<<Da marxista puro vi dico: diffidate di chi è comunista>>
L'economista: <<In tanti citano a sproposito il filosofo tedesco, il cui pensiero era già in stallo dopo il 1917>>
di Piero Laporta
Il comunismo è morto o no? Che abbiate o meno questo dilemma, è bene leggiate «L’Illusione Perduta» (ed. NovaEuropa) di Gianfranco La Grassa, per comprendere certe sbandate a sinistra.
«Il marxismo? È come avessi seppellito una persona cara, dopo avergli fatto l’autopsia».
Qual è stato l’esito?
«Era ammalato da molto più tempo di quanto immaginassimo. A ben vedere mostrò i primi sintomi subito dopo la rivoluzione di ottobre 1917, di cui si celebra il centenario».
Perché ha scritto questo libro?
«Nessun comunista ha finora analizzato “dall’interno” la crisi e il crollo del comunismo. Piuttosto sono state offerte analisi secondo le quali il capitalismo ha vinto, seducendo le masse rivoluzionarie, attraverso il consumismo o imponendo la sua forza militare. Dei difetti strutturali del comunismo si parla poco».
La Grassa, superati da un pezzo gli ottanta, professore di economia nella veneziana Ca’ Foscari, fu un marxista duro e puro. Ha scritto decine di libri di economia e politica, animando pure la sua pagina Facebook, molto seguita da giovani e non.
«Ho scritto questo libro, insieme a Gianni Petrosillo e Mauro Tozzato, per spiegare a me stesso e a quanti in buona fede si dicono ancora comunisti perché il marxismo è sul binario morto. Il mio libro è anche uno strumento per vigilare sull’eredità avvelenata, recata da quanti con una mano oggi sventolano la bandiera rossa e con l’altra si tengono ben saldi alle istanze della finanza internazionale. Questo non è avvenuto da un giorno all’altro nel 1989».
Gli entusiasmi clintoniani dei postcomunisti alla Giorgio Napolitano hanno radici lontane?
«Certamente e spiegarlo richiederebbe un altro libro. L’Illusione Perduta entra invece nelle ragioni intrinseche dello stallo del pensiero marxista e, di conseguenza, fa comprendere perché oggi non bisogna farsi abbindolare da quanti si autocertificano “comunisti” in qual si voglia sfumatura».
La leggerezza del titolo alla Balzac fa velo a un’opera profonda e nitida di filosofia politica, che non annoia, anzi persino godibile in numerosi brani per l’arguzia dell’analisi storico politica.
«In tanti citano Karl Marx più o meno a proposito. In realtà lo hanno letto in pochi e ancor meno siamo quanti l’hanno studiato approfonditamente, a cominciare da Il Capitale. Mi sono quindi sforzato di porgere una lettura metodologicamente corretta e, allo stesso tempo, convincente circa le cause endogene del fallimento del modello comunista, a cominciare dalla struttura elitaria del partito comunista già agli albori del sovietismo, poi riverberata, potenziandosi, in tutte le successive aggregazioni marxiste. Alla direzione delle masse proletarie non stava certo il proletariato. Credo sia un dettaglio da importante su cui riflettere».
In effetti, chi ha l’età per ricordare gli anni dal 1968 non può che concordare. Così però sminuisce il ruolo delle rivoluzioni comuniste…
«Assolutamente no: il secolo scorso e gran parte di quello precedente è stato segnato dal marxismo che ha consentito passi da gigante ai popoli nel cammino verso la libertà. Quello che tuttavia non va negato è che quei passi sarebbero stati chissà quanto più rapidi e lunghi se le rivoluzioni comuniste non fossero state afflitte già sul nascere da carenza di socialismo – o se preferisce di democrazia marxista – a dispetto delle altisonanti dichiarazioni di principio. I due capitoli conclusivi di Gianni Petrosillo e Mauro Tozzato danno un forte contributo metodologico a una riscoperta del pensiero marxista fra il passato e il futuro.»
Che cosa è oggi il “marxismo” nell’accezione comune?
