, è inevitabile porsi delle domande. In primis come si possa arrivare a farsi del male per un gioco, un macabro rituale fatto di autolesionismo, maratone di film horror, musiche deprimenti, sfide ai limiti della sopportazione, fino al suicidio, tutto rigorosamente ripreso dall’occhio del grande fratello della rete web. Ed è proprio “sfida” la parola chiave per guardare a questo nuovo fenomeno sociale. A spiegarcelo è Ilaria Peppoloni (foto a sinistra), psicologa e dottoressa in psicologia clinica dell’Istituto Ilaria Peppoloni-2Europeo di Psicologia ed Ergonomia (IPSE) di Ancona:». Ma allora qualsiasi ragazzo, entri in contatto con giochi e siti internet del genere rischia di cadere nella trappola? «No, il tema resta la morte e la sfida, certo i giovani sono più sensibili a tutto ciò che li circonda, al pericolo e alle nuove mode e giocare con la morte è sempre esistito. Ma in realtà è necessario porre all’attenzione l’aspetto della fida soprattutto con ragazzi particolarmente insicuri, emarginati, con un basso livello di autostima. Sono loro che più di altri rischiano di essere spinti a compiere gesti estremi come dimostrazioni estreme di coraggio. Un giovane qualsiasi senza particolari problemi non lo farebbe. Sono sempre adolescenti che presentano già dei problemi di dipendenza da figure di adattamento o comunque problematiche relative all’autostima, poi ogni persona è diversa. La verità è che l’adolescente è sempre lo stesso, sono i mezzi di comunicazione che sono diversi e possono propagare certi meccanismi dovunque e con una certa velocità». Cosa può fare un genitore di fronte a questa specie di “virus” che si può propagare da qualsiasi angolo del mondo attraverso la rete internet? «La cosa centrale è l’umore, nel senso che un ragazzino che presenta per lunghi periodi un umore instabile è fonte di preoccupazione ed è lì che serve andare a cercare dei perché». Qualcuno dà molto peso all’emulazione, al punto da sostenere la necessità di minimizzare, in alcuni casi censurare la discussione intorno al tema dei giovani e della Blue Whale. «In parte è vero perché comunque si dà risonanza alla notizia, però è parlandone che si può avere reale percezione del problema. E' attraverso l’informazione che se ne può uscire, evitando si sentirsi in una trappola».«L’aspetto più importante del fenomeno è quello della sfida che porta progressivamente i ragazzi all’autolesionismo, minando la percezione che hanno di sé. Ma la sfida è un tema ricorrente tra gli adolescenti e lo è da sempre perché è il mezzo attraverso il quale tentano di mostrarsi forti e potenti, per cercare l’autoaffermazione, soprattutto laddove c’è un problema di bassa autostima. Questo si collega inevitabilmente alla voglia di farsi notare ed ecco perché una regola fondamentale in questi giochi e nel Blue Whale è filmare e condividere l’atto finale, in questo caso il suicidio
Ma la cosa che più di ogni altra cosa fa scorrere un brivido nelle vene di chi scopre cosa ci sia dietro la Blue Whale, è il fatto di come si possa arrivare oltre ogni limite, fino a togliersi la vita per dimostrare di aver terminato la sfida. Cosa scatta nella mente di un giovane che arriva a suicidarsi per un gioco? «uesto può portare ad uniformarsi, ad accettare comportamenti di pericolo, anche giochi che possono portare al suicidio». Non è forse vero però che oggi i casi di suicidio e autolesionismo tra i giovani sono aumentati rispetto al passato? «Non è che una volta non accadeva - prosegue la Strappato - Le cronache ci riportano come negli Usa negli anni ’60 esistevano comunità che si avvicinavano al suicidio di massa, il problema di oggi è che la globalizzazione dell’interazione, la realtà virtuale per cui un gioco come quella della Blue Whale, 20 anni fa, sarebbe rimasto circoscritto, mentre oggi dalla Russia arriva a noi con immediatezza e facilità. Secondo me non sono cambiate le persone, sono cambiate le modalità di interazione, con la tv, ma soprattutto internet e i social network che, in una società globale e multiculturale, fanno sì che quello che fa un ragazzo in Russia arrivi in un attimo in India e quello che scrive una cosa negli Usa arrivi in Italia». Come un virus che si propaga senza barriere. «Oggi ci sono i social network che, se usati in modo sbagliato fanno da volano al contagio di quello che, usando una metafora, potremmo definire come un virus».E’ l’emulazione - ci risponde Eleonora Strappato (foto a destra) psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Europeo di Psicologia ed Ergonomia Dottoressa Eleonora Strappato 800x600 (1)-2(IPSE) di Ancona - E’ un tema molto forte ma non va stigmatizzato perché nell’infanzia tutte le azioni le impariamo per imitazione, per cui l’emulazione ha un valore positivo che poi, certo, può diventare negativo. Soprattutto in un periodo difficile della vita, fatto di forti condizionamenti, come quello delle compagnie dei pari e delle amicizie, dell'adolescenza, in cui si tende ad essere conformisti per essere accettati dal gruppo. Q
La sfida per affermasi e il web come volano del "virus", gli psicologi spiegano la Blue Whale