Articolo tratto dalla rivista Uomo Libero numero 7 del primo luglio 1981.
Anche dopo tanti anni sempre attuale
l'Uomo Libero
Non è cosa nuova che la storia venga in parte preponderante scritta dai vincitori e che i memoriali dei capi sconfitti siano autoescusatori. In essi si ricostruisce sulla base di quel che l'oggi richiede;i fatti più discutibili vengono addebitati a collaboratori defunti o ad ordini superiori, anche se di ciò non esiste alcuna valida documentazione.
Interessate distorsioni influiscono quindi su un serio accertamento storico dei fatti e delle intenzioni che li mossero. A distanza di 55 anni, non è ancora possibile, di conseguenza, a chi pur le visse, ai giovani, agli appassionati della storia, farsi un'idea obiettiva degli eventi a cavallo degli anni 1940 che travolsero il nostro paese e lo condussero con l'Europa alla situazione attuale.Sotto l'influenza delle potenze extraeuropee vincitrici, quelle che a Yalta si spartirono l'Europa, dei politici e degli
uomini di cultura ad esse legati, si è giunti a considerare naturale, quasi
vantaggiosa, la situazione di protettorato coloniale nella quale l'Europa si
trovò a seguito della guerra, presentando come un evento fortunato il fatto
che le cose non fossero andate diversamente, perchè altrimenti la
Germania........
La pressione culturale necessaria a far accettare come il migliore possibile l'esito che il conflitto ebbe, non ha potuto allentarsi
neppure a grande distanza di tempo; anzi, proprio perchè a causa dei naturale, logico fluire delle vicende dei popoli e del modificarsi dei
rapporti di forza internazionali l'aspetto politico europeo rischiava di apparire sempre più illogico, si è scelto di calcare ulteriormente la
mano.
Per far accettare la jattura delle truppe sovietiche a Berlino, Praga,Budapest e la sudditanza dell'Europa Occidentale agli USA, è stata evidente
la necessità di contrapporvi un'ipotesi ancora peggiore.C'è però una differenza tra quel che viviamo e " l'ipotesi peggiore ", ed essa sta nel
fatto che l'ìmperialismo comunista ieri e quello economico-culturale degli USA oggi, sono una triste realtà, così come i regimi da loro imposti, mentre
quel che sarebbe accaduto all'Europa se comunismo e democrazie fossero risultate soccombenti è ipotesi tutta da dimostrare. E' certo comunque che,
in quest'ultimo caso, qualsiasi decisione sul nostro futuro sarebbe rimasta affidata a noi Europei.
Nessuno è del resto riuscito a dimostrare che la Germania avesse mire ad occidente o a sud, e che le sue ambizioni
territoriali fossero smisurate. All'inizio del conflitto essa disponeva di 600.000 Kmq. di territorio contro 40 milioni per quanto riguarda solamente
l'Impero Britannico!
Si tratta di riflessioni semplici dalle quali gli Europei son tenuti lontani, a causa degli effetti anestetici della sconfitta
non ancora smaltiti. Dovrebbero essi rinunciare a pensare ai modi ed ai tempi della rinascita ed accontentarsi del modesto benessere consumista,per
chi ce l'ha,e accettare la perpetua inamovibilità del modello di vita che dalla sconfitta ci è stato imposto.Ma se il regime che stiamo subendo è un
male, è male anche la sconfitta che gli ha permesso di installarsi parassitariamente sulle nostre carni. Vogliamo uscire dal labirinto senza
uscita della storiografia quale ci viene suggerita dai vincitori, verificare la fondatezza di quel che è dai più ritenuta opinione intangibile, capire
quanto e da chi siamo stati ingannati.
