da "Avanguardia" n°191 - Dicembre 2001

Paolo Buchignani
Fascisti Rossi. Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica. 1943 -1945
Mondadori "Le scie", Milano 1998, pp. 316, lire 32.000

(…) lucidissimo profeta di ciò che rappresenterà il MSI nella storia politica dell'Italia repubblicana, ovvero la ruota di scorta della DC e il serbatoio segreto del Ministero dell'Interno, delle Forze Armate e della CIA (…)

Paolo Buchignani (cl. 1953), toscano, è uno storico il cui campo d'azione principale è la cultura italiana del ‘900. I Lettori forse già conosceranno le sue altre due opere importanti, ovvero “Un fascismo impossibile. L'eresia di Berto Ricci nella cultura del Ventennio” e “Marcello Gallian. La battaglia anti­borghese di un fascista anarchico”. Sono due opere a loro modo «coraggiose» in un panorama editoriale e «culturale» come quello italiano, dove sino a pochissimi anni or sono ‑ed in parte anche oggi‑ qualsiasi indagine storica relativa al ventennio fascista ed alla guerra civile che non fosse puramente e ferocemente denigratoria e calunniosa veniva osteggiata o, nel caso migliore, ignorata.
Ricci e Gallian furono due fascisti anomali per l'immaginario collettivo della republichetta democratica italiota ma non certo per gli autentici nazionalrivoluzionari, che anzi vedono in loro ‑fra tanti altri, del resto‑ il volto più somigliante a quello che avrebbe dovuto avere il Fascismo autentico. E se con Ricci e Gallian il Buchignani esplora il terreno a lui più congeniale, ovvero quello delle avanguardie artistiche e degli ambienti intellettuali che negli anni tra le due guerre tentarono di fare del Fascismo uno strumento di rottura dell'asfittica società liberal-borghese che ancora prosperava, con questo suo terzo libro, anch'esso «coraggioso», illumina invece una «storia sconosciuta» (come recita il sottotitolo) dell'immediato dopoguerra, in una Italia ancora insanguinata e devastata; e questa volta si tratta di una vicenda squisitamente politica e tenuta pressochè segreta per cinquanta anni.
Nel maggio 1947 fa la sua apparizione, a Roma, il primo numero della rivista “Il pensiero nazionale" diretta da tale Stanis Ruinas, pseudonimo di Giovanni De Rosas, nato nel 1899 ad Usini (SS) e morto nel 1984 a Roma, rivista che sopravviverà, sempre diretta da De Rosas-Ruinas, sino al luglio 1977. Di famiglia proletaria, Ruinas si trasferisce in gioventù a Roma ove aderisce al Fascismo ed inizia una spumeggiante attività di giornalista e pubblicista, scrivendo su vari giornali e riviste. Intransigentemente repubblicano, antiborghese ed anticapitalista, anticlericale (ma non comunque anticristiano) ed imbevuto, come era allora invalso, della «mistica» risorgimentale, laica, mazziniana e garibaldina, fu anche direttore di testate locali in Toscana ed Emilia senza perdere l'occasione di scontrarsi con le gerarchie del PNF (da cui fu espulso e poi reintegrato un paio di volte); fu anche corrispondente di guerra in Africa Orientale e in Spagna, poi in Nord Africa nel 1940 e successivamente a Berlino con incarichi di assistenza alla comunità italiana in Germania. Dopo l'onta dell'otto settembre aderì alla RSI e ricoprì anche, a Venezia, alti incarichi nella pubblica amministrazione. Con la fine della guerra, e dopo un breve periodo di detenzione, ritorna a Roma, in una Italia occupata dalle truppe americane e dove la reazione borghese si appresta a ridisegnare la mappa degli equilibri politici all'ombra degli USA. Ed è in questo preciso frangente storico che vede la luce "Il pensiero nazionale", nel quale si raggruppano, nelle povere stanze di una redazione di fortuna, tutta una teoria di personaggi reduci dalla RSI nella quale (ma ancor prima del ventennio) avevano incarnato l'istanza rivoluzionaria ed anticapitalistica del primo fascismo, combattenti che, fedeli innanzitutto alla più pura essenza politico‑sociale del pensiero mussoliniano, avevano dovuto combattere non soltanto contro i nemici esterni ma forse soprattutto contro quelli interni annidati nei centri di potere non solo del fascismo «savoiardo» ma anche di quello «erresseista», ovvero di quelle forze che trasformarono sin da subito il fascismo in una maschera di se stesso e che, nel tentativo di palingenesi della Repubblica Sociale lavorarono ancora «contro» (o almeno questa è la convinzione di Ruinas) isolando il Duce ormai impotente e ostaggio del «Granducato di Toscana» come Ruinas chiama ironicamente il gruppo dirigente della RSI, formato in maggioranza proprio da toscani.
