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    Predefinito Interessi nazionali, che cosa sono e come si difendono

    INTERESSI NAZIONALI, CHE COSA SONO E COME SI DIFENDONO
    (di Francesco Bergamo) 28/03/17
    Dobbiamo difendere gli interessi nazionali. Giustissimo. Ma quali siano esattamente è una domanda che molti si pongono. Per cercare di capirlo e fare chiarezza abbiamo incontrato Francesco Pontelli, economista, consulente aziendale e giornalista economico.

    L'Italia è indebitata fino al collo da decenni ed è sempre sotto scacco da parte della Comunità internazionale e delle banche su qualsiasi iniziativa che possa indicare libertà economica e politica. Potrà mai riaquisire una qualche autonomia in tal senso?

    Alla fine degli anni '70 Alberto Ronchey, giornalista del Corriere della Sera, chiese ad Ugo La Malfa, segretario del Partito Repubblicano, quale fosse secondo lui il futuro del Paese. Il segretario rispose che una nazione che accede al debito per finanziare la spesa corrente non ha alcun futuro.

    Dopo trentanove anni da quella profezia, che gli regalò la definizione di "Cassandra", tutti i nodi sono venuti al pettine. Complice la crisi del 2008. Per quasi quarant'anni tutti i governi hanno attinto a piene mani per finanziare la spesa corrente pubblica al debito pubblico trascinandolo fino agli attuali 2239 miliardi. Consapevoli quanto sicuri che nessuno avrebbe chiamato loro a dover rispondere di quelle poco condivisibili scelte politico-economiche e in merito alle conseguenze negative per la popolazione italiana.

    Dal 2011, anno di ingresso del Governo Monti, ad oggi il debito risulta aumentato di oltre 50 miliardi l'anno con un tasso di incremento di 4 volte superiore rispetto alla crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo). A questo vanno aggiunti i valori complessivi di tutte le manovre finanziarie che i tre governi che si sono susseguiti hanno varato fino al 2016: il valore raggiunge la cifra il circa 400 miliardi. Tra l'altro, è uguale alla cifra indicata, fatalità, dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ridurre il debito pubblico e portarlo ad un livello vicino al 110% sul PIL.

    Sempre stando agli ultimi anni, le scelte degli ultimi tre governi sono state a mio avviso non adeguate in quanto abbiamo assistito ad una fase economica assolutamente unica nel suo genere, condizionata dall'azione del Quantitative Easing che ha portato i tassi di interesse a quota zero se non addirittura negativi. Invece i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni hanno continuato ad aumentare la spesa pubblica fino agli attuali 828 miliardi, attingendo a piene mani ad un maggior debito pubblico, convinti, come i governi precedenti della Prima come della Seconda repubblica, che nessuno verrà a chiedere loro di rispondere in merito a tali scelte di politica economica.

    Va inoltre ricordato come questa maggiore spesa pubblica risulti destinata interamente a finanziare la burocrazia e non certamente le spese infrastrutturali come ben dimostra la difficoltà con la quale l'attuale Governo stia cercando di reperire 3,4 miliardi per riequilibrare il disavanzo su indicazione dell'Unione Europea.

    Questo è il quadro attuale dopo quaranta anni di un certo tipo di visioni economiche. Risulta evidente che chiunque affermi che per uscire da questa situazione sia questa l'unica soluzione, dimostra essenzialmente di essere ancorato ad una visione economica che non tiene conto delle esperienze pregresse e che continua ostinatamente a non voler vedere la realtà dei fatti. Questa situazione finanziaria evidenzia la crisi di una gestione più che di un sistema ed è legata alle risorse umane - quindi alla classe politica e dirigente - che l'hanno generata. Da più parti ormai si pensa che la spesa pubblica rappresenti il primo veicolo per ottenere il consenso elettorale e mantenere l'attuale classe politica alle leve del potere.

    A questo stato di cose si aggiunge l'assoluta mancanza di una politica industriale. Negli ultimi trenta anni tutto il mondo accademico-politico ed economico italiani si era innamorato della New Economy ora trasformata in App/economy e Sharing/economy. Entrambe però con ricadute occupazionali minime e comunque, come le statistiche dimostrano, il 75% di queste società falliscono entro tre anni oppure sono acquisite dai grossi colossi dell'informatica.

    Che cosa bisogna fare?

    Tornare ad una politica industriale che aumenti il PIL attraverso un quadro normativo italiano ed europeo che tuteli il lavoro e i prodotti italiani nel mondo come espressione culturale del know-how industriale e professionale.