E'd'uso che dopo una guerra persa,ogni nazione indaghi sulle cause della sconfitta, cerchi di capire se è stato fatto tutto quanto poteva essere fatto per vincere. Si esaminano a fondo il momento storico, il perchè del conflitto, il comportamento dei capi politici e militari; non di rado si giunge a processarli per gli errori
dolosi o colposi del loro operare.Per l'Europa e per l'Italia, il conflitto 1940-1945, a questo proposito è stato un caso dei tutto anomalo. Sparito per
debellatio il regime fascista sconfitto, quello subentrato, la democrazia,senza fornire di ciò alcuna motivata analisi, molto difficile del resto
perchè tutta basata su quanto non è accaduto, dà per scontato che il perdere la guerra sia coinciso con il bene della Nazione.Essa non pensa affatto di
rinfacciare a " quelli di prima " responsabilità inerenti al fatto di aver portato il paese alla sconfitta, anzi, in cuor suo, li benedice come
strumento necessario al proprio riemergere.Il convinto democratico si è finora rifiutato di approfondire in tal senso l'argomento. Il farlo lo
avrebbe predisposto ad aprire il suo inconscio ad inconfessabili dubbi, a vaghe misteriose paure, a dover ammettere, una volta constatata l'erroncità,
il debole riparo dogmatico della premessa, di aver sbagliato tutto.
L'indagine sui fatti è del resto " sconsigliata ", resa necessariamente incompleta, dall'art. 16 del trattato di pace, inserito a
tutela dei traditori in guerra, con il quale l'Italia dovette accettare di non perseguirli per quanto fatto a servizio del nemico, prima
dell'armistizio dell'8 settembre 1943.I processi dei dopoguerra contro politici e militari furono quindi tutti improntati alla logica del vae
victis e seguirono la traccia indicata dalla farsa giuridica di Norimberga.
La storiografia ufficiale dell'antifascismo italiano, nei suoi due filoni, quello comunista e quello democratico, rinunciò a mettere sotto
accusa le manchevolezze più gravi della dirigenza fascista, quelle che costarono al Paese la sconfitta, fermandosi invece agli aspetti più
superficiali e demagogici di esse: la qualità di certo armamento, le "scarpe di cartone "; gli antifascisti finsero, con cinica demagogia, dopo
avere intrallazzato col nemico, di prendere le parti dei nostri soldati, che secondo loro avrebbero dovuto sì essere ben guidati, ben nutriti e ben
armati, ma, per carità di patria, avrebbero comunque dovuto perdere.
Si cercò di gettare il ridicolo, con un'analisi parziale, subdolamente limitata, su tutta una serie di scelte politiche, culturali, storiche, sulle quali
l'antifascismo uscì vincente, non per propria superiorità, ma per aver avuto, fuori dai confini (e questo già dovrebbe far riflettere) chi, per i
propri interessi, lo sostenne.L'unico merito della rediviva classe politica democratica, già estromessa dal potere negli anni 1920 dalla sua stessa
incapacità, la stessa dalla quale, nuovamente, oggi siamo afflitti, fu cioè quello di aver puntato su vicende militari che ebbero per essa svolgimento
fortunato.
Fu grandemente in ciò facilitata dalla scarsa omogeneità della dirigenza fascista, abbondando in essa, specie nelle forze armate e nella
diplomazia, elementi infidi, legati agli ambienti massonici,internazionalisti, ammanicati con Londra e Parigi, che avevano il proprio
punto di riferimento nella dinastia sabauda, proprio da tali ambienti messa sul trono in Italia.
