o l'area) delping.




    DAGAZ


    "giorno"; a. ingl. <fe; a. isl. dagr, "giorno"; daymògr, "figlio del giorno", "uomo, eroe".
    Segno del dio Dagr, figlio di Dellingr "Splendente" e Nótt "Notte". Il suo cavallo è Skinfaxi, "criniera splendente". Lo Schneider propone di vedere in questo segno runico l'allusione alla stella



    Le Rune

  3. #3
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: Le Rune - Una introduzione

    Per approfondire il tema:





    MARIO POLIA

    LE RUNE E GLI DEI DEL NORD

    Nuova edizione - "Il Cerchio" Rimini

    pp. 180 - € 16,00



    Già dal loro nome, che esprime l’idea di “segreto”, “mistero”, di un insegnamento da “sussurrare” all’orecchio da maestro a discepolo, le rune rimandano all’universo mitico delle antiche culture germaniche e sono associabili alle funzioni dei vari dèi che componevano quell’universo. Questo volume - giunto alla quarta edizione - esplora esaurientemente il complesso universo delle valenze sacrali della scrittura runica: il prestigio sacro con cui erano considerati i segni; i loro miti d’origine; le relazioni col mondo mitico germanico; il loro impiego non solo come segni di scrittura ma come ideogrammi in amuleti ed iscrizioni di evidente carattere magico. L’approccio di questo saggio è rigorosamente scientifico, con numerosi riferimenti alle fonti originali, così da staccarsi nettamente da analoghi lavori di stampo new age volti al permettere al lettore più sprovveduto l’accesso ad un preteso impiego “magico” ed oracolare delle rune. Una lettura indispensabile per chi voglia approfondire la conoscenza della cultura religiosa dei popoli germanici.
    Ultima modifica di Avamposto; 27-07-10 alle 18:27

  4. #4
    Avamposto
    Ospite

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  5. #5
    Avamposto
    Ospite

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