Matteo Renzi e Dario Franceschini al Corriere della Sera, mediazione e conciliazione per evitare la scissione nel Pd
L'Huffington Post
Pubblicato: 03/02/2017 08:05 CET Aggiornato: 5 ore fa
Un colloquio con il Corriere della Sera dopo l'intervista al Tg1, per Matteo Renzi è il momento di segnalare con forza il cambio di linea e aprire alla conciliazione con quella parte del Partito Democratico che si prepara allo strappo. Una campagna a cui si aggiunge Dario Franceschini, sempre al Corriere della Sera, che media fra Renzi e Bersani per tenere unito il progetto democratico.
Matteo Renzi non esclude di tirarsi fuori dalla corsa a premier, come anticipato già ieri dall'amico sindaco di Firenze Dario Nardella, ammette gli errori commessi - in particolare sul referendum dice, "un calcio di rigore tirato malissimo" - e apre al dibattito interno dicendo che "non posso più dettare la linea da solo". Un Matteo Renzi che appare disposto a trattare, perché, assicura, "non mi va di essere raffigurato come una persona ròsa dalla voglia di andare alle elezioni anticipate per prendersi la rivincita" e perché "è cominciata una fase politica diversa" che vuole continuare a giocare con il Pd. "Il punto è se votare a giugno, o a febbraio del 2018. Se si celebra il Congresso si va all’anno prossimo, altrimenti si fanno le primarie. Non ho problemi a fare il Congresso. Volevo farlo a dicembre, ma me l’hanno impedito. E adesso lo invocano... Ma lasciamo stare!".
Renzi punta a spezzare l'assedio e almeno a parole, almeno mentalmente, apre alla possibilità di cedere il passo a un altro candidato del Pd a Palazzo Chigi. "La prossima volta potrei non essere io. Magari potrebbe toccare ancora a Paolo Gentiloni, o a Graziano Delrio. Lo scenario della prossima legislatura imporrà probabilmente governi di coalizione. Attenzione, però. Trattare con l’Europa e ottenere risultati sarà più difficile, nel nuovo scenario internazionale".[...] "È bene ragionare sui pro e i contro delle elezioni anticipate. Si vuole andare avanti? Siamo pronti, se si ritiene che serva. Con Gentiloni il rapporto è tale che ci diciamo tutto. E capisco che l’obiezione di presentarsi al G7 di fine maggio con un governo dimissionario non offrirebbe una bella immagine dell’Italia. Ma in Europa andrà comunque un governo dimissionario dopo qualche mese, con la manovra finanziaria alle porte. Quindi..."
Nella strategia comunicativa di conciliazione si inserisce anche l'intervista del ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini al Corriere della Sera, in cui propone a Berlusconi e Alfano, a Bersani e Pisapia una strategia comune: da un lato l'offerta ai centristi e a Berlusconi di un cambio della legge elettorale, "spostando il premio di maggioranza alla coalizione e non più alla lista", così da chiudere l’intesa bipartisan in Parlamento, dall’altro l'offerta alla minoranza del Pd di "primarie di coalizione" per evitare la scissione del partito e aggregare un pezzo di sinistra che vuol fare parte del progetto riformista. Offerta corredata da un senso di urgenza perché "siamo dentro una bufera che colpisce l’intero Occidente, con il populismo che cavalca le paure della gente, con le prossime elezioni in Germania e soprattutto in Francia dall’esito incerto, con un dibattito aperto sui destini dell’Unione dopo la Brexit, con il Paese gravato da sacche di povertà e disoccupazione. C’è quindi la necessità — ognuno per la propria parte — di trovare soluzione ai problemi, evitando di crearne ulteriori". Franceschini respinge l'ipotesi di scissione nel Pd e invita a guardare avanti compatti. "Un conto è il giusto ricambio dei gruppi dirigenti, altra cosa è la capacità di essere inclusivi, specie davanti ai rischi che stiamo correndo. Abbiamo impiegato vent’anni per fare il Pd. Vent’anni di storie politiche e percorsi personali a volte difficili: si può disperdere un simile patrimonio? Perciò quando sento parlare di scissione penso che la sciagura vada evitata". [...] "C’è un percorso che può scongiurare la scissione. Dopo la vittoria del No al referendum costituzionale, il sistema politico è entrato in una fase nuova: rispetto agli anni in cui il bipolarismo tendeva al bipartitismo, ora — con un sistema proporzionale — bisogna perimetrare il campo riformista per non disperderlo. Lo si può fare con l’azione politica e anche modificando in pochi punti la legge elettorale emersa dalla sentenza della Consulta. A mio avviso il premio di maggioranza andrebbe assegnato alla coalizione, alla Camera e al Senato, rispettando i dettami costituzionali: così si avrebbe negli schieramenti una corretta articolazione delle posizioni".
Franceschini esorta ad un accordo il più ampio possibile in Parlamento, che guardi a quell'area di centro che "ha collaborato con i governi di Letta e Renzi, e ora collabora con quello di Gentiloni: sarebbe strano se dopo cinque anni ci candidassimo su fronti contrapposti", ma anche "a sinistra del Pd" seguendo l'operazione di Pisapia. "Per tenere insieme questa aggregazione, servirebbero le primarie di coalizione. Peraltro non bisognerebbe inventarsi nulla: è lo stesso percorso che portò alla sfida per la premiership tra Bersani e Renzi. Il 13 febbraio la direzione del Pd non avrebbe che da applicare quelle regole". [...] "Registro l’apertura di Renzi alle primarie, che sono logicamente collegate al premio di coalizione. La competizione diverrebbe uno strumento unificante, con candidati del centro, del Pd e della sinistra. E siccome sappiamo già che il prossimo sarà un governo di coalizione, le modifiche al sistema di voto assegnerebbero la scelta dei parlamentari agli elettori".
Il ministro dei Beni Culturali non fa riferimenti temporali sulla scadenza della legislatura, affidando a Sergio Mattarella il compito che la Costituzione gli affida, ma segnala che se si trovasse un accordo ampio in Parlamento sulla legge elettorale, questa riforma "potrebbe anche essere l’ultimo atto della legislatura".