Il fascismo scontò, nel momento decisivo per sè e per la Nazione, i compromessi che da movimento l'avevano condotto a farsi regime,
sottoposto a mille condizionamenti, spogliato progressivamente di carica rivoluzionaria. Talchè, pur avendo scelto la via dell'alleanza con la
Germania nazionalsocialista, non ebbe un comportamento conseguente a tale decisione. Quand'era necessario valutare con estrema serietà il momento e le
conseguenze politiche del conflitto, furono perciò con leggerezza messe in gioco le istituzioni che la Nazione con sforzo ventennale aveva costruito e
gli stessi destini politici dell'Europa. Quella della dirigenza politico-militare italiana durante il conflitto fu azione scollata, incerta,
miope, permeata di opportunismo piccolo borghese, che raccolse, per
superficialità e slealtà di comportamento, la disistima di nemici ed
alleati.Ma questi fatti, sui quali per la loro gravità torneremo, pur avendo
avuto indubbia influenza sul risultato del conflitto, non autorizzano la
storiografia antifascista a sostenere che l'esito di esso fosse scontato, nè
ad influenzare in tal senso la pubblica opinione, indirizzandone
l'attenzione piuttosto su quelli che sono oggi i rapporti di forza nel
mondo, anzichè su quelli che erano all'epoca della guerra; a non distinguere
modi e tempi della formazione degli schieramenti, ad affermare che,
comunque, i fatti non potevano avere conclusione diversa da quella che
ebbero. Da tale suo atteggiamento, risulta unicamente quanto essenziale, per
il regime di cui si pone a difesa, è il fatto che le cose siano state
incanalate verso " questo " futuro.Non c'è da meravigliarsi che partendo da
premesse simili, si siano fino ad oggi presentate le parti in lotta
manicheisticamente divise, di qua i buoni, di là i cattivi, e le atrocità
dei sovietici e i bombardamenti terroristici anglo-americani, posti al
servizio della " causa giusta ", siano stati approvati. L'ideologizzazione
del conflitto non si è fermata col cessare delle ostilità. Si sono
perpetuate, a dispetto dei fatti che dovevano portare a conclusioni diverse,
versioni puramente propagandistiche; si è insistito, come per i cosiddetti
campi di sterminio, su mistificazioni che superata l'utilità del momento,
dopo le guerre precedenti, venivano lasciate cadere. Chi ha più il coraggio
di sostenere, oggi, che i Tedeschi, nella prima guerra mondiale, avessero
mozzato le mani ai bambini del Belgio?Oggi invece, ci si intestardisce di
proposito su un'accurata, diffamatoria " ricostruzione " dei fatti, tesa a
criminalizzare una delle parti in conflitto, quella contro la quale,
ideologicamente, ci si considera ancora in guerra. Si prosegue cioè la
guerra al di là dei raggiungimento dei suoi più macroscopici obiettivi
militari; si sfrutta per vie culturali il successo ottenuto sui campi di
battaglia.In tale disegno è comprensibile il tornaconto di affibbiare la
qualifica di fascista, coll'intento di isolarlo e rendergli difficoltosa la
diffusione delle idee, a chiunque mostra di rifiutare la pseudologica della
fazione, quella cioè, aberrante, di dover gioire per la sconfitta del
proprio paese in guerra.Si è preteso e si pretende tale masochistico
atteggiamento, unicamente perchè si vedeva nella sconfitta il seme della
sostituzione violenta della classe politica al potere.Noi riteniamo che la
sostituzione di una classe politica con un'altra debba risultare da una
dialettica interna alla Nazione e che vada comunque rifiutata l'idea di
dirimere qualsiasi controversia politica con l'aiuto di truppe
straniere.Sembra assurdo dover spendere parole per convincere che
l'indipendenza politica è la fonte di ogni libertà, che l'interesse di una
Nazione in guerra è quello di vincerla, che agire diversamente è, il peggior
delitto di cui possa macchiarsi un cittadino, ma, purtroppo, l'anteporre il
particolare al generale, l'interesse del singolo e della fazione a quello
della collettività, è così in linea con il modello di vita proposto dalle
ideologie dei partiti, che a molti, i nostri, appaiono ancora concetti
opinabili.Essere riusciti a far sembrare sino ad oggi accettabili tesi così
immorali, contronatura, dimostra quali livelli di terrorismo ideologico,
quanta faziosità antinazionale si siano dovuti sopportare fino ad oggi.Il
nostro non è un gratuito maramaldeggiare contro una classe politica già
