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    Exclamation Anatomia di una sconfitta

    Articolo tratto dalla rivista Uomo Libero numero 7 del primo luglio 1981.
    Anche dopo tanti anni sempre attuale

    l'Uomo Libero


    Non è cosa nuova che la storia venga in parte preponderante scritta dai vincitori e che i memoriali dei capi sconfitti siano autoescusatori. In essi si ricostruisce sulla base di quel che l'oggi richiede;i fatti più discutibili vengono addebitati a collaboratori defunti o ad ordini superiori, anche se di ciò non esiste alcuna valida documentazione.
    Interessate distorsioni influiscono quindi su un serio accertamento storico dei fatti e delle intenzioni che li mossero. A distanza di 55 anni, non è ancora possibile, di conseguenza, a chi pur le visse, ai giovani, agli appassionati della storia, farsi un'idea obiettiva degli eventi a cavallo degli anni 1940 che travolsero il nostro paese e lo condussero con l'Europa alla situazione attuale.Sotto l'influenza delle potenze extraeuropee vincitrici, quelle che a Yalta si spartirono l'Europa, dei politici e degli
    uomini di cultura ad esse legati, si è giunti a considerare naturale, quasi
    vantaggiosa, la situazione di protettorato coloniale nella quale l'Europa si
    trovò a seguito della guerra, presentando come un evento fortunato il fatto
    che le cose non fossero andate diversamente, perchè altrimenti la
    Germania........
    La pressione culturale necessaria a far accettare come il migliore possibile l'esito che il conflitto ebbe, non ha potuto allentarsi
    neppure a grande distanza di tempo; anzi, proprio perchè a causa dei naturale, logico fluire delle vicende dei popoli e del modificarsi dei
    rapporti di forza internazionali l'aspetto politico europeo rischiava di apparire sempre più illogico, si è scelto di calcare ulteriormente la
    mano.
    Per far accettare la jattura delle truppe sovietiche a Berlino, Praga,Budapest e la sudditanza dell'Europa Occidentale agli USA, è stata evidente
    la necessità di contrapporvi un'ipotesi ancora peggiore.C'è però una differenza tra quel che viviamo e " l'ipotesi peggiore ", ed essa sta nel
    fatto che l'ìmperialismo comunista ieri e quello economico-culturale degli USA oggi, sono una triste realtà, così come i regimi da loro imposti, mentre
    quel che sarebbe accaduto all'Europa se comunismo e democrazie fossero risultate soccombenti è ipotesi tutta da dimostrare. E' certo comunque che,
    in quest'ultimo caso, qualsiasi decisione sul nostro futuro sarebbe rimasta affidata a noi Europei.
    Nessuno è del resto riuscito a dimostrare che la Germania avesse mire ad occidente o a sud, e che le sue ambizioni
    territoriali fossero smisurate. All'inizio del conflitto essa disponeva di 600.000 Kmq. di territorio contro 40 milioni per quanto riguarda solamente
    l'Impero Britannico!
    Si tratta di riflessioni semplici dalle quali gli Europei son tenuti lontani, a causa degli effetti anestetici della sconfitta
    non ancora smaltiti. Dovrebbero essi rinunciare a pensare ai modi ed ai tempi della rinascita ed accontentarsi del modesto benessere consumista,per
    chi ce l'ha,e accettare la perpetua inamovibilità del modello di vita che dalla sconfitta ci è stato imposto.Ma se il regime che stiamo subendo è un
    male, è male anche la sconfitta che gli ha permesso di installarsi parassitariamente sulle nostre carni. Vogliamo uscire dal labirinto senza
    uscita della storiografia quale ci viene suggerita dai vincitori, verificare la fondatezza di quel che è dai più ritenuta opinione intangibile, capire
    quanto e da chi siamo stati ingannati.
    E'd'uso che dopo una guerra persa,ogni nazione indaghi sulle cause della sconfitta, cerchi di capire se è stato fatto tutto quanto poteva essere fatto per vincere. Si esaminano a fondo il momento storico, il perchè del conflitto, il comportamento dei capi politici e militari; non di rado si giunge a processarli per gli errori
    dolosi o colposi del loro operare.Per l'Europa e per l'Italia, il conflitto 1940-1945, a questo proposito è stato un caso dei tutto anomalo. Sparito per
    debellatio il regime fascista sconfitto, quello subentrato, la democrazia,senza fornire di ciò alcuna motivata analisi, molto difficile del resto
    perchè tutta basata su quanto non è accaduto, dà per scontato che il perdere la guerra sia coinciso con il bene della Nazione.Essa non pensa affatto di
    rinfacciare a " quelli di prima " responsabilità inerenti al fatto di aver portato il paese alla sconfitta, anzi, in cuor suo, li benedice come
    strumento necessario al proprio riemergere.Il convinto democratico si è finora rifiutato di approfondire in tal senso l'argomento. Il farlo lo
    avrebbe predisposto ad aprire il suo inconscio ad inconfessabili dubbi, a vaghe misteriose paure, a dover ammettere, una volta constatata l'erroncità,
    il debole riparo dogmatico della premessa, di aver sbagliato tutto.
    L'indagine sui fatti è del resto " sconsigliata ", resa necessariamente incompleta, dall'art. 16 del trattato di pace, inserito a
    tutela dei traditori in guerra, con il quale l'Italia dovette accettare di non perseguirli per quanto fatto a servizio del nemico, prima
    dell'armistizio dell'8 settembre 1943.I processi dei dopoguerra contro politici e militari furono quindi tutti improntati alla logica del vae
    victis e seguirono la traccia indicata dalla farsa giuridica di Norimberga.
    La storiografia ufficiale dell'antifascismo italiano, nei suoi due filoni, quello comunista e quello democratico, rinunciò a mettere sotto
    accusa le manchevolezze più gravi della dirigenza fascista, quelle che costarono al Paese la sconfitta, fermandosi invece agli aspetti più
    superficiali e demagogici di esse: la qualità di certo armamento, le "scarpe di cartone "; gli antifascisti finsero, con cinica demagogia, dopo
    avere intrallazzato col nemico, di prendere le parti dei nostri soldati, che secondo loro avrebbero dovuto sì essere ben guidati, ben nutriti e ben
    armati, ma, per carità di patria, avrebbero comunque dovuto perdere.
    Si cercò di gettare il ridicolo, con un'analisi parziale, subdolamente limitata, su tutta una serie di scelte politiche, culturali, storiche, sulle quali
    l'antifascismo uscì vincente, non per propria superiorità, ma per aver avuto, fuori dai confini (e questo già dovrebbe far riflettere) chi, per i
    propri interessi, lo sostenne.L'unico merito della rediviva classe politica democratica, già estromessa dal potere negli anni 1920 dalla sua stessa
    incapacità, la stessa dalla quale, nuovamente, oggi siamo afflitti, fu cioè quello di aver puntato su vicende militari che ebbero per essa svolgimento
    fortunato.
    Fu grandemente in ciò facilitata dalla scarsa omogeneità della dirigenza fascista, abbondando in essa, specie nelle forze armate e nella
    diplomazia, elementi infidi, legati agli ambienti massonici,internazionalisti, ammanicati con Londra e Parigi, che avevano il proprio
    punto di riferimento nella dinastia sabauda, proprio da tali ambienti messa sul trono in Italia.
    Il fascismo scontò, nel momento decisivo per sè e per la Nazione, i compromessi che da movimento l'avevano condotto a farsi regime,
    sottoposto a mille condizionamenti, spogliato progressivamente di carica rivoluzionaria. Talchè, pur avendo scelto la via dell'alleanza con la
    Germania nazionalsocialista, non ebbe un comportamento conseguente a tale decisione. Quand'era necessario valutare con estrema serietà il momento e le
    conseguenze politiche del conflitto, furono perciò con leggerezza messe in gioco le istituzioni che la Nazione con sforzo ventennale aveva costruito e
    gli stessi destini politici dell'Europa. Quella della dirigenza politico-militare italiana durante il conflitto fu azione scollata, incerta,
    miope, permeata di opportunismo piccolo borghese, che raccolse, per
    superficialità e slealtà di comportamento, la disistima di nemici ed
    alleati.Ma questi fatti, sui quali per la loro gravità torneremo, pur avendo
    avuto indubbia influenza sul risultato del conflitto, non autorizzano la
    storiografia antifascista a sostenere che l'esito di esso fosse scontato, nè
    ad influenzare in tal senso la pubblica opinione, indirizzandone
    l'attenzione piuttosto su quelli che sono oggi i rapporti di forza nel
    mondo, anzichè su quelli che erano all'epoca della guerra; a non distinguere
    modi e tempi della formazione degli schieramenti, ad affermare che,
    comunque, i fatti non potevano avere conclusione diversa da quella che
    ebbero. Da tale suo atteggiamento, risulta unicamente quanto essenziale, per
    il regime di cui si pone a difesa, è il fatto che le cose siano state
    incanalate verso " questo " futuro.Non c'è da meravigliarsi che partendo da
    premesse simili, si siano fino ad oggi presentate le parti in lotta
    manicheisticamente divise, di qua i buoni, di là i cattivi, e le atrocità
    dei sovietici e i bombardamenti terroristici anglo-americani, posti al
    servizio della " causa giusta ", siano stati approvati. L'ideologizzazione
    del conflitto non si è fermata col cessare delle ostilità. Si sono
    perpetuate, a dispetto dei fatti che dovevano portare a conclusioni diverse,
    versioni puramente propagandistiche; si è insistito, come per i cosiddetti
    campi di sterminio, su mistificazioni che superata l'utilità del momento,
    dopo le guerre precedenti, venivano lasciate cadere. Chi ha più il coraggio
    di sostenere, oggi, che i Tedeschi, nella prima guerra mondiale, avessero
    mozzato le mani ai bambini del Belgio?Oggi invece, ci si intestardisce di
    proposito su un'accurata, diffamatoria " ricostruzione " dei fatti, tesa a
    criminalizzare una delle parti in conflitto, quella contro la quale,
    ideologicamente, ci si considera ancora in guerra. Si prosegue cioè la
    guerra al di là dei raggiungimento dei suoi più macroscopici obiettivi
    militari; si sfrutta per vie culturali il successo ottenuto sui campi di
    battaglia.In tale disegno è comprensibile il tornaconto di affibbiare la
    qualifica di fascista, coll'intento di isolarlo e rendergli difficoltosa la
    diffusione delle idee, a chiunque mostra di rifiutare la pseudologica della
    fazione, quella cioè, aberrante, di dover gioire per la sconfitta del
    proprio paese in guerra.Si è preteso e si pretende tale masochistico
    atteggiamento, unicamente perchè si vedeva nella sconfitta il seme della
    sostituzione violenta della classe politica al potere.Noi riteniamo che la
    sostituzione di una classe politica con un'altra debba risultare da una
    dialettica interna alla Nazione e che vada comunque rifiutata l'idea di
    dirimere qualsiasi controversia politica con l'aiuto di truppe
    straniere.Sembra assurdo dover spendere parole per convincere che
    l'indipendenza politica è la fonte di ogni libertà, che l'interesse di una
    Nazione in guerra è quello di vincerla, che agire diversamente è, il peggior
    delitto di cui possa macchiarsi un cittadino, ma, purtroppo, l'anteporre il
    particolare al generale, l'interesse del singolo e della fazione a quello
    della collettività, è così in linea con il modello di vita proposto dalle
    ideologie dei partiti, che a molti, i nostri, appaiono ancora concetti
    opinabili.Essere riusciti a far sembrare sino ad oggi accettabili tesi così
    immorali, contronatura, dimostra quali livelli di terrorismo ideologico,
    quanta faziosità antinazionale si siano dovuti sopportare fino ad oggi.Il
    nostro non è un gratuito maramaldeggiare contro una classe politica già
    abbastanza squalificata. L'antifascismo fu realmente su tali posizioni. Fin
    dall'agosto 1939, ricorda il ministro francese De Monzie " Sforza e i
    fuoriusciti antifascisti in Francia spingevano alla guerra contro l'Italia
    per potersi installare s lle rovine del fascismo e della Patria ". Persino
    un cervellone come Benedetto Croce, dimostra di perdersi in un bicchier
    d'acqua quando ci racconta: " noi ricercammo ansiosi la formazione
    dell'avvenire migliore d'Italia, non già nei successi del cosiddetto Asse,
    ma nei progressi lenti e faticosi dell'Inghilterra e poi della Russia e
    dell'America ".Degno castigo per costoro il ritrovarsi in compagnia di
    figuri come Lucky Luciano, tirato fuori dalle prigioni di New York e
    rispedito in Italia a motivo degli " speciali servizi resi alle forze armate
    degli Stati Uniti ".La cooperazione tra antifascismo, esercito USA,
    organizzazioni criminali americane e mafia è documentata tra l'altro dalla
    presenza in Sicilia e poi a Napoli a fianco del governatore Charles Poletti,
    dei noto gangster Vito Genovese, amico di Calogero Vizzini e del notissimo
    mafioso democristiano Genco Russo, ambedue nominati sindaci dei loro paesi
    dai " liberatori " USA.Ben lungi dal gioire per la sconfitta, è nostra
    intenzione ricercarne le cause, individuando, e non in superficie, le
    responsabilità, le decisioni, le scelte che portarono alla catastrofe, senza
    alcun riguardo per uomini o istituzioni del regime fascista che tali
    indagini indicassero colpevoli. Un atteggiamento di libertà questo che non
    vorremmo però minimamente confuso o strumentalizzato in senso antifascista,
    non essendo nostra intenzione etichettarci in tal senso, confonderci con chi
    si pose, al servizio della fazione, contro i propri fratelli in armi.Ci pare
    evidente che i meriti di una indicazione politico-culturale nulla hanno a
    che vedere con le sorti militari di un conflitto ed in ogni caso gli errori
    degli uni non dimostrano affatto che gli altri avessero ragione. Gli sbagli
    rimangono saldo patrimonio di chi li ha commessi, e non sono affatto
    maneggiabili, come in una somma algebrica, a compensare quelli
    dell'avversario. Anzi, nel caso dell'Italia gli errori del fascismo e quelli
    dell'antifascismo si cumularono, a svantaggio della Nazione.Ci pare oggi
    possibile, sulla chiarezza di tali premesse, andare alla radice degli eventi
    meno chiari, sviscerarli ed ottenere un più esatto quadro storico, per molti
    aspetti diverso da quello che si è usi accettare. Spiegare qualcosa di più,
    può forse aumentare il rimpianto per come le cose avrebbero potuto essere, e
    l'amarezza per le circostanze nelle quali combattenti e popolo furono
    chiamati a sacrificarsi, ma ci pare utile contributo alla ricerca di quella
    autonomia ed autentica indipendenza che l'Europa pare oggi nuovamente
    desiderare. Vogliamo chiarire questi punti: 1) enormi furono gli errori
    della nostra dirigenza politica, per incapacità e gelosie personali; per
    confusione sulle prospettive storiche e per deficienze gravissime nel
    settore militare, specie per quanto attiene la sicurezza e l'organizzazione
    del comando supremo;2) gli antifascisti, e in essi comprendiamo gli
    indecisi, gli opportunisti, quegli stessi fascisti che erano ormai tali solo
    di nome (ricordiamo che molti degli stessi gerarchi non esitarono a
    dichiararsi apertamente filoinglesì), dettero illoro volontario contributo
    perchè il conflitto scoppiasse e perchè l'Italia venisse sconfitta.3) la
    guerra fu persa perchè politicamente e militarmente, soprattutto a livello
    di grande strategia, non funzionarono affatto, né il patto d'acciaio tra
    Italia e Germania, né il tripartito esteso al Giappone ed i meccanismi di
    consultazione previsti rimasero solo sulla carta; 5) non è vero in ogni caso
    che le sorti del conflitto fossero segnate in partenza. La guerra, specie se
    da parte italiana ci fosse stata la grinta necessaria, avrebbe potuto essere
    vinta; l'Europa uscirne diversa da quella odierna, assai migliore nella
    qualità della vita. La sconfitta fu un disastro storico di incalcolabile
    portata. Lo dimostrano le condizioni attuali della nostra Nazione e
    dell'intero continente oppresso dal colonialismo occidentalista a tal punto
    che opporsi alla "libera immigrazione " di stranieri è un crimine solo che
    a livello di opinione.

