Nello Rosselli


Da G. Spadolini, “Cultura e politica nel Novecento italiano”, Cassa di Risparmio, Firenze 1994, pp. 63-72




1. Il filone repubblicano dell’Unione Democratica


Giorgio Amendola non ebbe mai rapporti di dimestichezza o di confidenza né coi fratelli Rosselli né col movimento di Giustizia e Libertà. La sua scelta comunista, alla fine degli anni Venti, si era contrapposta risolutamente a quella dei giovani intellettuali dell’antifascismo laico, orientati verso il nascente “terzaforzismo” rosselliano (né marxisti né liberali nel senso tradizionale). Nelle pagine del secondo e purtroppo ultimo volume di memorie, Un’isola, i nomi dei Rosselli ricorrono poche volte e con una vibrazione quasi malinconica, perfino accorata.

Nello finisce per emergere su Carlo. Quando Carlo Rosselli risponde, sul primo Quaderno di Giustizia e Libertà, all’articolo di Giorgio Amendola su Stato operaio, dal titolo significativo e di rottura, Con il proletariato o contro il proletariato, il combattente memorialista di se stesso annota che il giudizio rosselliano si distingue per finezza e meditazione da quello, impulsivo e superficiale, di Nenni: “forse – aggiunge con una punta di ritrosia – per l’influenza dello stesso Nello”, che doveva aver contribuito “al giudizio positivo personale su di me, malgrado il contrasto politico ed ideologico” (1). E pochi mesi più tardi, agli inizi del 1932, quando giunge a Parigi Carlo Levi, legato ad Amendola da vecchia amicizia, cade il progetto di un incontro con Carlo Rosselli: perché – appunta il diarista – “fui sconsigliato dai compagni in quanto consideravano Rosselli troppo sorvegliato da spie dell’Ovra, che si infiltravano anche nella sua casa ospitale e accogliente” (2) .

L’esattezza di quel primo riferimento di Giorgio Amendola è confermata da un volume di lettere e scritti vari di Nello Rosselli comparso sotto il titolo Uno storico sotto il fascismo per i tipi della Nuova Italia, la casa di Calamandrei e del Ponte, a cura di Zeffiro Ciuffoletti (3) che continua, all’ombra delle università toscane, una tradizione di studi ispirata alla religione di Giustizia e Libertà.

C’è un’annotazione del diario di Nello Rosselli che è illuminante e rivelatrice. È del 22 novembre 1929 (Giorgio Amendola aveva aspettato il dodicesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre per iscriversi al PCI): “il comunismo, per quanto diviso e povero ormai in Italia di dirigenti, esercita sempre una enorme suggestione specie sui giovani che hanno bisogno di fare. Di ieri la notizia che un carissimo amico, G. A., già alcuni mesi addietro veleggiante a sinistra, si è deciso a dichiarare le sue simpatie comuniste. Così, se non ci muoviamo perderemo tutti i migliori” (4) .

“Perderemo tutti i migliori”. Quell’angoscia fu comune a molti degli intellettuali antifascisti di matrice democratica. E a respingere le potenti seduzioni del comunismo contribuirà in modo determinante – ecco un paradosso significativo – la fedeltà al padre della nuova recluta del comunismo, proprio Giovanni Amendola.

L’ortodossia amendoliana segna la stessa differenza politica fra i due fratelli. Carlo aveva scelto fin dal 1924 la via di un socialismo problematico, revisionista, largamente solcato da vene neo-risorgimentali e mazziniane: è l’esperienza che lo porterà all’uscita in campo aperto con Quarto stato la rivista diretta insieme all’uomo su cui si rivolgeranno i più aspri e spesso ingiusti bersagli di Amendola, Pietro Nenni. Nello resterà fermo sulla sponda del revisionismo democratico, anziché socialista.

È una parabola esemplare. Nel novembre 1924 Nello si dimette dai gruppi di “Rivoluzione Liberale” cui aveva inizialmente aderito per portare il suo “sì” all’Unione Democratica Nazionale di Giovanni Amendola. “Ritengo utilissima, oggi essenziale – lo scriverà allo stesso Gobetti, in sottintesa polemica col suo movimento antipartito – la formazione di un largo partito intermedio che dia la sensazione al paese che fra fascismo e bolscevismo v’è pur qualcosa”.