Saranno proprio questi personaggi che daranno vita, con "Il pensiero nazionale", a quel movimento che sia i simpatizzanti che gli avversari (ma prima di tutto loro stessi) definiranno con l'espressione «fascisti rossi» o, più prosaicamente, «fascisti di sinistra»; un grande movimento politico, culturale ed ideale che affonda le radici nei Fasci di Piazza S. Sepolcro, a Milano, nel 1919.
Nel 1947, dunque, i sedicenti epigoni di quegli anni ormai lontani si ritrovano in una Italia che riparte dalle macerie sotto il tallone americano ma dove, anche, si sta velocemente riorganizzando quello che sarà il più potente partito comunista dell'Europa non sovietizzata, ovvero il PCI. Ed ecco che proprio in questi frangenti si delinea la «missione» di PN di concerto proprio con il PCI, o comunque con la segreteria del partito che appoggia pressochè totalmente la linea strategica tracciata da Togliatti stesso: recuperare, se non al comunismo, perlomeno al voto comunista ed allo schieramento che allora veniva definito dal PCI «democratico, popolare e progressista» centinaia di migliaia di ex-fascisti ed «erresseisti» che durante il Regime prima e (soprattutto) la Repubblica dopo si schierarono apertamente con la forte «corrente» socialista, anticapitalista ed antiplutocratica, più disposta alla guerra contro gli angloamericani che non contro l'URSS.
È Togliatti stesso, ancora ministro della Giustizia, che si fa promotore di questo ambizioso disegno, spalleggiato da alcuni elementi della dirigenza del partito come ad esempio G. Pajetta, progetto peraltro malvisto da altri dirigenti (ad esempio P. Secchia, capo della fazione «insurrezionalista») nonchè dalla neonata ANPI. Togliatti però tira diritto, ma per poter abbattere il muro di diffidenza che logicamente separa il PCI dagli ex-fascisti ha bisogno in un intermediario che possa essere immediatamente identificato ‑da questi ultimi‑ come sodale ed «amico»: Ruinas, con altri giovani combattenti della RSI, provenienti in gran parte dalla Xª MAS, e la rivista PN sono esattamente ciò che occorre.
Inizia così l'avventura di PN, che finirà per diventare una vera e propria cinghia di trasmissione del PCI, ricevendone anche dei finanziamenti, del resto mai dissimulati dal Ruinas anche se sempre piuttosto contenuti. PN non esiterà un attimo a fare da cassa di risonanza alla politica, sia interna che estera, del PCI mantenendo però sempre e comunque quella larga autonomia che doveva servire a rivendicare orgogliosamente il trascorso fascista della redazione, ma di un fascismo, come detto, movimentista e «sovversivista».