    prodromi dei conflitto - Il ruolo dell'Italia



    Tutto sembrò scaturire dalla richiesta tedesca di intavolare con la Polonia
    trattative su Danzica per ottenere un collegamento coi propri territori
    della Prussia Orientale, dalla testardaggine polacca nel rifiutarle,
    nonostante l'universalmente riconosciuta ragionevolezza delle richieste
    tedesce e dall'interferire di Inglesi e Francesi, a favore dei polacchi, con
    una gararizia senza limiti e tale che non aveva alcuna prospettiva di poter
    essere resa operante.


    C'era già lo zampino USA, poichè il fallimento della politica del New Deal
    roosveltiano stava spingendo gli USA al bellicismo. Forrestal nel suo diario
    si vanta: " né i Francesi né gli Inglesi avrebbero fatto della Polonia una
    ragione di guerra se non fossero stati continuamente spronati da Washington
    ". L'ambasciatore statunitense a Parigi, Bullit, fanatica " spalla " di
    Roosvelt, si muoveva su tale direttrice; fu lui che spinse l'ambasciatore
    polacco a Parigi a rifiutare qualsiasi possibilità di accomodamento. Analoga
    politica seguirono gli ambasciatori USA a Londra e Varsavia. Documentazione
    di ciò fu rintracciata dai tedeschi a Varsavia e Parigi occupate e fu
    esibita a Norimberga dalla difesa di Ribbentrop.Le pressioni USA furono
    esercitate per porre le condizioni di un accerchiamento contro la Germania.
    Furono del resto proprio le insistenze della diplomazia statunitense a
    spingere Inglesi e Francesi ad intavolare trattative per un'alleanza con
    Mosca. E' sintomatico cosa si proponessero gli USA con tale politica:
    un'Europa tale quale abbiamo ora; la meno europea delle Europe politiche
    esistite fino ad oggi.


    Quanto offerto da Inglesi e Francesi per farsi amici i sovietici risultò
    insufficiente.I concorrenti nazionalsocialisti avevano evidentemente
    qualcosa in più da offrire: la Polonia. Ma la lentezza delle trattative
    alleati coi sovietici e le memorie del ministro degli esteri francese
    Bonnet, fanno sorgere un sospetto aggiuntivo: che Inglesi e Francesi non
    vedessero poi così male una spartizione della Polonia tra Germania e URSS.
    Il risultato sarebbe stato una lunga frontiera in comune tra di esse, la
    possibilità cioè di completare concretamente l'accerchiamento dei Reich!

    L'accordo Ribbentrop-Molotoff del 23 Agosto 1939 tolse ogni dubbio ai
    dirigenti tedeschi sul fatto di trovarsi, nella vertenza coi Polacchi, in
    posizione di forza.La neutralità dell'Unione Sovietica, che pochi giorni
    dopo, con la spartizione della Polonia, si sarebbe trasformata in aperta
    complicità con la Germania nazionalsocialista, aveva isolato in modo
    definitivo gli Anglo-Francesi, che rischiavano di trovarsi in guerra contro
    la Germania e l'Italia, legata ad essa dal patto d'acciaio (l'alinea 3 del
    quale prevedeva l'intervento automatico) in un contesto internazionale
    sfavorevolissimo e per questioni che tutto sommato le riguardavano molto
    marginalmente.Ci pare quindi che il calcolo di Hitler e del suo ministro
    degli esteri di poter regolare le questioni in sospeso con la Polonia senza
    che la minaccia anglo-francese avesse concrete probabilità di realizzarsi,
    fosse tutto sommato logico.Il problema dei rapporti tra Germania e Polonia,
    stava cioè per risolversi nel quadro della graduale, pacifica revisione del
    trattato di Versailles, che negli anni precedenti aveva visto accomodate la
    questione renana, il caso austriaco e quello dei Sudeti.I Tedeschi erano
    quasi giunti a coronare l'unificazione sotto un'unica bandiera di tutte le
    genti di lingua germanica, ponendole, in linea con la tradizione storica, a
    blocco verso l'Oriente, contro la penetrazione slava in Europa. Avevano essi
    altresì dato reiterate garanzie di non avere ad occidente alcuna
    rivendicazione da porre sul tappeto. " Lo stato dell'armamento tedesco nel
    1939 era tale ", - sostiene lo storico britannico A.J.P. Taylor - " da non
    far pensare che Hitler avesse in animo una guerra generale e probabilmente
    non pensava affatto alla guerra ". E infatti mentre in Germania le spese per
    l'armamento erano il 30% dei bilancio statale, nel 1939, quelle
    dell'Inghilterra furono il 50%, e la Francia spese addirittura il 60%!