abbastanza squalificata. L'antifascismo fu realmente su tali posizioni. Fin
dall'agosto 1939, ricorda il ministro francese De Monzie " Sforza e i
fuoriusciti antifascisti in Francia spingevano alla guerra contro l'Italia
per potersi installare s lle rovine del fascismo e della Patria ". Persino
un cervellone come Benedetto Croce, dimostra di perdersi in un bicchier
d'acqua quando ci racconta: " noi ricercammo ansiosi la formazione
dell'avvenire migliore d'Italia, non già nei successi del cosiddetto Asse,
ma nei progressi lenti e faticosi dell'Inghilterra e poi della Russia e
dell'America ".Degno castigo per costoro il ritrovarsi in compagnia di
figuri come Lucky Luciano, tirato fuori dalle prigioni di New York e
rispedito in Italia a motivo degli " speciali servizi resi alle forze armate
degli Stati Uniti ".La cooperazione tra antifascismo, esercito USA,
organizzazioni criminali americane e mafia è documentata tra l'altro dalla
presenza in Sicilia e poi a Napoli a fianco del governatore Charles Poletti,
dei noto gangster Vito Genovese, amico di Calogero Vizzini e del notissimo
mafioso democristiano Genco Russo, ambedue nominati sindaci dei loro paesi
dai " liberatori " USA.Ben lungi dal gioire per la sconfitta, è nostra
intenzione ricercarne le cause, individuando, e non in superficie, le
responsabilità, le decisioni, le scelte che portarono alla catastrofe, senza
alcun riguardo per uomini o istituzioni del regime fascista che tali
indagini indicassero colpevoli. Un atteggiamento di libertà questo che non
vorremmo però minimamente confuso o strumentalizzato in senso antifascista,
non essendo nostra intenzione etichettarci in tal senso, confonderci con chi
si pose, al servizio della fazione, contro i propri fratelli in armi.Ci pare
evidente che i meriti di una indicazione politico-culturale nulla hanno a
che vedere con le sorti militari di un conflitto ed in ogni caso gli errori
degli uni non dimostrano affatto che gli altri avessero ragione. Gli sbagli
rimangono saldo patrimonio di chi li ha commessi, e non sono affatto
maneggiabili, come in una somma algebrica, a compensare quelli
dell'avversario. Anzi, nel caso dell'Italia gli errori del fascismo e quelli
dell'antifascismo si cumularono, a svantaggio della Nazione.Ci pare oggi
possibile, sulla chiarezza di tali premesse, andare alla radice degli eventi
meno chiari, sviscerarli ed ottenere un più esatto quadro storico, per molti
aspetti diverso da quello che si è usi accettare. Spiegare qualcosa di più,
può forse aumentare il rimpianto per come le cose avrebbero potuto essere, e
l'amarezza per le circostanze nelle quali combattenti e popolo furono
chiamati a sacrificarsi, ma ci pare utile contributo alla ricerca di quella
autonomia ed autentica indipendenza che l'Europa pare oggi nuovamente
desiderare. Vogliamo chiarire questi punti: 1) enormi furono gli errori
della nostra dirigenza politica, per incapacità e gelosie personali; per
confusione sulle prospettive storiche e per deficienze gravissime nel
settore militare, specie per quanto attiene la sicurezza e l'organizzazione
del comando supremo;2) gli antifascisti, e in essi comprendiamo gli
indecisi, gli opportunisti, quegli stessi fascisti che erano ormai tali solo
di nome (ricordiamo che molti degli stessi gerarchi non esitarono a
dichiararsi apertamente filoinglesì), dettero illoro volontario contributo
perchè il conflitto scoppiasse e perchè l'Italia venisse sconfitta.3) la
guerra fu persa perchè politicamente e militarmente, soprattutto a livello
di grande strategia, non funzionarono affatto, né il patto d'acciaio tra
Italia e Germania, né il tripartito esteso al Giappone ed i meccanismi di
consultazione previsti rimasero solo sulla carta; 5) non è vero in ogni caso
che le sorti del conflitto fossero segnate in partenza. La guerra, specie se
da parte italiana ci fosse stata la grinta necessaria, avrebbe potuto essere
vinta; l'Europa uscirne diversa da quella odierna, assai migliore nella
qualità della vita. La sconfitta fu un disastro storico di incalcolabile
portata. Lo dimostrano le condizioni attuali della nostra Nazione e
dell'intero continente oppresso dal colonialismo occidentalista a tal punto
che opporsi alla "libera immigrazione " di stranieri è un crimine solo che
a livello di opinione.