La prima campagna di PN è mirata al tentativo di riavvicinamento fra quelli che verranno definiti i «partigiani combattenti a viso aperto» e gli ex-fascisti repubblicani; l'ambiente partigiano era infatti, comprensibilmente, piuttosto refrattario se non apertamente ostile alla politica togliattiana di «pacificazione nazionale». Per contro, specularmente, anche da parte fascista le resistenze erano fortissime; è in questo frangente che giocheranno un ruolo importantissimo gli ex-appartenenti alla Xª MAS, un reparto militare che pur combattendo ‑dopo l'8 settembre‑ per la Repubblica Sociale al fianco della Germania, manterrà sempre un alto grado di autonomia dalle direttive politiche della RSI stessa arrivando al punto ‑in nome di una visione romantica e sentimentale della guerra in generale e di «quella» guerra in particolare‑ di minacciare dei veri e propri ammutinamenti nel tentativo di evitare il combattimento contro «altri italiani» ovvero i partigiani. I reduci della «Decima» diventeranno dunque la punta di diamante di questa avanzata verso l'ex-avversario, che comunque non sortirà (c'era da immaginarlo ...) risultati di rilievo.
Altra importantissima campagna di PN fu quella scatenata contro il neonato MSI con il corollario di giornali e di riviste fiancheggiatrici. La polemica è violentissima, e riflette il timore di Ruinas (e del PCI) che questo partito ‑definito senza mezzi termini come al servizio della DC, degli americani, del Vaticano e sopratutto dei capitalisti e dei borghesi che già avevano voltato le spalle al Fascismo quando era giunta l'ora dell'azione ed ora tentavano di utilizzarlo in funzione anticomunista‑ potesse attrarre larghe fasce di gioventù sinceramente rivoluzionaria da abbacinare con la retorica nazionale e patriottarda. PN badò comunque sempre a tenere distinto il giudizio nei confronti della dirigenza (bersagli preferiti Almirante e Michelini) dal dialogo con la base sopratutto giovanile e popolare con la quale il contatto era continuo, come lo era con la frazione di «sinistra» dello stesso MSI e che, in alcuni casi, portò nuovi collaboratori a PN. Sul fronte opposto (quello del PCI) si distingue poi un altro personaggio destinato a raggiungere i massimi vertici del partito, Enrico Berlinguer, allora segretario del Fronte della Gioventù (come allora si chiamava l'organizzazione giovanile del PCI, poi diventata FGCI) il quale fu tra i più convinti fautori del dialogo non soltanto con gli ex-fascisti (come si solevano definire i seguaci di PN) ma anche con i giovani neofascisti (come invece venivano definiti gli affiliati al MSI).
Dopo alterne vicende, in cui PN sarà comunque sempre «organico» al PCI e lealmente suo alleato, la parabola di PN si esaurisce di fatto nel 1953, quando il compito storico della rivista ‑portare gli ex-fascisti di sinistra con la loro identità e senza abiure e rinnegamenti, dietro la barricata dello schieramento anticapitalista ed antidemocristiano il cui bastione principale, piacesse o meno, rimaneva il PCI‑ appare di fatto concluso. I giochi erano stati fatti, e quello che doveva succedere era successo; alcuni collaboratori di PN, addirittura aderiranno al PCI ed al marxismo mentre il progetto (o forse il sogno) di trasformare PN in un partito politico viene definitivamente abbandonato dopo alcune sporadiche partecipazioni elettorali a supporto del blocco delle sinistre.
Quale giudizio dare, dunque, dalle nostre (di «Avanguardia» ...) posizioni su questa esperienza? Certamente non è possibile estrapolare il particolarissimo momento storico in cui venne giocata quella partita. Stanis Ruinas era sicuramente un camerata divorato da una bruciante passione politica e sociale, un uomo secondo il quale il Fascismo avrebbe dovuto essere semplicemente «una variante del comunismo applicata all'anima nazionale italiana». Fu un uomo che non abiurò mai il proprio passato fascista e non fece mai il «gran salto» nel marxismo; non rifuggì parimenti mai dall'inchiodare l'esperienza fascista italiana, compresa quella «erresseista», alle proprie responsabilità: la capitolazione al capitalismo ed alla finanza, agli interessi dei grandi agrari padani, al nido di vipere di casa Savoia, al Vaticano ... Successivamente, come abbiamo visto, sarà lucidissimo profeta di ciò che rappresenterà il MSI nella storia politica dell'Italia repubblicana, ovvero la ruota di scorta della DC e il serbatoio segreto del Ministero dell'Interno, delle Forze Armate e della CIA; vedrà nel PCI, giocoforza, la sola forza rivoluzionaria e «proletaria», e persino vedrà nell'URSS lo Stato guida per una insurrezione mondiale degli oppressi. Resterà però sempre intransigentemente fedele alla memoria del Duce e mal acconsentirà ad accomunare la sua figura alla sconfitta morale del Fascismo, nonostante le pressioni dei comunisti.