    Le democrazie capitaliste avevano ormai acquisita la convinzione di non
    potere, alla lunga, reggere il confronto sul piano delle realizzazioni
    pratiche e della solidarietà sociale, coi paesi totalitari emergenti, poveri
    di materie prime e territori, ma ricchi di braccia e spiritualità. Il livore
    ideologico-commerciale era tale che nulla esse fecero per bloccare la
    Polonia, arbitra di trascinarle o meno in guerra, quella guerra che vide sì
    la Germania sconfitta, ma dovette anche registrare al suo termine la fine
    della potenza europea.Tutti hanno considerato marginale la partecipazione
    italiana ai prodromi dei conflitto, lasciandosi forse ingannare dalla
    posizione geografica dell'Italia, troppo meridionale rispetto all'intreccio
    di note, colloqui, garanzie, patti, dell'estate 1939.Ci pare che in tali
    vicende sia stata assegnata all'Italia un'importanza minore di quella che
    ebbe e siamo profondamente convinti che il suo ruolo nel provocare la
    conflagrazione sia stato determinante.Informato l'alleato della propria
    decisione di risolvere la questione di Danzica con le armi, la Germania si
    aspettava un completo, pieno allineamento italiano sulle proprie posizioni.
    Ciò per quanto previsto dal patto d'acciaio, intesa riconfermata nei
    colloqui di Salisburgo dell'11-12-13 agosto fra Hitier, Ciano, Ribbentrop,
    ma soprattutto da ragioni di sopravvivenza politica dei due regimi. Era
    impensabile che la sconfitta di uno potesse lasciar sopravvivere l'altro,
    tanto era radicale l'opposizione di idee e di prospettive sul futuro del
    mondo fra essi e gli avversari.Prima ancora che si giungesse, invece, alla
    prova dei fatti, si dovette constatare la defezione dell'Italia. Formalmente
    la cosa assunse aspetti sfumati. L'Italia si disse provata dalla campagna
    d'Etiopia, dai problemi della pacificazione e dell'amministrazione
    dell'Impero, dalle pesanti conseguenze economico-militari derivate dalla
    partecipazione alla guerra di Spagna e dalla recente occupazione
    dell'Albania. Aveva profuso in tali vicende mezzi enormi e non era pronta
    ad affrontare un nuovo conflitto. Non fu confessata però apertamente la
    conclusione di escludere la partecipazione italiana alla guerra e si preferì
    indirizzare all'alleato (25 agosto) esorbitanti richieste di materie prime,
    dichiarandoci disposti a scendere in campo al suo fianco, solamente dopo che
    esse fossero state integralmente soddisfatte.Il 26 agosto, a richiesta di
    Hitter, precisiamo queste nostre richieste; Ciano nel suo diario definisce
    l'elenco " tale da uccidere un toro ": un totale di 170 milioni di
    tonnellate, che avrebbero richiesto per il trasporto 17.000 treni! L'elenco
    fu costruito ad arte e gonfiato oltre misura, proprio per mettere i Tedeschi
    nell'impossibilità di una risposta positiva ed immediata.


    La Germania accusò il colpo. Esteriormente mostrò di non impensierirsi del
    nostro atteggiamento; con la Polonia se la sarebbe cavata da sola e la
    situazione internazionale era ancora tale da far ritenere poco concreta la
    possibilità di un intervento franco-britannico. Hitler ringraziò Mussolini
    per le parole di incoraggiamento e cameratismo, lo esentò espressamente
    dall'intervenire, chiese solamente, ma la cosa è importantissima, che da
    parte italiana si proseguisse nei movimenti, nei preparativi, nella guerra
    psicologica insomma, in modo tale che Inglesi e Francesi non avessero dubbi
    sul fatto di trovarsi di fronte, in caso di guerra, Germania ed Italia,
    fianco a fianco.Il 27,Mussolini dava assicurazioni ad Hitler in tal senso.
    Il 28, il fronte anglo-francese tentennava. Da più segni pareva propenso a
    consigliare ai Polacchi moderazione. A fine mese la situazione torna ad
    aggravarsi; l'intransigenza sembra nuovamente prevalere.Il diplomatico
    italiano Alberto Mellini Ponce de Lèon ricorda che Ciano, negli ultimi
    giorni di agosto, ebbe continui, cordiali colloqui, persino a casa sua, con
    l'ambasciatore inglese a Roma, Percy Loraine. Ma Ciano era solo la vetta di
    un iceberg; la fronda antitedesca e filo-inglese era a quel tempo
    attivissima. In Italia, tra i " fascisti che contavano ", gli uomini della
    destra, legati al capitalismo internazionale e alla massoneria, erano
    attivissimi.Dopo l'iniziale spinta rivoluzionaria il fascismo scelse, o fu
    costretto a subire, la via del compromesso e accettò di servirsi dei vecchi
    strumenti dello stato liberale. Ciò ridette forza e prestigio alla
    monarchia, alla quale si avvicinarono in cerca d'appoggio e sicurezza uomini
    che erano stati artefici del fascismo ed ora erano " uomini del re ":
    Grandi, ambasciatore a Londra, Balbo, governatore della Libia, Bottai, De
    Vecchi, Federzoni, Acerbo, ed altri, che ritroveremo puntualmente negli
    intrighi del 25 luglio e dell'8 settembre.Gli istituti nuovi erano pura
    facciata, il potere, personalizzato nelle mani del duce, dietro al quale non
    c'era nessuno. Anzi, dietro al duce, dietro l'apparente monoliticità del
    regime, c'era un agitarsi di forze prive di unità d'intenti, un compromesso
    cementato dal successo di vent'anni di regime, ma sempre un compromesso.
    Esso era insito già nel modo in cui il fascismo era giunto al potere, "un
    coacervo informe di forze, di interessi, di stati d'animo diversissimi "
    come lo giudica De Felice.Né il tempo aveva portato un chiarimento
    definitivo, appare chiaro, anzi, come per Mussolini tale mancata compattezza
    si traducesse in un punto di forza anzichè di debolezza. " Spesso non
    lasciava cadere le speranze degli estremisti, anzi le incoraggiava " ricorda
    Piero Melograni " per riuscire ad apparire agli occhi dei moderati come
    l'arbitro, il solo uomo di governo capace, al momento adatto, di imbrigliare
    le forze eversive presenti nel suo partito ".Tutto ciò, se come tattica
    politica per il controllo del potere poteva essere accettabile, non faceva
    certo del duce il vertice di forze convergenti, quali un capo deve essere.
    Giorgio Bocca a conferma: " Mussolini avverte che il suo regime monolitico è
    tutto lavorato da correnti sotterranee, e si estenua a mediarle; ci sono gli
    industriali, c'è la monarchia con la sua corte, c'è la Chiesa con la sua
    sede apostolica; il Tevere è stretto. La rotta ideologica del fascismo va
    per continue accostate, tra il rifiuto di ogni definizione teorica, e
    l'illusione di trovarne na buona per tutti gli usi, fra la pratica del
    potere e la ricerca dell'anima fascista, tanto invocata e mai raggiunta ".



    Il campo militare era abbandonato agli intrighi dei generali; la Milizia
    rimase sempre un corpo raccogliticcio, non certo paragonabile alle SS
    nazionalsocialiste. La diplomazia un covo di vipere al servizio di un chiaro
    disegno volto ad imporre al paese un cambio di campo, nel senso
    filo-inglese. Al centro dell'intrigo c'era addirittura il ministro degli
    esteri, genero del duce, conte Galeazzo Ciano. L'Ambasciata di Berlino, la
    capitale dell'alleato, era il punto di forza dei nemici dell'alleanza. Il
    diplomatico Leonardo Simoni ad essa assegnato ci riferisce: " risuona tutta
    di voci apertamente ostili alla Germania ". L'ambasciatore Attolico " si
    augura che celeri trattative di pace impediscano un eccessivo rafforzamento
    della Germania ". Altro personaggio di rilievo all'ambasciata è il conte
    Massimo Magistrati, che ha sposato una sorella di Ciano. Attolico, se ne
    serve " per esercitare su Ciano una benevola influenza moderatrice ".
    Addetto militare, dopo essere stato a capo del SIM (il servizio di
    informazioni militari) è il Gen. Roatta, che manifesta nei confronti della
    Germania " un atteggiamento nettamente fermo ed ostile. Fatto questo che
    sembra farlo molto ammirare dai numerosi ufficiali che gli stanno attorno ".
    Addetto stampa è il marchese Antinori, dominato da un " astio incredibile
    per i Tedeschi e il Reich ".Non c'è da meravigliarsi, in un contesto del
    genere, che Ciano, contrariamente all'impegno preso coi Tedeschi, dia
    assicurazione agli ambasciatori inglese e francese che l'Italia non sarebbe
    entrata in guerra! Sotto la data 31 agosto, nel suo diario, Ciano annota: "
    viene da me Percy Loraine, lo metto al corrente di quanto è accaduto, poi,
    fingendo di non riuscire a trattenere uno scatto del cuore, dico : " Ma
    perchè volete creare l'impossibile? Non avete ancora capito che noi la
    guerra contro voi e la Francia non la inizieremo mai? " Percy Loraine si
    commuove. Gli occhi luccicano, mi prende le mani; " Da quindici giorni io mi
    ero reso conto di ciò. E lo avevo telegrafato al mio governo. Le misure di
    questi giorni avevano scosso la mia fiducia. Ma sono felice di essere venuto
    questa sera a Palazzo Chigi ".Per togliere ogni dubbio sull'atteggiamento
    italiano si revocano le disposizioni relative all'oscuramento. Il l'
    Settembre Ciano ripete a Francois Ponset quanto aveva detto a Loraine.E'
    difficile, oggi che l'Italia non ha alcun peso, valutare l'importanza di un
    tale fatto. Ma allora il prestigio italiano era all'apice e la nostra flotta
    temibilissima. Annunziare, prima dello scoppio delle ostilità, che ne
    saremrno restati fuori, fu quantomeno gravissimo, imperdonabile
    errore.Quanto chiaccherone fosse Ciano in quei giorni, è testimoniato dal
    Gen. Pesenti il quale riferisce: " S.A.R. il duca Amedeo d'Aosta, rientrato
    in Africa Orientale il 26 agosto, dichiarò di essere certo che l'Italia non
    sarebbe entrata in guerra, avendo egli avuto di ciò personale, formale
    assicurazione dal ministro degli affari esteri conte Ciano ".Inghilterra e
    Francia, liberate dalla preoccupazione di un conflitto più generalizzato, si
    accinsero a liquidare la Germania. Questa si trovò travolta da eventi più
    pesanti di quanto avesse ragionevolmente potuto prevedere e dovette subire l'aggressione anglo-francese priva dell'alleato italiano.

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Anatomia di una sconfitta

    " Non belligeranza " e intervento



    Mentre i Tedeschi si battevano con decisione, l'Italia rimaneva alla
    finestra; fu proclamata la non belligeranza. I commerci fiorivano; vendiamo
    (i Tedeschi protestano) persino motori Isotta Fraschini per aeroplano ai
    nemici del nostro alleato. Proseguono i maneggi antigermanici di Ciano e
    della sua cricca, né ci si preoccupa di colmare le lacune, specie di tipo
    organizzativo e quelle, assolute, di pianificazione militare.


    I mesi dal settembre 1939 al giugno 1940 avrebbero potuto essere preziosi,
    ma nulla fu fatto. Si chiedono, è solo un esempio, all'industria meno carri
    armati di quanti essa potrebbe fornire.

    Quando il successo tedesco appare evidente, e si può prevedere una prossima
    fine della guerra, Mussolini si decise ad intervenire per partecipare alla
    spartizione del bottino, ma non si seppe militarmente che pesci prendere;
    anzi non se ne prese nessuno!


    Mussolini ebbe a dichiarare espressamente che si sarebbe combattuto non per
    la Germania, né con la Germania, ma a fianco della Germania. Che alla
    dichiarazione di guerra non si siano opposti né il Re, né Ciano, né il capo
    di Stato Maggiore Badoglio, tutto l'ambiente massonico, cioè notoriamente
    legato alle democrazie, la dice lunga.


