Nazionalizzazioni e spesa pubblica, il programma nostalgico di Corbyn - Il Sole 24 ORE
È solo la bozza del programma che verrà, ma più che sufficiente per comporre la silhouette dell’azione di governo britannico che il partito laburista di Jeremy Corbyn ha in animo di intraprendere qualora vincesse le elezioni dell’8 giugno. Un balzo indietro, verso il piccolo mondo antico della Gran Bretagna, quella della sua giovinezza, quando alla guida del Labour c’era Michael Foot, ultimo firmatario di un manifesto elettorale da sinistra radicale. Nello sguardo e negli slogan Corbyn svela nostalgia per un approccio ideologico d’antan che riapre spazi alle nazionalizzazioni, ridà fiato alla spesa pubblica, che conferisce centralità perduta al sindacato. L’Institute for fiscal studies – think tank considerato indipendente dalle forze politiche britanniche – si è limitato a constatare che «misure del genere non si vedevano da decenni».
Il programma del Labour è stato reso noto nella sua versione provvisoria prima della presentazione ufficiale, un “leak” non casuale che ha riacceso la controversia fra le diverse anime del partito. Corbyn è stato costretto ieri sera a precisare che «il manifesto è stato approvato all’unanimità dal comitato nazionale» organo dirigente del Labour. «Questo – ha aggiunto – è un programma che cambierà la vita dei cittadini».
Tutti allineati dunque? Per nulla, in realtà. La fuga di notizie potrebbe aver indotto la leadership a correzioni rispetto alle diverse versioni del manifesto che circolano da giorni, ma le linee-guida, tuttavia, non cambieranno. Il passaggio più significativo racconta di un piano di nazionalizzazione che i laburisti vorrebbero vedere partire dalle ferrovie, la privatizzazione di minor successo – per essere benevoli – di quella stagione straordinaria che vide, fra gli anni 80 e 90, la Gran Bretagna vendersi lo Stato. Proseguirebbero poi con il ritorno della mano pubblica su Royal Mail e sulle poste di Sua Maestà, per finire con pezzi dell’industria energetica. Azioni che si accompagnerebbero a 6 miliardi di spesa extra per il sistema sanitario nazionale, ridotto ai minimi termini dalle politiche Tory, e 1,6 miliardi per l’assistenza sociale.
Con un pil in calo rispetto alle previsioni – la Bank of England ha riveduto la progressione nel 2017–2018 al di sotto del 2% - un debito pubblico che veleggia verso il 90% e un debito privato oggetto di costante allarme da parte dei banchieri centrale, Corbyn non potrà evitare di mettere mano alla tassazione. E infatti la previsione è un rialzo dell’aliquota Irpef marginale del 5% e la crescita progressiva delle tasse sulle imprese dal 19% di oggi al 26-28%. Stretta fiscale inevitabile visto l’elefantiaco programma di edilizia popolare con più 100mila case che Corbyn vorrebbe costruire. Sull’Europa il partito ribadisce l’accettazione della Brexit, ma esclude di voler far saltare il tavolo: l’opzione del “no deal” con Bruxelles immaginata da Theresa May per il Labour non è accettabile.
L’impronta ideologica della leadership dei socialisti britannici è evidente non solo sul coté economico – fra l’altro è previsto il blocco dell’innalzamento dell’età pensionabile e la cancellazione delle fee universitarie – ma anche su difesa e sicurezza con ribadite resistenze al programma nucleare Trident.
Atti di follia politica ? In realtà il programma solletica settori specifici dell’elettorato: da chi teme l’inarrestabile declino del sistema sanitario, ai giovani, fino a coloro che sono in procinto di andare in pensione. Basterà per vincere? Gli opinion polls dicono che neppure un miracolo potrebbe negare a Corbyn la garanzia di un tracollo alle urne. Decine di punti dividono i due partiti e cento deputati dissidenti del Labour immaginano l’addio dal gruppo parlamentare se dopo la sconfitta la guida del partito non cambierà.