prodromi dei conflitto - Il ruolo dell'Italia
Tutto sembrò scaturire dalla richiesta tedesca di intavolare con la Polonia
trattative su Danzica per ottenere un collegamento coi propri territori
della Prussia Orientale, dalla testardaggine polacca nel rifiutarle,
nonostante l'universalmente riconosciuta ragionevolezza delle richieste
tedesce e dall'interferire di Inglesi e Francesi, a favore dei polacchi, con
una gararizia senza limiti e tale che non aveva alcuna prospettiva di poter
essere resa operante.
C'era già lo zampino USA, poichè il fallimento della politica del New Deal
roosveltiano stava spingendo gli USA al bellicismo. Forrestal nel suo diario
si vanta: " né i Francesi né gli Inglesi avrebbero fatto della Polonia una
ragione di guerra se non fossero stati continuamente spronati da Washington
". L'ambasciatore statunitense a Parigi, Bullit, fanatica " spalla " di
Roosvelt, si muoveva su tale direttrice; fu lui che spinse l'ambasciatore
polacco a Parigi a rifiutare qualsiasi possibilità di accomodamento. Analoga
politica seguirono gli ambasciatori USA a Londra e Varsavia. Documentazione
di ciò fu rintracciata dai tedeschi a Varsavia e Parigi occupate e fu
esibita a Norimberga dalla difesa di Ribbentrop.Le pressioni USA furono
esercitate per porre le condizioni di un accerchiamento contro la Germania.
Furono del resto proprio le insistenze della diplomazia statunitense a
spingere Inglesi e Francesi ad intavolare trattative per un'alleanza con
Mosca. E' sintomatico cosa si proponessero gli USA con tale politica:
un'Europa tale quale abbiamo ora; la meno europea delle Europe politiche
esistite fino ad oggi.
Quanto offerto da Inglesi e Francesi per farsi amici i sovietici risultò
insufficiente.I concorrenti nazionalsocialisti avevano evidentemente
qualcosa in più da offrire: la Polonia. Ma la lentezza delle trattative
alleati coi sovietici e le memorie del ministro degli esteri francese
Bonnet, fanno sorgere un sospetto aggiuntivo: che Inglesi e Francesi non
vedessero poi così male una spartizione della Polonia tra Germania e URSS.
Il risultato sarebbe stato una lunga frontiera in comune tra di esse, la
possibilità cioè di completare concretamente l'accerchiamento dei Reich!