    Quel che seguì alla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 fu quanto di
    meno serio si può trovare nei libri di storia di ogni tempo. Dopo essere
    stati noi a scegliere il momento ritenuto più adatto per l'intervento,
    evitiamo di gettarvi tutto il nostro peso per accelerare la conclusione del
    conflitto e ce ne stiamo sulla difensiva, come se gli aggrediti fossimo
    stati noi. Il 7 giugno lo Stato Maggiore Generale dirama l'ordine 28 op,
    relativo alle operazioni contro la Francia:1)- Se si incontrano forze
    francesi non essere i primi ad attaccare.2)- Non sorvolare il territorio
    francese.3)- Restare a 10 Km. dal confine.4)- Nessun reparto dovrà varcare
    il confine. Ci furono lettere al duce dell'ambasciatore francese,
    contatti tra Badoglio e l'addetto militare Gen. Parisot, con richieste di
    non essere attaccati e promesse di non attaccare. Non esiste
    documentazione storica a tale proposito, ma s'è parlato addirittura, a
    proposito del carteggio Chuchill-Mussolini (che lo statista inglese in
    persona corse a recuperare nel 1945 sul lago di Corno), di un intervento
    italiano costruito d'intesa con gl'lnglesi, perchè essi e i Francesi non
    avessero a trovarsi da soli con i " cattivi " Tedeschi al tavolo della pace.
    Gli eventi non smentiscono come assurda tale ipotesi. La dichiarazione di
    guerra infatti non ci portò alcun vantaggio strategico o tattico immediato.
    Ci volevano i giapponesi, con la lezione di Pearl Harbour per capire come si
    inizia una guerra! Si fecero invece subito manifeste le conseguenze
    negative della situazione da noi stessi posta in essere. In un sol colpo
    perdemmo 212 navi, di cui 46 petroliere, per un totale di 1.616.000
    tonnellate di naviglio, bloccate in porti nemici. Era proprio impossibile
    evitare di perderle? Non approfittammo di circostanze e di rapporti di
    forza a noi estremamente favorevoli. Rinunciammo ad occupare Malta, che il
    Servizio Informazioni Aeronautica ci disse difesa da 29 aerei, mentre non ce
    n'era alcuno (solo tre Gloster Gladiator, in casse, ancora da montare).
    L'ammiraglio Cunningham il 17 giugno 1940 scriveva: " decidendolo ora, è
    possibile sgombrare una parte dei depositi della flotta e le persone non
    necessarie per la difesa ". Malta era considerata perduta!

    Non fu bloccato il canale di Suez; bastava farvi saltare una nave con le
    stive cariche di cemento, o minarlo dall'aria. Incoraggiarono Mussolini,
    nel dare l'ordine di restare sulla difensiva, i nostri servizi segreti, poco
    attivi, ma estremamente allarmistici. Essi ci dettero ovunque in condizioni
    di pesante inferiorità, mentre era vero l'opposto. Chi erano i
    responsabili di questi servizi? Per l'Esercito il Gen. Carboni, individuo
    fatuo, amico di Ciano, che ritroveremo sulla breccia nel periodo
    dell'armistizio. Per la Marina, il traditore ammiraglio Maugeri decorato in
    seguito dagli americani per i suoi servigi. Mentre avevamo in quel
    momento in Libia 221.530 uomini per un totale di 14 divisioni, 1801 cannoni,
    4.600 mitragliatrici, 3.800 fucili mitragliatori, 339 carri, 2.500 moto e
    9.600 automezzi e in giugno giungeranno altri 1.250 automezzi, viveri,
    carburante, munizioni e i primi 70 carri pesanti della Centauro, si
    manifestano timori per una possibile iniziativa francese dalla Tunisia, dove
    si davano presenti divisioni da tempo rimpatriate e si temeva accorresse,
    dalla Siria in Egitto, un fantastico, perchè non esisteva, " esercito
    Weygand ". Nemmeno dopo la resa dei Francesi furono mosse a tenaglia
    contro l'Egitto e il Sudan, le truppe della Libia e dell'Impero. Egitto e
    Sudan erano pressoché sguarniti e difesi dall'aria da pochissime squadriglie
    di aerei. Non avrebbero ricevuto nè un uomo, nè un fucile, nè un carro, nè
    un aereo, fino al settembre! L'ideale per la prevista guerra lampo!
    Ricorda il Gen. William Platt, comandante in capo delle truppe britanniche
    operanti nel Sudan, che le uniche sue forze erano 5.000 uomini delle SDF
    (Sudan Defenee Force) una specie di polizia coloniale e 3 battaglioni
    britannici, senza cannoni e carri e appena qualche aereo, su 2.000 Km. di
    frontiera. Dice il colonnello inglese Baker che " esistevano mille ragioni
    per considerare il Sudan praticamente perduto ". A sud, sempre a detta
    del Col. Baker, " la difesa del Kenia poteva contare su 10.000 uomini;
    Somalia britannica e Aden su altri 5.000 ". In A.O.I. il duca d'Aosta
    disponeva infatti di 300.000 uomini, 400 cannoni, 60 carri, 323 aerei. Era
    altresì provvisto di benzina e viveri sufficienti anche per scatenare una
    offensiva su vasta scala. Qualche rifornimento poteva giungere e fu
    effettuato, per via aerea dalla Libia, e con navi dal Giappone. Il
    rapporto di superiorità per gli Italiani in Africa, era perciò di 10 a 1 per
    le forze di terra e di 5 a 2 per quelle dell'aria, sempre ammettendo che gli
    aerei britannici (vecchi Vincent del 1928) potessero eguagliare in potenza e
    velocità gli avversari italiani. Quali che fossero i mezzi a
    disposizione del duca d'Aosta, egli doveva evitare di disperdere le forze
    sui vastissimi territori dell'Impero, assumere l'iniziativa , o ,quantomeno,
    difendersi su posizioni favorevoli che certo non mancavano.L'unico movimento
    di truppe effettuato nel giugno 1940 rimase quello contro la frontiera
    alpina francese. Un fallimento clamoroso per l'impreparazione e per le
    difficoltà obiettive del terreno che non permisero di conquistare alcuna
    posizione chiave. Ma volevamo davvero conquistarle? Lo storico francese
    Henry Azeau si domanda: " la guerra fraiico-italiaíìa ha inizio coli una
    specie di accordo segreto? ". Dell'inesistenza di tale accordo non dette
    purtroppo prova l'Italia durante le trattative armistiziali. Il 18 giugno
    Mussolini e Hitler si incontrarono a Monaco; fu deciso che l'Italia avrebbe
    imposto ai francesi la cessione di Corsica, Tunisia, e Costa dei Somali,
    oltre all'occupazione della Provenza fino al Rodano. li 24 giugno a Roma, a
    Villa Incisa, fu firmato l'armistizio, rinunciando da parte nostra a quanto
    si era preannunciato di voler esigere. Il mancato possesso della Tunisia, in
    particolare, fu gravissimo, si rinunciò a rendere meno lunga e meno
    pericolosa la rotta dei nostri convogli con la Libia e si posero le premesse
    per enormi perdite di uomini e materiali. L'ambasciatore Guariglia e
    Vittorio Mussolini imputano ai consigli di Ciano questo tragico errore.
    Resta il fatto che Mussolini, nove ore dopo aver approvato il testo della
    convenzione di armistizio, ordinava di annullarlo, quando era già stampato e
    pronto alla consegna. Hitler interpellato, lasciò libera l'Italia di porre
    le condizioni credute opportune, assicurando ancora una volta comunque, che
    non avrebbe firmato alcun armistizio con la Francia separatamente, quali che
    fossero le nostre richieste. Come omaggio finale, rinunciammo anche alla
    consegna dei fuoriusciti antifascisti già attivi in senso antiitaliano.


    I mesi tra il giugno e l'ottobre, che potevano essere decisivi, furono
    gettati in una inazione totale, continuando a pensare, Mussolini e lo Stato
    Maggiore, in modo profondamente errato. In questa equivoca neghittosità si
    afflosciò l'entusiasmo di un popolo disposto a credere. Quella che poteva
    essere un'autentica lotta di liberazione nacque, sotto il segno del giallo
    politico diplomatico e del calcolo, degenerando poi, tra la rabbia degli
    onesti, prima in incomprensibili balbettii strategici, poi in medioevali
    intrighi di palazzo. Aspettammo, credendoci furbi, che la vittoria ci
    piovesse dal cielo per merito dei nostri alleati. Ma Hitler
    nell'estate 1940, nonostante i precedenti, era ancora speranzoso di trovare
    un'intesa con gli Inglesi. Si aspettava gratitudine per averli " perdonati "
    a Dunquerque, dove non aveva insistito a fondo, proprio per evitare che
    l'onore offeso troppo pesantemente imponesse loro di reagire ad oltranza.
    Non voleva, coerentemente a quanto aveva scritto in Mein Kampf, creare fra
    Germania e Inghilterra un solco incolmabile, ed è perfino storicamente molto
    incerto se abbia mai davvero pensato ad invadere l'Inghilterra.
    Dovevamo pensare pertanto a far qualcosa per conto nostro. Chiusa la
    campagna con la Francia, erano concentrati nella valle Padana 600.000
    militari " disoccupati ". Come se la guerra fosse già vinta, si pensò di
    utilizzarli in una campagna contro la Jugoslavia; vennero inviate al confine
    orientale 37 divisioni e 85 gruppi di artiglieria, oltre a unità speciali,
    magazzini, servizi. Si decise inoltre di congedare 600.000 riservasti da
    poco richiamati. A ottobre 300.000 sono già a casa. Appena in tempo per
    essere richiamati per la guerra di Grecia! Sembra che Mussolini e lo Stato
    Maggiore si scordassero completamente dell'unico fronte aperto, quello
    libico e del teatro d'operazione mediterraneo in genere. Questo proprio
    quando l'eliminazione dalla guerra della flotta francese apriva per noi
    interessanti prospettive. -continua-

    Ma l'8 luglio, un ordine di Supermarina impedisce all'amm. Bergamini
    con parte della flotta di partecipare allo scontro di Punta Stilo in
    Calabria, contro vecchie navi inglesi rimodernate, inferiori alle nostre per
    velocità e gittata delle artiglierie. " Non uscire-ripeto-non uscire " è
    l'ordine di Supermarina, ricorda l'U.S.M. (Ufficio Storico della Marina).
    A fine agosto, per contrastare navi uscite da Alessandria si muove da
    Taranto tutta la flotta, 5 corazzate, 13 incrociatori, 39 caccia. La flotta,
    vincolata da precisi ordini di Supermarina, non dà battaglia a forze 3 volte
    inferiori e consuma incredibili quantità di prezioso carburante.
    Conseguenza immediata di questo stranissimo, inspiegabile inizio del
    conflitto fu quella di influenzare negativamente le nazioni più interessate
    ad intervenire al nostro fianco: Spagna e Turchia. Constatata l'inazione
    italiana e il cristallizzarsi del conflitto, quindi il suo prolungarsi con i
    prevedibili rischi, esse ne trassero incitamento a restare in prudente
    attesa. Gli Inglesi che molto avevano temuto per Gibilterra, (Churchill ebbe
    a dichiarare " l'intervento della Spagna avrebbe potuto dare alla guerra
    sviluppi imprevedibili "), ne trassero conforto e cominciarono a pensare che
    forse il peggio era passato. Per noi italiani, invece, il peggio stava
    arrivando ed era la materializzazione della guerra parallela: nessun piano
    strategico comune, nessuna consultazione tra i due stati maggiori, un
    costume che purtroppo proseguo per tutta la guerra. Una guerra davvero "
    parallela ", condotta all'insegna della dispersione delle forze, della
    gelosia e della disistima tra alleati, senza che nessuno dei due si rendesse
    conto che in tal modo ci si avviava alla sconfitta. C'è da dire che
    la responsabilità principale di ciò ricade certamente su di noi Italiani.
    Essendo militarmente più deboli, dovevamo essere doppiamente volonterosi e
    ricercare la vittoria ponendo al servizio dell'alleanza, senza riserve,
    tutto quanto poteva essere dato. Invece, oltre a pesare poco militarmente,
    ebbimo impensabili alzate di testa che misero in difficoltà l'alleato. Ad
    esso non era sfuggito l'atteggiamento del gruppo Ciano. La fama di essere
    poco fidati, cioè di chiacchierare troppo, era ormai consolidata. Non si
    vede perciò a qual titolo i Tedeschi avrebbero dovuto informarci di ogni
    cosa fossero per architettare. Lo stesso Hitler ci dà testimonianza di ciò:
    " nonostante l'assoluta fiducia che riponevo in Mussolini personalmente, mi
    ritenni in dovere di tenerlo all'oscuro delle mie intenzioni in tutti quei
    casi in cui una indiscrezione avrebbe potuto pregiudicare la nostra
    sicurezza. Egli, purtroppo, riponeva piena fiducia in Ciano ".