Alla fine del 1924 non reggevano più le espressioni politiche né del liberalismo esausto e screditato (il partito che sedeva ancora al governo Mussolini, dopo il delitto Matteotti e detenendo addirittura il ministero della Pubblica Istruzione), né del socialismo roso, corroso, frantumato al suo interno dalla ricerca di una difficile identità. Si cercava qualcosa di nuovo; una forza tendenziale, di attrazione, di aggregazione per il post-fascismo, che qualcuno giudicava vicino, altri lontano (e fra i secondi c’era Gobetti, c’era il giovanissimo La Malfa, aderente all’Unione amendoliana).

“Se ci sminuzzoliamo, addio forza!”. Nello Rosselli combatterà la sua battaglia, con dignità ed equanimità di intellettuale, non senza un costante sforzo di comprensione e penetrazione delle ragioni avverse o diverse. Lo storico in lui prevaleva sul politico. Il martirio riunirà, tredici anni più tardi, i due uomini che avevano incarnato due diversi tipi di opposizione alla dittatura, il primo nell’emigrazione neo-risorgimentale, il secondo nella lotta domestica, nella lotta interna per la cultura.
Ma fra 1924 e 1926 la scelta “amendoliana” di Nello è chiara e senza riserve. E nel fronte amendoliano Nello appartiene al filone repubblicano, al gruppo di coloro – e non erano la maggioranza, almeno fino al giugno 1925 – che scontano la caduta della monarchia come presupposto per la creazione di un nuovo equilibrio politico, in cui si colloca anche il ruolo del “partito della democrazia”, come lo chiamerà, vent’anni più tardi, Luigi Salvatorelli.

La delusione dell’Aventino lo accomuna al fratello Carlo, anche se con tonalità diverse. Scrivendo a Oliviero Zuccarini, il vecchio repubblicano che piaceva a Gobetti, ai primi di maggio del 1926, Nello si presentava con questa carta d’identità: “perché ella sappia qualcosa di me, le dirò che sono dottore in lettere, allievo ed amico di Salvemini, ex-socio della Unione Nazionale del povero Amendola” (5) . Titolo che ribadirà pure, nel giugno 1927, nella lettera di appello per il confino.

Ma l’antologia argomentata e documentata di Ciuffoletti tende a mettere in luce, senza ipocrisie e senza reticenze, anche il successivo periodo di Nello Rosselli storico, uno “storico sotto il fascismo”: quello che si identifica nel lavoro svolto presso la “scuola di storia moderna e contemporanea”, a Roma. Dopo l’incontro con Croce e Salvemini, quello con Gioacchino Volpe.

Volpe apparteneva, come Salvemini, al filone della storiografia economico-giuridica: correttrice delle infatuazioni o delle generalizzazioni dell’idealismo. Ma da quelle premesse era arrivato ad approdi rigorosamente nazionalisti, di contro all’afflato mazziniano e universalistico inseparabile da Salvemini.

A Nello Rosselli, nella integrità inviolata del suo antifascismo, toccherà collaborare coi capifila di due indirizzi storici vicini ma inesorabilmente divisi dalla dittatura. Nello ne trarrà lo spunto per l’impostazione in termini europei del “problema” del Risorgimento, svincolato da ogni autoctonia nazionalista. Si dedicherà all’indagine, già emblematica, dei rapporti fra Piemonte e Inghilterra nel Risorgimento; apporterà un contributo decisivo al “necessario processo di sprovincializzazione e spoetizzazione” della nostra storia recente.