    È l'unica opzione. In quanto veramente sintonizzata con le reali aspettative del mercato. Basti pensare come lo scorso anno la Bloomberg Investment abbia pubblicato i dati di una ricerca di mercato dai quali emergeva come l' 82% dei consumatori americani fosse disponibile a pagare anche il 30% in più rispetto al prodotto cinese purché espressione del Made in Usa.

    Un quadro normativo del genere può offrire più competitività e tutela degli investimenti delle aziende del Made in Italy ed al tempo stesso supporto, anche normativo, alle retribuzioni e quindi ad una domanda interna dei beni che da troppi anni risultano in flessione.

    In Italia solo attraverso una politica di tutela del prodotto industriale, legata ad una diminuzione della spesa corrente a favore della spesa per gli investimenti, si può creare uno scenario da oggi ai prossimi vent'anni che permetta all'Italia di uscire dall'attuale angolo nel quale il debito l'ha relegata.

    Rispetto al 2007 siamo ancora a circa 11 punti sotto il PIL e con il tasso di crescita attuale ci vorranno dai 13 ai 15 anni per raggiungere livello pre-crisi.

    Quali sono gli interessi economici del Sistema Italia?

    Questa domanda presuppone che chi gestisce il nostro Paese lo faccia per assicurare le migliori prospettive di crescita economica al Paese stesso e non per interessi personali, di bottega o di partito.

    Purtroppo la storia del ultimi quaranta anni ci ha dimostrato come si siano privilegiati di interessi immediati a breve respiro attraverso il ricorso al debito ed a una maggiore spesa pubblica che la finanziava, piuttosto che creare le prospettive per una crescita futura. Al fine di assicurare una crescita di opportunità di lavoro ben retribuito, perché il mercato richiedeva, richiede e richiederà sempre prodotti Made in Italy, intesi naturalmente come la sintesi del valore culturale, professionale e produttivo.

    Attualmente gli interessi del nostro Paese non possono che essere quelli di ritrovare un equilibrio tra la crescita economica, il debito e la spesa pubblica, perché ora troppo sbilanciati verso gli ultimi due fattori che rappresentano, in questo caso, dei veri e propri fattori anticompetitivi. Quindi, in una ritrovata visione generale del benessere comune, avendo già perso quell'occasione unica al mondo che è stata la riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico che avrebbe permesso una oculata diminuzione del debito stesso, si deve partire sempre dal presupposto che solo una struttura in crescita economica rappresenti le condizioni migliori per essere seguita da una crescita culturale e sociale.

    In altre parole, negli ultimi trent'anni si è pensato che la crescita sociale e culturale potesse essere svincolata dal progresso economico. Viceversa, sono convinto che una maggiore ricchezza dia la possibilità di una libera scelta ai cittadini e, di conseguenza, ponga le condizioni per una crescita sociale e culturale che abbia come presupposto un maggior benessere condiviso.

    C'é qualcuno che segue questa politica, magari qui vicino a noi?

    Certo, questa è la politica che stanno seguendo Svizzera, Slovenia, Croazia e Francia. Stanno ponendo le condizioni favorevoli per la riallocazione delle nostre PMI (Piccole Medie Imprese) italiane che sono considerate fonte di benessere diffuso. Proprio quelle imprese che qui da noi vengono sempre in secondo piano, sotto il profilo normativo e legislativo, perché troppo spesso le visioni economiche sono orientate a favore delle grandi aziende.

    Vede, il riconoscimento normativo della specificità delle produzioni italiane rappresenta la condizione iniziale per sviluppare economicamente il nostro Paese. Dunque, esattamente l'opposto di quanto risulta avvenuto con il CETA (accordo commerciale tra Europa e Canada) il quale riconosce normativamente solo la specificità del 18% delle nostre DOP e DOC.

    Quali Paesi potrebbero garantire interessi maggiori al nostro Paese? E come?

    In un mondo senza barriere e con il mercato globalizzato risulta difficile individuare quali Paesi, più di altri, possano assicurare lo sviluppo economico al nostro Paese. Va comunque ricordato che i mercati occidentali, come l' Europa, gli Stati Uniti ed il Canada, rappresentano ormai mercati sostanzialmente saturi. Nel senso che i tassi di crescita possono essere a favore di questa o quella azienda, ma il totale delle vendite di determinati settori risulta sostanzialmente stabile.

    Scusi, ma anche i Paesi in via di sviluppo sono saturi?