    Una serie di disastri


    Il 28 ottobre 1940, senza motivi e senza preparazione adeguata, ci
    impantanammo nella campagna di Grecia. Al processo di Verona, che nel
    gennaio 1944 lo vide condannato a morte e fucilato, Ciano fu condotto dalla
    congiura del 25 luglio, ma essa fu solo il coronamento del suo agire; aveva
    in precedenza già fatto alla Nazione danni incommensurabili. La campagna di
    Grecia fu il suo capolavoro. Raccontò, e fu creduto, di aver corrotto
    elementi greci di primo piano. Per parte sua Badoglio, con criminale
    faciloneria, accettò di avallare un'operazione oltremare senza nemmeno
    interpellare i responsabili della Marina e dell'Aeronautica. La
    campagna, strategicamente, fu un'operazione demenziale. Si decise di
    attacare dai monti, con la prospettiva, se le cose fossero andate bene, di
    dover scavalcare una catena di montagne dietro l'altra e per di più si
    attaccò in condizioni di grave inferiorità numerica. La guerra con la
    Grecia, ammessa la necessità di farla, avrebbe potuto essere risolta in
    poche ore; la flotta, da Taranto avrebbe raggiunto il Pireo e nella stessa
    serata la Grecia si sarebbe trovata con un nuovo governo allineato sulle
    posizioni dell'Asse. Non si attua nemmeno I'" emergenza G ", che prevedeva
    lo sbarco a Corfù, a pochi chilometri dal continente. Altra soluzione,
    altrettanto logica e poco dispendiosa, sarebbe stata quella, risolutiva, di
    concordare l'operazione con l'alleato. In primavera infatti le truppe
    germaniche, transitando dalla Bulgaria, misero fine al conflitto in pochi
    giorni. Il generale Papagos, comandante supremo dell'esercito greco, ammette
    che gli era impossibile difendere contemporaneamente il confine albanese e
    quello bulgaro. Trattenuta invece la flotta a Taranto, di lì a pochi
    giorni tre corazzate furono silurate in rada da una squadriglia di
    Swordfish, vecchi, lentissimi aerosiluranti inglesi. Gli aerei erano
    decollati a 170 Km. da Taranto, dalla portaerei Illustrius. La squadra
    inglese era stata avvistata, ma nessuno dette alle nostre navi l'ordine di
    prendere il mare per intercettarla. Uno storico inglese commenta: " Per
    ventiquattr'ore l'ammiraglio Cunningham agitò il panno rosso lungo il
    tallone d'Italia, ma la sfida non fu accolta ". In dicembre la lista
    delle disgrazie italiane si allunga. Toccò stavolta allarmata libica di
    Graziani, che in tre mesi dall'inizio delle ostilità si era mossa in avanti
    di 50 Km., e sostava a Sidi el Barrani, dopo aver fatto, nel balzo in
    avanti, sei prigionieri! A Graziani, Mussolini aveva scritto: "
    L'invasione della Gran Bretagna è decisa, è in corso di ultimazione come
    preparativi e avverrà. Circa l'epoca, può essere tra un paio di settimane o
    un mese. Ebbene il giorno in cui il primo plotone di soldati germanici
    toccherà il suolo inglese, voi simultaneamente attaccherete ". Altro che
    attaccare! Un esercito che ignora come dottrina e come prassi la guerra di
    movimento, non sa neppure disporsi a difesa contro un nemico capace di
    farla. Il generale Berti, ricorda l'U.S.E. (ufficio storico dell'esercito)
    comandante della X armata, quella che è attaccata di sorpresa e sbaragliata
    da poche migliaia di inglesi, è in licenza in Italia. Invece di rientrare
    immediatamente, alla notizia dell'attacco, prende tempo con la scusa che la
    mamma è ammalata e poi ricompare a Cirene, al comando di Graziani in abiti
    borghesi. Questo era lo spirito da cui erano purtroppo animati gli
    uomini che " contavano ". Ma non va dimenticato che al fronte c'era anche
    gente di altro stampo. Pochi giorni prima di morire in combattimento, Guido
    Pallotta scrive ai genitori: " sono in ottima salute e ne ringrazio il
    cielo, perchè essere rinipatriato per nialattia sarebbe il mio più grande
    dolore ". Ma Pallotta era solo un sottotenente. In pochi giorni
    perdiamo 130.000 uomini, 1.000 cannoni, 400 carri. Va detto che se i nostri
    carri erano piccoli, neppure quelli inglesi erano poi giganteschi, 3
    tonnellate i nostri, 5 quelli britannici! Quella che mancò fu
    l'azione di comando. Anche l'aeronautica è trascinata nel gorgo, in pochi
    giorni vanno persi 1.000 aerei, di cui diverse centinaia distrutti al suolo.
    Il 4 gennaio 1941, a Bardia, accerchiata da 23 (ventitrè) carri inglesi, si
    arrendono 45.000 uomini con 400 cannoni, dopo una serie di combattimenti
    così " furiosi " che Montgomery ebbe a definirli " zuffe di cani ".
    Gli Inglesi proseguirono l'offensiva agevolati dai 706 nostri autocarri
    pesanti di cui si erano impossessati , e il 21 gennaio, disponendo di soli
    12 carri armati, ma con un reggimento carri riequipaggiato con quelli
    italiani catturati, si presentano davanti a Tobruk dove, lo stesso giorno,
    si arrendono altri 32.000 nostri uomini. Rotte militari di questo
    genere furono decisive nell'economia della guerra e sul morale del popolo,
    avviando reazioni a catena di sfiducia e di egoistico riflusso al privato.
    Osserva lo scrittore albanese Ismail Kadaré nel suo bellissimo " I tamburi
    della pioggia ": " quando gli uomini cominciano a guardarsi dal pericolo è
    perchè hanno perduto ogni speranza di vittoria ". Con quale
    spirito potevano battersi i nostri pur valorosi soldati in un contesto
    strategico contradditorio e guidati da uno Stato Maggiore professionalmente
    inesistente? E'evidente come errori e sconfitte influenzino di riflesso
    altre situazioni e rendano i provvedimenti presi a rimedio sempre più
    problematici e difficilmente risolutivi. Per l'esito infausto
    dell'offensiva in Grecia, si procedette, visto che Ciano era ancora nei
    favori del duce, al licenziamento di Badoglio. Ricorda Duilio Susmel, che il
    maresciallo dimissionario (26 novembre 1940) in attesa della decisione
    definitiva, si prese una settimana di licenza che trascorse nella tenuta di
    un amico in Lombardia a giocare a bocce ed in piacevoli partite di caccia.
    Il paese era in guerra, in Albania continuava l'arretramento, i soldati
    combattevano nel fango e il capo di Stato Maggiore giocava a bocce e sparava
    agli uccelli! Il disastroso andamento della campagna di Albania (prese a
    chiamarsi così, anzichè di Grecia, perchè ormai si combatteva sul nostro
    territorio) spinse la Jugoslavia ad un clamoroso voltafaccia, per cui si
    rese necessaria un'occupazione che era destinata ad immobilizzare decine di
    divisioni. Lo stesso Hitler, nel suo testamento, ricorda quale pregiudizio
    abbiano portato le operazioni nei Balcani; provocarono nell'attacco alla
    Russia un ritardo di quattro settimane, settimane che forse costarono la
    guerra! In febbraio, mentre Franco è a Bordighera a colloquio con Mussolini,
    la flotta inglese si presenta davanti a Genova e la cannoneggia
    violentemente. I soli grossi calibri delle corazzate sparano 1.055 colpi.
    Scrive Giovanni Artieri: " sapevano tutto della difesa,debolissima, della
    dislocazione degli obiettivi, dell'inesistenza di campi minati ". Non
    riuscimmo a reagire in alcun modo! E' superfluo aggiungere come finì
    l'invito rivolto da Mussolini a Franco affinché partecipasse alla nostra
    guerra! Nella primavera 1941, mentre in Europa centinaia di divisioni
    tedesche erano inutilizzate, e si delineava coll'intervento dell'Asse nei
    Balcani la successiva più grave dispersione di forze provocata dalla
    campagna all'Est, si compiva anche il destino dell'A.O.I., dove in breve
    tutte le nostre forze furono messe fuori combattimento. li generale
    Lettow Worbek, nel 1914-1918, con 2.000 tedeschi, resistette in Tanganica
    per quattro anni! Il nostro vicerè si arrese all'Amba Alagi
    praticamente senza combattere. Degno suo epitaffio fu il commento di Ciano
    nel diario " temeva più la vittoria tedesca che quella inglese ". " Una
    figura scialba " la definisce Giorgio Bocca; " fu pessimo comandante " dice
    Franco Bandini, " dimostrò una singolare incapacità di afferrare al volo la
    situazione ". Sfuggì al duca che non muoversi ed ostinarsi a presidiare
    i lunghissimi confini dell'Impero era strategia assurda. Se l'Impero era
    destinato a cadere, le energie disponibili andavano spese subito, quando il
    momento propizio poteva offrire risultati insperati. " La condotta
    strategica delle operazioni ", riconosce il monarchico Artieri, "fu
    incoerente ". Non esiste oggi alcun dubbio che il duca avrebbe potuto
    risalire il Nilo e comparire in Egitto nel luglio 1940; ciò avrebbe
    obbligato gli inglesi a distrarre forze dal fronte libico, rinunciando a
    qualsiasi attacco. L'unico nostro sforzo offensivo, che a ben guardare si
    tradusse nel ritirare truppe dai confini che contavano, fu quello assurdo di
    conquistare la Somalia inglese, un territorio che ìl residente britannico a
    Berbera, la capitale, situa ad " appena sei piedi sopra l'orifizio anale
    dell'impero britannico ". In difensiva, eroica fu la nostra resistenza
    a Cheren, dove rifulse la tenacia del Gen. Carnimeo. Fummo costretti a
    cedere solamente perchè mancò nel momento decisivo qualche battaglione!
    L'aviazione italiana è scomparsa; per ordine del Gen. Pinna gli aerei
    superstiti stanno di riserva a Massaua. Il responsabile del fronte, Gen.
    Frusci, non solo non rifornì di uomini Cheren (c'erano decine di migliaia di
    uomini inattivi all'Asmara, a Massaua, ad Addis Abeba, il Gen. Nasi offrì da
    Gondar 30.000 uomini) ma distrasse da Cheren truppe, la 44a brigata ad
    esempio, né furono avviati come rinforzo i grossi calibri delle batterie di
    marina di Massaua. Dopo l'abbandono di Cheren, un reggimento fresco di
    granatieri di Sardegna, il 10', fu inviato e schierato ad Adle Teclesan, su
    ottime posizioni, a difesa dell'Asmara, con una compagnia di mortai ed una
    di mitragliatrici. Ma, dopo un breve scambio di fucilate, l'intero
    reggimento alzò le braccia e si arrese. Pochi giorni dopo a Massaua si
    arrendono altri 10.000 uomini. I nostri generali, alle elementari, non
    avevano letto degli Orazi e dei Curiazi? Al sud, in Somalia, ci si
    schierò a difesa lungo il Giuba, fino a quando la pur prevedibile secca del
    fiume non permise il passaggio agli Inglesi. La nostra linea di difesa era
    del resto sottilissima, dato che si erano trattenuti a Chisimaio, dove si
    arresero senza battersi, 14 battaglioni e 6 batterie di artiglieria. Queste
    forze presidiavano quello che avrebbe dovuto diventare il nostro grande
    porto sull'Oceano Indiano, ma che allora non era ancora nulla. Né ci si
    venga a dire che mancavano i carburanti per spostare queste truppe; solo a
    Mogadiscio gli inglesi trovarono 6.000 tonnellate di benzina! Non c'è
    da meravigliarsi che al momento della caduta dell'Impero, due tra i generali
    più in vista, quel Frusci di cui abbiamo visto sopra le prodezze e lo stesso
    capo di Stato Maggiore del duca d'Aosta, Claudio Trezzani, fossero prelevati
    in aereo e trasportati in America dove furono ospiti di Roosvelt alla Casa
    Bianca. A dimostrazione di quanto ancora si sarebbe potuto fare, va
    segnalato che nel territorio degli Azebo-Galla, schieratisi con gli Italiani
    fin dal 1935, i combattimenti proseguirono fino al 1943, quando ufficiali e
    aerei inglesi ebbero ragione della resistenza. Mancato sfruttamento delle
    ultime possibilità di vittoria