Nello era partito da un libro esemplare su Mazzini e Bakounine (6) , un libro che aprirà il varco, pur nel suo tono dimesso e discreto, a un’intera generazione di storici. In contatto col giovane editore Einaudi a Torino, aveva sognato, e il sogno era rimasto tale, di scrivere un libro sul solo Mazzini, una biografia educatrice dell’apostolo. Avrebbe voluto parlarne con Leone Ginzburg, ma il dirigente della casa editrice fu arrestato prima che si concretasse l’incontro a Torino. La vecchia rivista, La cultura, intorno alla quale era sorta la casa Einaudi, venne soppressa; la stessa neonata casa editrice dovette sospendere per un po’ di tempo la sua attività.

Le “biografie moderne” non nacquero mai, e neanche prese il volo un’altra collana parallela, di divulgazione storica ma scientificamente qualificata, e di segno inequivoco a giudicare dal titolo, “I precedenti”.

Il mazzinianesimo di Nello non si colorirà mai di accenti nazionalisti, o di chiusure isolazioniste. Manterrà un respiro europeo, una vibrazione cosmopolita. Fin dal 1930 il collaboratore di Volpe progetterà una “rivista di studi europei”, aperta alla collaborazione dei migliori storici d’oltralpe – proprio mentre avanza l’autarchia, proprio mentre incombe il provincialismo culturale – e in grado di contribuire ad europeizzare gli studi italiani. Lo incoraggeranno nell’impresa Salvatorelli ed Einaudi, Ruffini e Ginzburg e Carlo Levi, pure scettici sulla possibilità di realizzazione, o meglio di realizzazione duratura, con la cappa di piombo del fascismo. Nello si assicura la collaborazione di tutti gli amici della scuola storica romana, da Chabod a Maturi, da Morandi a Sestan. Il consenso di Volpe non sarà facile; gli ostacoli, di fatto, si riveleranno insormontabili. Ma i compagni di cordata del giovane storico realizzeranno, dieci anni dopo, all’ombra dell’Ispi, una rivista molto simile a quella, nell’ispirazione, nel titolo quasi mazziniani, Popoli.

E Nello lascerà ancora mille pagine di appunti di una sua Storia degli italiani, concepita come approfondimento della crescita di un popolo nel quadro di un’Europa concepita come sistema di civiltà, come tavola di valori. Sentirà tutte le insufficienze della nostra composizione unitaria; il fremito del revisionismo gobettiano opererà in lui, ma dentro i confini di una scuola storica rigida e severa, senza dilettantismi o approssimazioni.

Storia e politica si indentificavano intimamente in lui. Storico nato, Nello non separerà mai l’indagine storica da una consapevole e coerente opzione interiore (in pochi uomini, la storia sarà così “contemporanea” come in lui). Democratico, senza indulgenze al socialismo, avvertirà l’esigenza di un nuovo accordo fra i due partiti eredi della tradizione della sinistra popolare e risorgimentale, i repubblicani e i socialisti.

Lo scriverà, nell’ottobre 1926, su Critica politica, la vecchia rivista di Zuccarini. “Credo che di un bagno di mazzinianesimo […] possa molto avvantaggiarsi il movimento socialista” (7) . Nello parlerà addirittura, con termine mutuato dalla tradizione cavouriana, di “connubio” fra i due filoni, il filone democratico e quello socialista. C’era già il presentimento del Partito d’azione.


(...)


(1) G. AMENDOLA, Un’isola, Milano, 1980, p. 31.
(2) G. AMENDOLA, Un’isola, cit., p. 66.
(3) Nello Rosselli uno storico sotto il fascismo. Lettere e scritti vari (1924-1937), a cura di Z. Ciuffoletti, Firenze, 1979.
(4) Ivi, p. 67.
(5) N. ROSSELLI, Uno storico sotto il fascismo, cit., p. 18.
(6) Si veda, nell’ultima edizione, N. ROSSELLI, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia, 1860-1872, Torino, 1967, con prefazione di Leo Valiani.
(7) N. ROSSELLI, Repubblicani e socialisti (dal 1860 a oggi), in La Critica Politica, a. VI, fasc. 10, 25 ottobre 1926. Ora reperibile anche nell’antologia curata da Piergiovanni Permoli, La critica politica 1920-1926. Tra democrazia e fascismo, Roma, 1986, pp. 292-300.