L'accordo Ribbentrop-Molotoff del 23 Agosto 1939 tolse ogni dubbio ai
dirigenti tedeschi sul fatto di trovarsi, nella vertenza coi Polacchi, in
posizione di forza.La neutralità dell'Unione Sovietica, che pochi giorni
dopo, con la spartizione della Polonia, si sarebbe trasformata in aperta
complicità con la Germania nazionalsocialista, aveva isolato in modo
definitivo gli Anglo-Francesi, che rischiavano di trovarsi in guerra contro
la Germania e l'Italia, legata ad essa dal patto d'acciaio (l'alinea 3 del
quale prevedeva l'intervento automatico) in un contesto internazionale
sfavorevolissimo e per questioni che tutto sommato le riguardavano molto
marginalmente.Ci pare quindi che il calcolo di Hitler e del suo ministro
degli esteri di poter regolare le questioni in sospeso con la Polonia senza
che la minaccia anglo-francese avesse concrete probabilità di realizzarsi,
fosse tutto sommato logico.Il problema dei rapporti tra Germania e Polonia,
stava cioè per risolversi nel quadro della graduale, pacifica revisione del
trattato di Versailles, che negli anni precedenti aveva visto accomodate la
questione renana, il caso austriaco e quello dei Sudeti.I Tedeschi erano
quasi giunti a coronare l'unificazione sotto un'unica bandiera di tutte le
genti di lingua germanica, ponendole, in linea con la tradizione storica, a
blocco verso l'Oriente, contro la penetrazione slava in Europa. Avevano essi
altresì dato reiterate garanzie di non avere ad occidente alcuna
rivendicazione da porre sul tappeto. " Lo stato dell'armamento tedesco nel
1939 era tale ", - sostiene lo storico britannico A.J.P. Taylor - " da non
far pensare che Hitler avesse in animo una guerra generale e probabilmente
non pensava affatto alla guerra ". E infatti mentre in Germania le spese per
l'armamento erano il 30% dei bilancio statale, nel 1939, quelle
dell'Inghilterra furono il 50%, e la Francia spese addirittura il 60%!
Le democrazie capitaliste avevano ormai acquisita la convinzione di non
potere, alla lunga, reggere il confronto sul piano delle realizzazioni
pratiche e della solidarietà sociale, coi paesi totalitari emergenti, poveri
di materie prime e territori, ma ricchi di braccia e spiritualità. Il livore
ideologico-commerciale era tale che nulla esse fecero per bloccare la
Polonia, arbitra di trascinarle o meno in guerra, quella guerra che vide sì
la Germania sconfitta, ma dovette anche registrare al suo termine la fine
della potenza europea.Tutti hanno considerato marginale la partecipazione
italiana ai prodromi dei conflitto, lasciandosi forse ingannare dalla
posizione geografica dell'Italia, troppo meridionale rispetto all'intreccio
di note, colloqui, garanzie, patti, dell'estate 1939.Ci pare che in tali
vicende sia stata assegnata all'Italia un'importanza minore di quella che
ebbe e siamo profondamente convinti che il suo ruolo nel provocare la
conflagrazione sia stato determinante.Informato l'alleato della propria
decisione di risolvere la questione di Danzica con le armi, la Germania si
aspettava un completo, pieno allineamento italiano sulle proprie posizioni.
Ciò per quanto previsto dal patto d'acciaio, intesa riconfermata nei
colloqui di Salisburgo dell'11-12-13 agosto fra Hitier, Ciano, Ribbentrop,
ma soprattutto da ragioni di sopravvivenza politica dei due regimi. Era
impensabile che la sconfitta di uno potesse lasciar sopravvivere l'altro,
tanto era radicale l'opposizione di idee e di prospettive sul futuro del
mondo fra essi e gli avversari.Prima ancora che si giungesse, invece, alla
prova dei fatti, si dovette constatare la defezione dell'Italia. Formalmente
la cosa assunse aspetti sfumati. L'Italia si disse provata dalla campagna
d'Etiopia, dai problemi della pacificazione e dell'amministrazione
dell'Impero, dalle pesanti conseguenze economico-militari derivate dalla
partecipazione alla guerra di Spagna e dalla recente occupazione
dell'Albania. Aveva profuso in tali vicende mezzi enormi e non era pronta
ad affrontare un nuovo conflitto. Non fu confessata però apertamente la
conclusione di escludere la partecipazione italiana alla guerra e si preferì
indirizzare all'alleato (25 agosto) esorbitanti richieste di materie prime,
dichiarandoci disposti a scendere in campo al suo fianco, solamente dopo che
esse fossero state integralmente soddisfatte.Il 26 agosto, a richiesta di
Hitter, precisiamo queste nostre richieste; Ciano nel suo diario definisce
l'elenco " tale da uccidere un toro ": un totale di 170 milioni di
tonnellate, che avrebbero richiesto per il trasporto 17.000 treni! L'elenco
fu costruito ad arte e gonfiato oltre misura, proprio per mettere i Tedeschi
nell'impossibilità di una risposta positiva ed immediata.