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    Predefinito Riferimento: Anatomia di una sconfitta

    Risoltasi la campagna di Grecia, nel maggio '41 fu occupata l'isola di
    Creta. La situazione nel Mediterraneo migliorò, ma evidentemente mancava un
    respiro veramente strategico ai programmi di guerra dell'Asse. Mentre
    l'isola avrebbe potuto essere un ottimo trampolino di lancio per le
    operazioni verso Cipro, Suez e l'Iraq, dove era scoppiata una rivolta
    anti-inglese che apriva prospettive insperate, la sua occupazione rimase
    fine a se stessa. Non si era neppure pensato dei resto ad operare da una
    posizione come quella del Dodecaneso; Rodi, quasi a perpendicolo sopra il
    canale di Suez ed Alessandria, a pochi chilometri dal continente asiatico, a
    metà strada tra gli aerodromi dell'Italia meridionale e i pozzi petroliferi
    del medio oriente, avrebbe dovuto essere base aereonavale munitissima. Non
    se ne sentì mai parlare durante tutto il conflitto! Doveva perlomeno
    risultare chiaro, a questo punto che il sogno di una guerra lampo era ormai
    tramontato e che per vincere era necessario mettere da parte ogni
    bizantinismo, ogni furbizia, per assumere schieramento chiaro, responsabile,
    e produrre tutto lo sforzo possibile. Rimanemmo invece sempre
    tranquillamente in attesa che i tedeschi vincessero la guerra per noi ed
    attenti a operare affinchè essi non stravincessero. Eravamo ancora
    dell'opinione che gli equilibri europei non dovessero guastarsi pendendo
    troppo dal lato tedesco. Che si continuassero a costruire fortificazioni al
    confine francese e che in funzione antitedesca proseguissero le opere per
    munire " il vallo alpino ", un sistema fortificato su più fasce, a parere di
    Roatta, il più vasto da noi compiuto, appare oggi atteggiamento di una
    miopia imperdonabile. Nulla era ancora compromesso, ma era urgente
    mettere alla frusta il paese, dimostrare che il regime aveva effettivamente
    costruito una mentalità diversa, combattiva. Positivi atteggiamenti di tal
    fatta rimasero però appannaggio di pochi; ricordiamo gli esempi di Guido
    Pallotta, Nicolò Giani e Teseo Tesei, l'ardimento dei reparti della X Mas,
    l'abnegazione dei paracadutisti della Folgore, dei carristi in Africa, degli
    alpini in Russia, il sacrificio dell'intera arma aeronautica, quello dei
    sommergibilisti e della Marina nell'ingrato compito di convogliare e
    scortare in Libia i rifornimenti. Sostanzialmente però nulla si mosse.
    Non esisteva una struttura politica omogenea in grado di mobilitare il
    paese; gli errori militari si moltiplicarono, il fronte libico fu trascurato
    mentre decine di divisioni restavano inattive; continuò l'altalena dei
    congedi e dei richiami. Ma soprattutto nessun valido sforzo fu fatto per
    mobilitare il cosiddetto fronte interno; mancò qualsiasi tentativo di
    imprimere alle energie economiche e industriali della nazione la volontà di
    vincere. " Il Consiglio dei Ministri ", ricorda De Felice, " si riunì nei
    mesi della campagna di Grecia solo tre volte ". L'industria dimostrò tutta
    la propria riluttanza ad impegnarsi autonomamente e il regime tutta la
    propria debolezza politica nel non riuscire ad imbrigliarla, nemmeno per
    quanto riguarda le industrie a partecipazione statale, in particolare quella
    degli armamenti. E non è vero che non si fosse in grado di fare di più! Un
    paragone con lo sforzo fatto nella prima guerra mondiale può essere
    convincente: tra il 1913 e il 1919 le spese belliche assorbirono il 76%
    delle uscite statali e il 38% del reddito nazionale lordo. Negli anni
    cruciali del secondo conflitto, solamente il 20% della spesa pubblica e solo
    il 6% del reddito nazionale lordo. Una percentuale perfino più bassa di
    quella relativa a certi periodi di pace! Un solo dato: si costruirono
    nel 1942 poche centinaia di aeroplani contro migliaia dei tedeschi e degli
    alleati. Quindi, non solo cattivo impiego delle risorse e dei mezzi
    disponibili (ad esempio la flotta che, torniamo a dirlo, in quanto tale non
    fu mai impiegata), ma anche autentica penuria di strumenti bellici, per
    mancanza di pianificazione produttiva, di direttive precise, di uomini
    giusti al posto giusto. Una così sconclusionata azione
    politico-amministrativa ci portò ad essere protagonisti di avvenimenti
    importantissimi, sui quali ci fu però impossibile realmente influire. Se si
    era capita l'importanza della guerra per i destini dell'Europa e si era
    deciso di non essere assenti alla loro costruzione, era necessario
    appoggiarci pienamente all'alleato fin dall'inizio, quando, in una guerra
    breve, anche il nostro peso poteva essere determinante e uno sforzo
    generoso, nel quale bruciare coraggiosamente tutte le nostre risorse, poteva
    essere coronato dal successo. Un conflitto lungo, condotto stancamente,
    in diffidente attesa di una vittoria da parte dell'alleato, vittoria che si
    sperava risicata, frutto di trattative, di compromessi non poteva che
    determinare il fallimento del nostro bluff, condotto senza buon senso e
    senza alcuna grinta. A fine giugno, senza informare Italia e Giappone, la
    Germania prende la decisione di " incidere l'ascesso comunista ". Come non
    avessimo già a sufficìenza truppe in giro per il mondo, decidiamo di inviare
    subito al nuovo fronte il CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) al
    comando del Gen. Giovanni Messe, uno dei generali migliori della nostra
    guerra.La guerra al comunismo fu evento importantissimo, sentito in
    tutt'Europa, tant'è vero che grandiosa fu la partecipazione di volontari da
    tutti i paesi. Si offriva l'opportunità all'Asse di enunciare, con
    solennità, precisi impegni politici circa " l'ordine nuovo " che intendeva
    instaurare in Europa, una indicazione definitiva sugli scopi della guerra e
    sul futuro assetto mondiale. Stupisce che uomini politicamente esperti
    della psicologia delle masse, come Mussolini e Hitler, portatori di una
    visione nuova del mondo, autenticamente rivoluzionaria, abbiano ceduto la
    mano, l'iniziativa, a decrepiti demagoghi conservatori quali Churchill e
    Roosvelt. Il 15 agosto a Placenta Bay, nelle gelide acque di Terranova, essi
    diramarono una dichiarazione congiunta che prese il nome di " carta
    atlantica ": " La guerra viene combattuta senza mirare ad alcun
    ingrandimento territoriale e si esclude qualsiasi cambiamento che non sia in
    accordo con la volontà liberamente espressa dai popoli interessati. Sarà
    rispettato il diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo
    sotto la quale vivere e si ristabilirà l'autogoverno nelle nazioni che ne
    sono state private con la forza ". Al Museo Nazionale di Washington migliaia
    di visitatori sostano riverenti di fronte a questa monumentale impostura.
    Programmi politici di autonomia, ripristino delle libertà negate dal
    comunismo, organismi amministrativi tratti dalle nazionalità, avrebbero
    agevolato, dice il Gen. Messe, la penetrazione delle armate dell'Asse nei
    territori sovietici occupati. A fine anno il fatto cruciale di tutta la
    guerra. Il Giappone, senza informare Germania e Italia, dà vita alla sua
    guerra parallela e si sceglie, anzichè uno degli avversari già in campo
    contro i suoi alleati, uno nuovo, gli Stati Uniti. Questi, che già durante
    la " neutralità " erano schierati sostanzialmente contro l'Asse (a Placenta
    Bay, anche se al di fuori dalle proprie prerogative presidenziali, tanto che
    fu costretto a negarlo, Roosvelt si era impegnato a " proteggere " le
    Azzorre ed a inviare un ultimatum al Giappone), misero in campo le loro
    enormi possibilità industriali e, per di più, rifornirono i sovietici di
    carri, aerei, camions, in quantitativi incredibili. Il 7 dicembre 1941,
    giorno dell'attacco giapponese a Peari Harbour, i corazzati tedeschi erano
    di fronte a Mosca. Un attacco del Sol Levante contro la coda del mostro
    sovietico, in Estremo oriente, avrebbe risolto probabilmente la guerra in
    Europa. La guerra, ad ogni modo, iniziò per i Giapponesi con una serie di
    brillanti successi e di riflesso lo scacchiere mediterraneo ne trasse
    giovamento. Era l'ultima occasione di fare finalmente sul serio, di uscire
    dal torpore, di giocare il tutto per tutto. Ancora una volta il fronte
    decisivo doveva essere per noi quello africano, che poteva offrire questa
    volta addirittura la possibilità di un aggancio con le truppe tedesche, che
    erano ormai giunte al Caucaso.Occorreva innanzitutto approfittare della
    superiorità aeronavale raggiunta in Mediterraneo grazie agli affondamenti di
    navi inglesi ad opera dei nostri mezzi d'assalto e ad opera degli alleati
    germanici. Né i Britannici potevano contare su rimpiazzi, a causa dei
    disastri navali loro inflitti dai Giapponesi in Asia. Concretare tale
    superiorità con l'occupazione di Malta, duramente martellata dall'aviazione
    e sottoposta a blocco, avrebbe permesso un adeguato rifornimento alle nostre
    truppe, ferme a El Alamein, ma disposte ad ogni sacrificio per raggiungere
    Alessandria, il Delta e il Canale. La stessa preoccupazione di salvaguardare
    l'equilibrio residuo dell'alleanza, doveva spingerci a rafforzare al massimo
    il fronte africano, essendo esso un teatro d'operazioni secondario per la
    Germania. Il tempo lavorava ormai contro di noi. Andava abbandonata
    qualsiasi tattica difensiva e ogni sacrificio di uomini, mezzi e materiali,
    andava inserito in un disegno univoco, coerente, ardito. Le risorse andavano
    impiegate in un sol punto, quello che poteva offrire possibilità decisive.
    Che senso poteva ormai avere occuparsi della " riserva centrale " (un gruppo
    di divisioni " a disposizione " nella valle Padana) o delle divisione
    costiere? Ogni automezzo, ogni cannone doveva prendere la via dell'Africa.
    La stessa flotta andava impiegata, a supporto dell'Esercito in una grande
    battaglia di sfondamento ad El Alamein. Un simile impiego non era
    impensabile; gli alleati impiegarono molte volte i cannoni della flotta
    oltre che in appoggio ad operazioni di sbarco, anche a favore di truppe
    operanti non lontano dalla costa, come in Sicilia, Salerno, Anzio e
    Normandia.Proprio in quei mesi, la nostra flotta si ritirò invece nei porti
    più lontani dalle operazioni di guerra. Non la si impiegò neppure al momento
    dell'invasione del territorio nazionale, cosicchè, rinviandone di continuo
    l'intervento, fu possibile all'armistizio, l'8 settembre 1943, consegnare al
    nemico, dopo oltre tre anni di guerra, corazzate modernissime che non
    avevano mai sparato un colpo di cannone.Ma lo Stato Maggiore era ormai pieno
    di riserve mentali; si preferiva avere a disposizione, nella penisola,
    truppe da opporre ai tedeschi (con quali risultati si vide poi!) piuttosto
    che " rischiare di vincere ". Enormi furono pertanto le carenze nei
    rifornimenti destinati al fronte libico. Riconosce a questo proposito il
    Gen. Cavallero, il capo di Stato Maggiore succeduto a Badoglio, nel suo
    diario (vol. Ottobre 1941 - settembre 1942), che " le carenze di
    rifornimenti spesso lamentate non erano soltanto frutto dell'opera nemica,
    ma derivavano molto spesso dal fatto che dall'Italia non molto partiva ".
    Solo il 10% degli automezzi disponibili, ad esempio, fu impiegato in Libia;
    oltre il 50% rimase inutilizzato in Italia, mentre il resto fu disperso in
    Francia, Slovenia, Croazia, Albania, Grecia e Russia. Il teatro di
    operazioni dell'Est fu quello nel quale, nell'estate 1942, profondemmo la
    quasi totalità dei mezzi disponibili; per qualità senz'altro i migliori.
    Mussolini, che evidentemente aveva il complesso della Germania, voleva a
    tutti i costi non sfigurare. A chi si permise di criticare l'entità delle
    forze predisposte per l'invio al fronte russo, rispose: " Non possiamo
    essere inferiori alla Slovacchia! ". La Slovacchia aveva mandato in
    Russia 2 divisioni. Noi vi mandammo 227.000 uomini, 16.700 automezzi, 4.470
    motomezzi, 1.130 trattori d'artiglieria, 19 semoventi, 55 carri, 588 pezzi
    d'artiglieria, 380 anticarro; 52 pezzi contraeri, 220 mitragliatrici
    antiaeree. Ci si privò persino di batterie tolte alla difesa contraerea
    delle nostre città, come se il fronte decisivo fosse per noi in Russia, come
    se la relativa debolezza dell'avversario sul teatro di guerra africano non
    consigliasse di far massa lì.Quest'ultima catena di indecisioni e di errori
    segnò definitivamente le sorti della guerra. In pochi mesi seguirono la
    gloriosa, ma irrimediabile sconfitta di El Aiamein, lo sbarco
    anglo-americano in Nord Africa, Stalingrado,la erdita definitiva dell'Africa
    settentrionale.