Certamente dobbiamo del rispetto a quest'uomo onesto e pulito, ma non possiamo, a distanza di cinquant'anni da quelle esperienze, non manifestare critiche anche serrate. Possiamo esemplificare: Ruinas e PN non esitarono ad attaccare anche violentemente la Germania Nazionalsocialista; nei ricordi di guerra i giudizi sull'alleato tedesco furono sempre fortemente negativi e del resto la fortuna che quel movimento incontrò tra i reduci della Xª MAS ci deve fare riflettere (anche se PN successivamente sconfessò il comandante Borghese dandogli ciò che si meritava ...); l'idea sociale fu assolutamente predominante nella elaborazione politica e teorica e non venne compresa la FONDAMENTALE DIMENSIONE SPIRITUALE CHE È ESSENZA FONDANTE DI TUTTE LE ESPERIENZE AUTENTICAMENTE «FASCISTE»; furono espresse critiche non sempre giuste nei confronti delle Brigate Nere e di uomini di (crediamo ...) assoluto rispetto come Alessandro Pavolini; venne esaltata (ma erano segni dei tempi ...) l'esperienza del Risorgimento e di personaggi come Mazzini e Garibaldi, con le cui idee noi oggi «non dovremmo nemmeno bere un caffè»; di conseguenza, e come conseguenza di un laicismo esasperato, PN non disdegnò neppure la collaborazione, sia pure saltuaria, di elementi massonici, finalizzata alla costituzione di un «fronte laico nazionale» inviso persino ai comunisti; la questione ebraica non venne minimamente dibattuta (almeno da quanto consta dalla lettura del volume) seppure si può comprendere come dovesse essere materia «off limits» per un movimento contiguo ad un PCI fortemente ebraicizzato; infine l'ossessiva autodefinizione di ex-fascisti lascia forse intuire l'intimo convincimento che quella esperienza storico‑politica non fosse più proponibile.
Alla luce di quei lontani avvenimenti possiamo trarre degli insegnamenti per l'oggi? Quanto i «fascisti rossi» di “Avanguardia” potrebbero trasporre nell'azione concreta all'interno del «lager» euro‑americano‑giudaico­massonico‑mondialista? Non da ieri Avanguardia si è posta, appunto (potenza del nome ...), al di là e al di sopra delle concrezioni ammuffite dello schema destra-sinistra. Il socialismo è e sarà per sempre componente predominante ed irrinunciabile della nostra visione del mondo, componente anzi senza la quale tutta la nostra azione politica affonderebbe nel nonsenso. Come già PN anche noi continueremo a cercare, ossessivamente, il dialogo con quel che resta della discarica dell'estrema destra; come PN, a maggior ragione, continueremo ossessivamente, ad appellarci a quelle forze dell'estrema sinistra realmente rivoluzionarie ed anticapitalistiche nella misura in cui si rendano conto, e ce ne diano atto, che L'AVANZATA FURIBONDA DEL NUOVO ORDINE MONDIALE È STATA PRECONIZZATA PIÙ DALLE NOSTRE ANALISI «VISIONARIE» E «DELIRANTI» che dalle loro tonnellate di carta di analisi «scientifiche».
Noi riconosciamo, seppure a malincuore, che l'iniziativa antagonista non è oggi dalla parte che fu «nostra» (anni luce or sono) e che giunge a sventolare le bandiere a stelle e strisce nei raduni berlusconian‑finiani, ma di quella parte che, perlomeno, tali bandiere dà alle fiamme ...
Graziano Dalla Torre