    No, i Paesi in via di sviluppo possono garantire nei prossimi anni dei tassi di incremento importanti che, tuttavia, possono avere dei benefici finanziari per le aziende che esportano. Quanto maggiore è il tasso di crescita di questi Paesi, tanto minore è la capacità di assorbire immediatamente i prodotti del Made in Italy che rappresentano l'alto di gamma. Quindi, in questo caso, le prospettive di crescita passano al medio e lungo termine. Ovviamente andrebbero abolite le sanzioni alla Russia.

    Una maggiore apertura verso la Russia sarebbe auspicabile?

    La Russia rappresenta certamente un partner sia commerciale sia come fornitore di energia. Il nostro sistema industriale ha bisogno di entrambe le cose. Naturalmente questo farà sì che ci sarà un doppio vincolo verso questo mercato: strategia export oriented e strategia energetica.

    Tutto questo ovviamente non esime il nostro Paese dal cercare di diversificare al massimo le fonti di approvvigionamento energetico, in modo da poter bilanciare eventuali sommovimenti politici che portassero ad un inatteso squilibrio politico.

    Per quanto riguarda il nostro export, ad esempio, la Russia rappresenta un partner commerciale fondamentale: specialmente nel settore calzaturiero come dimostra la crisi nella regione marchigiana legata alle note sanzioni. In linea di principio, quindi, considero la Russia un Paese di notevole importanza per la nostra crescita economica.

    Sintetizzando: abolizione delle sanzioni verso la Russia e immediata ripresa dei flussi commerciali, perché la Russia è un partner fondamentale per l'economia come mercato di sbocco. La nostra strategia energetica deve essere bilanciata con altri fornitori al fine di non risultare troppo dipendente da un unico fornitore.

    Come vede lo scenario energetico italiano?

    Credo che rispetto anche solo a quattro anni fa, lo scenario energetico mondiale sia cambiato con l'ingresso nel mondo della produzione del petrolio degli Stati Uniti d'America. L'autonomia energetica degli USA, che verrà raggiunta nel corrente anno o nel 2018, rappresenta la giustificazione fondamentale di un certo isolazionismo comune sia alla politica di Trump sia a quella della Clinton. Sugli alleati europei viene scaricata la responsabilità della gestione delle aree di crisi. Prova ne sia la recente richiesta del nuovo progetto degli Stati Uniti ad un maggiore impegno finanziario da parte degli alleati europei per il mantenimento dell'Alleanza NATO.

    In questo rinnovato contesto e con la possibilità che gli Stati Uniti possano assumere il ruolo di primo produttore al mondo di petrolio, l'Italia ha scelto di appoggiare il reintegro dell'Iran all'interno del commercio mondiale abolendo le sanzioni (come UE) mentre vengono invece mantenute dagli USA.

    Restano valide le motivazioni politiche che vedono giustificato l'appoggio alla popolazione iraniana sempre più proiettata verso una democrazia. Al tempo stesso però rimane problematica la nostra politica di approvvigionamento energetico, la quale nello specifico si vede abbandonare la politica di un partner commerciale come gli Stati Uniti per uno Stato come l'Iran che non assicura la stabilità. L'Italia, in quanto partner commerciale, invece ha bisogno assoluto di stabilità.

    Il sistema Difesa e militare italiano potrebbe aiutare l'economia?

    Ogni settore della Repubblica può contribuire al conseguimento degli obiettivi economici e politici di crescita. In questo senso le nostre Forze Armate sono impegnate nelle varie operazione di peace-keeping in molteplici scenari mondiali. Hanno sempre saputo farsi apprezzare ed ottenuto degli ottimi risultati anche nei semplici termini di considerazione da parte delle popolazioni locali. In fondo le nostre divise rappresentano attraverso la loro professionalità la prima espressione che le popolazioni hanno per apprezzare la "nostra specificità" . Quindi la preziosa azione dei militari italiani pone le basi perché in un secondo momento venga poi apprezzato il Made in Italy, espressione non solo commerciale ma anche culturale nel senso più esteso del termine.


    Interessi nazionali, che cosa sono e come si difendono - Difesa Online

  2. #2
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    Predefinito Re: Interessi nazionali, che cosa sono e come si difendono

    Giorni fa ho partecipato a un convegno sulla protezione degli interessi economici italiani all'estero. Sembra che in realtà non freghi niente a nessuno.

    Anche in Italia serve una legge sulle compagnie militari private (per evitare un altro caso Marò) | IL PRIMATO NAZIONALE
    Io sono al bando da circoli, logge e sagrestie.
    Ma col mio carattere e i miei gusti me ne consolo facilmente.

 

 

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