    Come l'ora più calda della giornata è preparata dal caldo del mezzogiorno,
    così furono gli orientamenti politici e le decisioni del periodo precedente
    lo scoppio del conflitto e i gravissimi errori commessi nei primi mesi di
    guerra a determinare, come automatica, fatale conseguenza, la sconfitta.Ecco
    perchè, eventi militarmente pur importanti come la crisi del fronte russo
    dopo Stalingrado, la campagna di Tunisia, quella di Sicilia, non meritano di
    essere esaminati al fine dell'accertamento delle cause della sconfitta. Essi
    non potevano più influenzare le sorti del conflitto. In tale clima maturò la
    congiura in due tempi del 25 luglio e dell'8 settembre. Essa percosse un
    popolo disciplinato ma deluso, e Forze Armate il cui peso, rilevante se
    impiegato al momento opportuno, era stato mal dosato ed era ormai
    ininfluente.Non incontrò la congiura resistenza alcuna nella dirigenza
    politico-militare dello Stato. Anzi proprio da essa presero vita gli episodi
    di dissociazione più gravi. Si erano riannodate le fila di tutto il gruppo
    già ingaggiato nel 1939, in funzione antitedesca, dal ministro della Real
    casa, duca Acquarone.L'opportunismo, la sensazione che era ormai necessario
    abbandonare la barca che stava affondando, barca che peraltro a lungo aveva
    assicurato ogni comfort possibile, fecero da cemento ai due filoni della
    congiura, quello " fascista " e quello dei " militari ", tutt'e due composti
    da " uomini del re ". Anfuso, nostro ambasciatore a Budapest, trovò a Roma
    Ciano, diventato ambasciatore presso il Vaticano " immerso fino al collo
    nella congiura fascista, compartimento stagno della congiura generale " e
    sempre a contatto con Bottai e coi generali dello S.M. Carboni e Castellano.
    Sono i giorni in cui Ciano riferisce nel suo diario le parole di uno dei
    capi della congiura, Dino Grandi: " Non so come ho fatto a contrabbandarmi
    fascista per 20 anni ". In quel momento l'uomo, che si vantava di essere in
    frequente contatto col Re, era contemporaneamente presidente della Camera e
    ministro della Giustizia.Oltre a Grandi, in prima fila, c'erano Bottai, De
    Vecchi, De Bono, Bastianini, Acerbo, Albini, Federzoni. Erano tutti uomini
    appartenenti a quel fascismo regime che De Felice oppone al fascismo
    movimento; che non si trattasse di autentici fascisti, ma di uomini
    semplicemente " di destra ", è dimostrato dal fatto che potessero proporre
    essi stessi un ricambio, la liquidazione dei fascismo dal suo interno,
    accettando un antitetico ritorno al vecchio schema democratico. Dimostrarono
    questi uomini la più ampia disponibilità a trasferire se stessi, e quanto di
    meno significativo del fascismo, alla " nuova gestione ", con la
    disinvoltura con la quale successivamente si fusero, senza scosse, coi
    sopravvissuti della monarchia e più tardi con gli affaristi della
    partitocrazia.Né è il caso di insultarli, additandoli come voltagabbana, per
    aver trovato nel disfacimento sociale, provocato dalla democrazia, un ottimo
    brodo di coltura. La loro presenza, un tempo, nelle file del movimento
    fascista dimostra solo quanto poco attento sia stato questo, accettando di
    considerarli suoi uomini. Quanto ai militari, si è già detto di
    Badoglio, Roatta, Carboni. Di Ambrosio, il nuovo capo di Stato Maggiore,
    vogliamo solo ricordare che il giorno in cui fu annunziato l'armistizio, era
    assente da Roma perchè doveva seguire il trasloco di certi mobili, che da
    Torino venivano sfollati nella sua villa di campagna. Ci pare che anche
    qualche nome di ammiraglio vada citato: Pavesi " artefice " della resa di
    Pantelleria, difesa da 40 batterie e 12.000 uomini; arresosi senza che il
    nemico nemmeno avesse iniziato lo sbarco. Brivonesi, messo sotto processo
    per i fatti dei 9 novembre 1940, quando volse le terga al nemico rendendosi
    responsabile dell'affondamento di 7 navi e 2 caccia appartenenti al
    convoglio affidatogli. Tale referenza gli valse la qualifica di custode di
    Mussolini, prigioniero alla Maddalena. Maugeri, decorato dagli USA per i
    preziosi servizi resi nel periodo aiiteceiìdeiite l'8 settembre. Leonardi,
    comandante della piazzaforte di Siracusa-Augusta all'epoca dello sbarco
    anglo-americano in Sicilia. Questo complesso fortificato munito da 6
    poderose batterie, le più potenti del Mediterraneo, capaci di colpire con
    cannoni da 381 in torre binata, fino a 35 Km, era difeso da 1 7 batterie
    coiìtraeree e da un treno blindato. Le batterie e persino il treno, che
    poteva semmai essere allontanato, furono fatti saltare quando ancora il
    nemico era lontanissimo, e nemmeno una minima avvisaglia di combattimento si
    era avuta. Non vennero invece fatte saltare le attrezzature portuali, che
    agevolarono poi le operazioni di sbarco e di rifornimento nemiche.
    Supermarina definisce in una relazione questi fatti " slrenua resistenza
    "!!!; quanto al treno, fu " sopraffatto e poi fatto saltare "!!!! In quegli
    stessi giorni 300-400 aerei venivano distrutti al suolo. I personaggi
    politici e militari, che nulla avevano fatto per vincere la guerra, si
    trovarono ad un certo punto di fronte alle conseguenze della loro insipienza
    ed all'interrogativo su come farne uscire il paese. La possibilità di
    uscire dal conflitto all'" italiana ", capovolgendo le alleanze, fu tentata.
    Ricorda Giovanni Artieri che il generale Castellano, presentatosi a Lisbona
    al Gen. Bedel Smith, capo di Stato Maggiore di Eisenhower ed al generale
    brigadiere Strong " assicurò che gli Italiani volevano un immediato
    capovolgimento della loro politica, cioè l'abbandono dell'alleanza germanica
    e l'allineamento ad Inglesi e Americani ". Un memorialista britannico, con
    sarcasmo, definisce la proposta di Casteliano " una nuova combinazione "; "
    I due ufficiali alleati credevano che Castellano fosse venuto a firmare la
    resa. Non tardarono molto a capire che il generale italiano desiderava
    firmare un'alleanza ". Ma l'unica via di uscita concessa, era quella della
    resa senza condizioni. L'unico ostacolo a concluderla fu rimosso dal
    colpo di stato dei 25 luglio. Poteva l'incerta prospettiva di evitare
    alla Nazione qualche danno in più, bilanciare la disistima che un simile
    agire ci avrebbe accollato? A parte il fatto che la resa, i danni al
    paese li accrebbe, l'8 settembre contribuì in effetti a diffondere nel mondo
    la fama che abbiamo, di commedianti, parolai e sleali, di popolo sul quale,
    insomma, non si può far conto. Con Mussolini la Nazione sarebbe stata
    guidata verso il prevedibile epilogo di una sconfitta con onore. Senza
    Mussolini ebbimo danno e beffe; ci trovammo a marciare sulla strada della
    vergogna e del tradimento. Quanto ciò sia vero è sufficiente una
    testimonianza a dimostrarlo, quella dei Gen. Westphal. Il 7 settembre il
    ministro italiano della Marina, ammiraglio conte De Courten (di quale
    loggia?), si recò dal Feldmaresciallo Kesselring per comunicargli che la
    flotta italiana sarebbe salpata l'8 e il 9 da La Spezia " per affrontare la
    flotta britannica del Mediterraneo ". " La flotta italiana - disse con le
    lacrime agli occhi - avrebbe vinto o sarebbe stata distrutta ". Illustrò
    quindi nei particolari il preteso piano di battaglia.