La Germania accusò il colpo. Esteriormente mostrò di non impensierirsi del
nostro atteggiamento; con la Polonia se la sarebbe cavata da sola e la
situazione internazionale era ancora tale da far ritenere poco concreta la
possibilità di un intervento franco-britannico. Hitler ringraziò Mussolini
per le parole di incoraggiamento e cameratismo, lo esentò espressamente
dall'intervenire, chiese solamente, ma la cosa è importantissima, che da
parte italiana si proseguisse nei movimenti, nei preparativi, nella guerra
psicologica insomma, in modo tale che Inglesi e Francesi non avessero dubbi
sul fatto di trovarsi di fronte, in caso di guerra, Germania ed Italia,
fianco a fianco.Il 27,Mussolini dava assicurazioni ad Hitler in tal senso.
Il 28, il fronte anglo-francese tentennava. Da più segni pareva propenso a
consigliare ai Polacchi moderazione. A fine mese la situazione torna ad
aggravarsi; l'intransigenza sembra nuovamente prevalere.Il diplomatico
italiano Alberto Mellini Ponce de Lèon ricorda che Ciano, negli ultimi
giorni di agosto, ebbe continui, cordiali colloqui, persino a casa sua, con
l'ambasciatore inglese a Roma, Percy Loraine. Ma Ciano era solo la vetta di
un iceberg; la fronda antitedesca e filo-inglese era a quel tempo
attivissima. In Italia, tra i " fascisti che contavano ", gli uomini della
destra, legati al capitalismo internazionale e alla massoneria, erano
attivissimi.Dopo l'iniziale spinta rivoluzionaria il fascismo scelse, o fu
costretto a subire, la via del compromesso e accettò di servirsi dei vecchi
strumenti dello stato liberale. Ciò ridette forza e prestigio alla
monarchia, alla quale si avvicinarono in cerca d'appoggio e sicurezza uomini
che erano stati artefici del fascismo ed ora erano " uomini del re ":
Grandi, ambasciatore a Londra, Balbo, governatore della Libia, Bottai, De
Vecchi, Federzoni, Acerbo, ed altri, che ritroveremo puntualmente negli
intrighi del 25 luglio e dell'8 settembre.Gli istituti nuovi erano pura
facciata, il potere, personalizzato nelle mani del duce, dietro al quale non
c'era nessuno. Anzi, dietro al duce, dietro l'apparente monoliticità del
regime, c'era un agitarsi di forze prive di unità d'intenti, un compromesso
cementato dal successo di vent'anni di regime, ma sempre un compromesso.
Esso era insito già nel modo in cui il fascismo era giunto al potere, "un
coacervo informe di forze, di interessi, di stati d'animo diversissimi "
come lo giudica De Felice.Né il tempo aveva portato un chiarimento
definitivo, appare chiaro, anzi, come per Mussolini tale mancata compattezza
si traducesse in un punto di forza anzichè di debolezza. " Spesso non
lasciava cadere le speranze degli estremisti, anzi le incoraggiava " ricorda
Piero Melograni " per riuscire ad apparire agli occhi dei moderati come
l'arbitro, il solo uomo di governo capace, al momento adatto, di imbrigliare
le forze eversive presenti nel suo partito ".Tutto ciò, se come tattica
politica per il controllo del potere poteva essere accettabile, non faceva
certo del duce il vertice di forze convergenti, quali un capo deve essere.
Giorgio Bocca a conferma: " Mussolini avverte che il suo regime monolitico è
tutto lavorato da correnti sotterranee, e si estenua a mediarle; ci sono gli
industriali, c'è la monarchia con la sua corte, c'è la Chiesa con la sua
sede apostolica; il Tevere è stretto. La rotta ideologica del fascismo va
per continue accostate, tra il rifiuto di ogni definizione teorica, e
l'illusione di trovarne na buona per tutti gli usi, fra la pratica del
potere e la ricerca dell'anima fascista, tanto invocata e mai raggiunta ".