«Il marxismo oggi lo si restringe in categorie sentimentali quando non velleitarie, aggiogandolo all’aspirazione a una società più giusta, cosa mai immaginata da Marx perché, come ho scritto, non era certo uno sciocco credulone. Il buonismo, sparso a piene mani, non è tuttavia sufficiente a nascondere le singolari ambiguità del post comunismo, a cominciare dalle prediche sull’abolizione dello “stato coercitivo”, gabellato da sedicenti ex, para e post marxisti, caudatari dei liberisti e delle grandi banche internazionali. Nel libro ricordo, testi alla mano, che la morte dello Stato non fu mai fra gli obiettivi di Marx. Il nostro libro vuole essere utile a superare un paradosso sempre più evidente: il marxismo è stato studiato meglio a Harvard di quanto abbiano fatto alle Frattocchie»
("La Verità", 18 aprile 2017)
PICCOLA PRESISAZIONE, di GLG
E’ uscita oggi (18 aprile) su “La Verità” la recensione di Piero Laporta a “L’illusione perduta”, sotto forma di intervista al sottoscritto. Lo ringrazio con calore per quella che è di fatto una sentita e precisa sintesi del libro. Desidero ricordare che da tempo immemorabile tutti i fottutissimi intellettualoidi di “sinistra”, anche alcuni finti ultrarivoluzionari, mi hanno sempre silenziato e ignorato. Debbo però fare una precisazione in merito al titolo messo dal giornale (e, direi, logicamente tenuto conto dell’orientamento). Vi si afferma che, secondo me, bisogna diffidare di chi E’ comunista. Non è così; io dico che bisogna diffidare di chi SI DICE comunista. Mi sembra che la differenza sia sostanziale.
Naturalmente, il libro è anche scritto per fare un bilancio di oltre un secolo e mezzo di storia (e di teoria soprattutto), dalla pubblicazione del “Manifesto del partito comunista” (1848) ad oggi. Un bilancio senza esaltazioni e con massima lucidità, che non può non concludere per l’ormai avvenuta fine (e non da pochi anni) di quel processo storico che viene, molto imprecisamente, definito comunista. E con la conclusione si deve infine riconoscere, proprio nel centenario della “Rivoluzione d’ottobre”, che non c’è stata alcuna rivoluzione proletaria né l’inizio della pretesa “costruzione del socialismo”. Si deve ammettere la totale illusione che la “Classe Operaia” fosse il soggetto di una transizione dal capitalismo (che Lenin credeva un secolo fa giunto alla sua “ultima fase imperialistica”) al comunismo, transitando appunto per il socialismo. Questa classe (che del resto in Marx non era quella pensata dai marxisti successivi, bensì il corpo complessivo dei produttori associati, “dal primo dirigente all’ultimo giornaliero”) non ha mai avuto un carattere rivoluzionario, ma solo di lotta sindacale per migliori condizioni di vita e di lavoro, salvo alcuni periodi di conflitto più acuto nella fase di passaggio dalla “campagna” alla “fabbrica”. Poi si è adattata alla riproduzione dei rapporti capitalistici, pretendendo di partecipare decisamente alla distribuzione del prodotto in senso a lei meno sfavorevole.
Detto questo, sia chiaro che io non solo non disprezzo gli eventi fondamentali dell’ottobre del 1917, ma li valuto in modo decisamente positivo pur senza l’enfasi e la retorica di tanti anni fa. E’ stata una rivoluzione sostanzialmente contadina e guidata da una élite rivoluzionaria assai preparata e ben organizzata, che ha dovuto tuttavia approfittare della completa crisi delle vecchie istituzioni che per secoli avevano retto la Russia (e in ciò ha contato pure la prima guerra mondiale). In ogni caso, tutte le rivoluzioni passate, superficialmente, per comuniste sono avvenute in paesi ancora più contadini della Russia e sempre con lo sgretolarsi degli apparati dei vecchi gruppi dominanti. Non a caso, sia Lenin che Mao affermarono (anche se adesso non trovo i passi precisi) che la rivoluzione vince non dove i rivoluzionari sono più forti, ma dove i reazionari sono più deboli; è poi ben nota la tesi dell’“anello più debole della catena dell’imperialismo” che si sarebbe “rotto” per primo (e nella prima guerra mondiale fu appunto la Russia).
Torneremo comunque ancora su tali problemi, a mio avviso cruciali sia pure dal punto di vista della valutazione storica (ma con qualche insegnamento per il presente). Ringrazio ancora Piero Laporta per la sua attenzione e amicizia, che in questi ultimi anni sono per me una merce rarissima. E al diavolo tanti falsi amici e “compagnucci” che hanno steso attorno a me, e al gruppetto di persone che con me collabora, una cortina di silenzio. Sono comunque convinto che noi (pochi) continuiamo a pensare mentre gli altri organizzano convegni sul fantasticato comunismo (o sulla inventata “via cinese al socialismo”) con grande spesa di mezzi, che qualcuno ha certo fornito loro (non credo proprio che escano dalle loro tasche, credo di conoscerli abbastanza bene). Che “grandi rivoluzionari” sono!
Intervista a La Grassa sul quotidiano La Verità, con precisazione di La Grassa.