    Un comportamento di tal fatta, e quelli purtroppo numerosi che ne furono
    corollario, non risultò " pagante " nemmeno nei confronti degli
    angio-americani. Esso generò, com'è logico, solo diffidenza e disistima. Uno
    storico inglese così commenta la nostra disinvoltura: " Casa Savoia e il suo
    esercito non hanno mai finito una guerra dal lato da cui l'anno cominciata,
    se non quando la guerra è durata tanto a lungo perchè essi mutassero due
    volte ".



    Con tali premesse, è comprensibile come la " cobelligeranza " coi nuovi
    alleati, assumesse da subito aspetti insultanti. La realtà dei fatti al
    Sud fu molto diversa dalle panzane diffuse oggi dai documentari dei nostro
    massonico Stato Maggiore; ricorda Agostino degli Espinosa: " i nostri
    soldati dovettero servire in qualità di facchini, conducenti di salmerie,
    artieri, manovali. Migliaia e migliaia di giovani italiani vennero impiegati
    in questi umili lavori, spesso in sottordine a personale militare di colore
    ". Quanto deleteria sia stata per l'Italia l'opera dei congiurati del
    25 luglio e dell'8 settembre ci è testimoniato dalle stesse fonti storiche
    alleate: è dimostrato, tra l'altro, che la guerra fu portata sulla penisola
    proprio a causa della resa. Scrive il colonnello britannico Sheppard, che al
    gen. Eisenhower fu comunicato, nel luglio 1943, che per fine novembre
    sarebbero state ritirate dal Mediterraneo e passate in Inghilterra a
    disposizione per lo sbarco sul continente, quattro divisioni americane e tre
    britanniche, oltre a tre gruppi di bombardieri pesanti USA. Fin dalla metà
    di ottobre, stessa sorte avrebbe subìto l'80% dei mezzi da sbarco. Dei
    generale USA Marshall, che seguiva le direttive del suo ministro della
    guerra Henry Stimpson, il generale inglese Alexander dice: " non si rende
    assolutamente conto dei tesori che giacciono ai nostri piedi nel
    Mediterraneo ". Gli USA infatti, non avevano nessuna intenzione di
    combattere in Italia e insistettero perchè tutto lo sforzo alleato gravasse
    contro la Germania. Le divisioni di Eisenhower avrebbero potuto essere
    rimpiazzate, tutt'al più, nel giugno 1944. Era evidente, per tutto ciò,
    oltre che per il fatto che gli alleati avevano scelto la Sicilia,
    rinunciando al più strategicamente promettente sbarco in Sardegna, che
    l'invasione della penisola non era prevista. Grazie alla resa invece, le
    truppe angio-americane furono invogliate a tentare la risalita dell'Italia.
    Anche se l'operazione non si rivelò così facile come gli alleati avevano
    sperato, per il popolo italiano fu un flagello; ad esso si aggiunse l'opera
    degli antifascisti, che aggravarono il bilancio dei lutti e delle
    devastazioni, con l'attizzare la guerra civile.

    tragici risultati di una politica di compromessi


    Dopo una serie d'incontri con sparring-partner del calibro dell'Etiopia,
    della Spagna, dell'Albania, salimmo sul ring per un incontro serio, atteso,
    perchè l'Italia a quel tempo faceva titolo, ma soprattutto per l'importanza
    della posta in palio. La guerra 1940-1945 fu un gigantesco scontro di
    potenze, la vittoria di un gruppo o dell'altro avrebbe deciso l'avvenire
    europeo per decenni. Non si trattava di una guerra d'altri tempi il cui
    esito si concretava nello spostamento di un confine.Era davvero la lotta del
    sangue contro l'oro.Si trattava d'imporre al mondo un modello di sviluppo
    piuttosto che un altro. Si trattava di garantire alle future generazioni di
    europei la libertà dal soffocamento mercantile e materialista, un nuovo
    affiato spirituale, una diversa giustizia tra gli Stati, forme
    autenticamente sociali, non emarginanti, di partecipazione
    popolare.Gravissimo fu pertanto presentarsi ad un appuntamento del genere
    con una dirigenza politica solo formalmente compatta, ed uno Stato Maggiore,
    ad essere buoni, inetto. Quando le guerre si fanno, esigono la decisa
    volontà di vincere, una visione chiara degli scopi da perseguire e dei mezzi
    da approntare.La Germania ci dette questo esempio di compattezza politica e
    di buona funzionalità militare. Lo stesso Hitler creò, affidandone la
    direzione a Todt, il ministero per l'armamento e per il munizionamento. "
    Gli fu possibile determinare mensilmente - scrive E.P. Schramm -
    l'orieritametito della produzione e l'entità di qualsiasi tipo di arma o
    munizioni. Lo Stato Maggiore, forniva solamente, mese per mese, elenco delle
    forniture avute nel mese precedente, situazione, consumi, fabbisogni ". Ma
    tutto ciò era possibile, dipendeva, dall'aver interamente la situazione,
    uomini e strumenti di produzione, sotto controllo.Da noi in Italia si
    sarebbe, purtroppo, dovuto improvvisare.Non siamo quindi d'accordo con la
    tendenza ad assolvere gli alti gradi delle FF.AA. implicati negli aspetti
    più bui della storia di quegli anni. Non accettiamo cioè di considerare,
    come fa certa storiografia, vittime del regime i protagonisti sul campo
    della sconfitta. La loro insipienza danneggiò, contemporaneamente, paese e
    regime. Tuttavia a nessun altro che a Mussolini, può essere imputata in
    ultima analisi la cattiva scelta di tali altissimi gradi militari, come è
    evidente la sua responsabilità nel non essersi saputo assicurare un appoggio
    pieno, nemmeno dalle gerarchie del partito e dalla burocrazia statale.
    L'infausto risultato, fu determinato dall'aver egli sempre eluso il problema
    del chiarimento con le forze che lo affiancavano, senza condividerne gli
    obiettivi. Sopravvatutò la propria abilità politica, pensando di essere
    sempre in grado di controllare persone ed eventi. Ma questa volta non si
    trattava di imbrigliare la monarchia, di calmare le frange più estremiste
    del partito, o di farsi mediatore tra forze sindacali ed industria. La posta
    in gioco era enorme. Mussolini se ne rese conto anche se tardivamente, ma la
    realtà italiana, politica ed economica, era quel che era, ed i tempi di
    guerra non sono tempi di riforme; fu costretto perciò ad agire fruendo di
    quel che il momento offriva. Non fu in grado di condurre una guerra in piena
    regola, con tutte le sue implicazioni strategiche ed economiche. Dovette
    accontentarsi di fare una guerra politica; per non far crollare un faticoso,
    instabile equilibrio, si mosse con circospezione, ma in maniera tanto
    sottile e contradditoria, che fu concesso automaticamente spazio anche a
    coloro che avevano obiettivi diametralmente opposti ai suoi, e che poterono
    approfittare delle smagliature offerte dai suoi tatticismi.Lustri di assurdo
    accentramento del potere avevano impedito nel partito il ricambio, e
    scierotizzato ogni apporto di energie nuove. Mussolini giunse al punto di
    occupare contemporaneamente otto ministeri. Giovanni Giuriati, argutamente,
    commenta: " come si può immaginare che una sola bacchetta basti a dirigere
    otto orchestre specializzate nell'eseguire musiche diverse? " e di
    conseguenza: " un certo numero di organismi amministrativi rimase
    praticamente senza guida; le persone che sostituivano Mussolini nei singoli
    incarichi, esercitavano il comando senza assumere la correlativa
    responsabilità. Mussolini, addossandosi oltre ai compiti direttivi anche
    quelli esecutivi, cessò di essere il capo di una rivoluzione ". Il partito
    si era fuso con lo Stato, ma lo Stato non era diventato fascista. Non solo
    il partito rimase completamente esautorato e, come ricorda il De Felice, "
    privo di autonomia e di iniziativa politica rispetto allo Stato ", ma si
    fece spazio in esso addirittura agli ex-avversari, si giunse alla follia
    delle iscrizioni praticamente obbligatorie. Ed ecco che ci si trovò nel
    momento cruciale della guerra, in situazioni che non consentivano via di
    uscita. Come poter far manifeste al popolo le ragioni di un contorto,
    machiavellico disegno? Come porre rimedio agli errori iniziali? Come ridar
    vita ad istituzioni ormai imbalsamate? Come ristabilire l'efficienza e il
    prestigio delle FF.AA., compromesso dagli insuccessi della guerra parallela
    e dagli errori strategici e politici che ne avevano guidato l'impiego? Era
    credibile che si potessero capovolgere le sorti di quella guerra che poteva
    davvero essere vinta, ma, quando era il momento di farlo, non si era voluta
    combattere? Una triste serie di risposte negative, che spiegano
    l'accettazione passiva da parte del duce degli eventi che precedettero il 25
    luglio, e la forza d'animo con la quale, dopo l'8 settembre, quando tutto
    era perso, accettò di recitare quella parte che era giusto fosse da lui
    consegnata completa alla Storia. Un ammaestramento politico si può trarre da
    queste vicende: quello della pericolosità di associarsi a persone o gruppi
    con legami di fedeltà di tipo internazionalista, si tratti di partiti,
    centrali finanziarie, ambienti sionisti, logge massoniche. La
    collaborazione offerta da simili elementi ad un disegno ovviamente
    contrastante con i loro reali obiettivi, non può che nascondere la
    strumentalizzazione o il sabotaggio e condanna inevitabilmente al
    fallimento. Meglio quindi pochi passi avanti, nell'assoluta chiarezza
    delle idee, e nella sicura gradualità, piuttosto che chinare il capo a quei
    condizionamenti, che assicurano grandi, ma illusori, balzi in avanti. Meno
    facciata quindi, e più sostanza! Nessuna paura, per noi oggi quindi, di
    apparire isolati a causa di un'intransigenza e di un'opposizione al sistema,
    veramente liberi e totali. Solo così, ponendo precisi confini tra
    l'ingannevole discorso democratico e quello alternativo degli uomini liberi,
    sarà possibile ottenere credibilità, costruire fiducia e consenso.

    l'Uomo Libero

 

 

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