Il campo militare era abbandonato agli intrighi dei generali; la Milizia
rimase sempre un corpo raccogliticcio, non certo paragonabile alle SS
nazionalsocialiste. La diplomazia un covo di vipere al servizio di un chiaro
disegno volto ad imporre al paese un cambio di campo, nel senso
filo-inglese. Al centro dell'intrigo c'era addirittura il ministro degli
esteri, genero del duce, conte Galeazzo Ciano. L'Ambasciata di Berlino, la
capitale dell'alleato, era il punto di forza dei nemici dell'alleanza. Il
diplomatico Leonardo Simoni ad essa assegnato ci riferisce: " risuona tutta
di voci apertamente ostili alla Germania ". L'ambasciatore Attolico " si
augura che celeri trattative di pace impediscano un eccessivo rafforzamento
della Germania ". Altro personaggio di rilievo all'ambasciata è il conte
Massimo Magistrati, che ha sposato una sorella di Ciano. Attolico, se ne
serve " per esercitare su Ciano una benevola influenza moderatrice ".
Addetto militare, dopo essere stato a capo del SIM (il servizio di
informazioni militari) è il Gen. Roatta, che manifesta nei confronti della
Germania " un atteggiamento nettamente fermo ed ostile. Fatto questo che
sembra farlo molto ammirare dai numerosi ufficiali che gli stanno attorno ".
Addetto stampa è il marchese Antinori, dominato da un " astio incredibile
per i Tedeschi e il Reich ".Non c'è da meravigliarsi, in un contesto del
genere, che Ciano, contrariamente all'impegno preso coi Tedeschi, dia
assicurazione agli ambasciatori inglese e francese che l'Italia non sarebbe
entrata in guerra! Sotto la data 31 agosto, nel suo diario, Ciano annota: "
viene da me Percy Loraine, lo metto al corrente di quanto è accaduto, poi,
fingendo di non riuscire a trattenere uno scatto del cuore, dico : " Ma
perchè volete creare l'impossibile? Non avete ancora capito che noi la
guerra contro voi e la Francia non la inizieremo mai? " Percy Loraine si
commuove. Gli occhi luccicano, mi prende le mani; " Da quindici giorni io mi
ero reso conto di ciò. E lo avevo telegrafato al mio governo. Le misure di
questi giorni avevano scosso la mia fiducia. Ma sono felice di essere venuto
questa sera a Palazzo Chigi ".Per togliere ogni dubbio sull'atteggiamento
italiano si revocano le disposizioni relative all'oscuramento. Il l'
Settembre Ciano ripete a Francois Ponset quanto aveva detto a Loraine.E'
difficile, oggi che l'Italia non ha alcun peso, valutare l'importanza di un
tale fatto. Ma allora il prestigio italiano era all'apice e la nostra flotta
temibilissima. Annunziare, prima dello scoppio delle ostilità, che ne
saremrno restati fuori, fu quantomeno gravissimo, imperdonabile
errore.Quanto chiaccherone fosse Ciano in quei giorni, è testimoniato dal
Gen. Pesenti il quale riferisce: " S.A.R. il duca Amedeo d'Aosta, rientrato
in Africa Orientale il 26 agosto, dichiarò di essere certo che l'Italia non
sarebbe entrata in guerra, avendo egli avuto di ciò personale, formale
assicurazione dal ministro degli affari esteri conte Ciano ".Inghilterra e
Francia, liberate dalla preoccupazione di un conflitto più generalizzato, si
accinsero a liquidare la Germania. Questa si trovò travolta da eventi più
pesanti di quanto avesse ragionevolmente potuto prevedere e dovette subire l'aggressione anglo-francese priva dell'alleato italiano.