Londra all’attacco della Silicon Valley dopo l’attentato di Londra. Secondo Scotland Yard Khalid Masood, il killer dell’attacco di Londra, è a tutti gli effetti un «lone wolf», un lupo solitario, che ha agito da solo e senza legami con i network del terrorismo. Ma fino ad oggi non sono stati fatti passi in avanti significativi nelle indagini. Unica certezza per il momento è la polemica tra il governo britannico e i giganti del tech, come Google e WhatsApp (Facebook), accusati di offrire ai terroristi il modo per informarsi e comunicare senza essere «disturbati» dalle autorità.

Fra le ipotesi che vengono fatte c’è quella del Sunday Mirror, secondo cui il 52enne avrebbe potuto rispondere alla «chiamata» dell’Isis, che settimane prima dell’attacco invitava a colpire la capitale britannica attraverso la chat criptata Telegram. Per il domenicale, che cita una fonte anonima, gli appelli piuttosto generici dei jihadisti esortavano a prendere di mira alcuni bersagli simbolici fra cui il Parlamento. Il ministro degli Esteri, Boris Johnson, si è scatenato contro il motore di ricerca Google definendolo «disgustoso» perché permette la diffusione di materiale jihadista e addirittura lo «sfrutta per far denaro» inserendo vicino ai video violenti le proprie pubblicità. Ha rincarato la dose il ministro degli Interni, Amber Rudd, che ha definito il servizio di messaggi WhatsApp e altri simili come «luoghi sicuri per i terroristi» in quanto permettono loro di comunicare in totale segretezza. Parlando alla Bbc, il capo dell’Home Office ha accusato la società americana di non voler consegnare alla polizia i dati sulla attività online di Masood poco prima di colpire il palazzo di Westminster. «Devono invece stare dalla nostra parte», ha intimato il ministro, che propone forme di controllo quando è in pericolo la sicurezza dei cittadini. Per i critici, invece, il governo di Londra sta tentando di ottenere nuovi poteri con cui spiare la vita di tutti, lasciandosi alle spalle grandi scandali come il Datagate.

In Gran Bretagna è stata infatti di recente approvata una legge chiamata Investigatory Powers Act 2016. Questa legge, assai criticata da associazioni e attivisti che si occupano di privacy online, prevede che tutti i siti visitati online dai cittadini britannici siano memorizzati in un database dai provider di internet per un anno. La polizia può consultare questo database senza bisogno dell’autorizzazione di un giudice. Il governo inoltre potrà raccogliere dati, intercettare telefoni, leggere messaggi privati e hackerare computer di obiettivi precisi, ma solo con l’approvazione del segretario di Stato e di un gruppo di giudici. Per quanto riguarda le dispute tra il governo e le aziende tecnologiche la legge è ambigua. Eventuali richieste di questo tipo saranno su scala ridotta, per la quantità di dati, e non obbliga esplicitamente le aziende a condividere le proprie informazioni con il governo: dice che dovrebbero poter decriptare le informazioni sul dispositivo «ogni volta possibile», senza spiegare meglio quali sono questi casi. Questo passaggio della legge è stato denunciato tra gli altri da Tim Cook, a.d. di Apple, e anche da Microsoft, Facebook e Google. Il Regno Unito obbliga le compagnie del tech a non rendere pubbliche le richieste di dati. Un vincolo che limita il dibattito pubblico come successo invece nel caso di Fbi vs Apple per il caso di San Bernardino.

La Gran Bretagna contro Google e WhatsApp dopo l’attacco di Londra - Corriere.it