Corriere della Sera

Si sono sentiti con l’intenzione di vedersi all’inizio della prossima settimana, se nei dettagli della trattativa nessuno dei due vedrà annidarsi il diavolo. E siccome sta andando così, sarà un’altra volta Renzi-Berlusconi, dopo tre anni e mezzo passati a rinfacciarsi il tradimento del patto, trascorsi a giurare che «mai e poi mai» sarebbero tornati a sottoscriverne un altro, impegnati com’erano a farsi la guerra perché alla fine ne restasse solo uno. Invece eccoli, di nuovo, a un passo dall’intesa sulla legge elettorale che farebbe da preludio alle elezioni anticipate dopo l’estate. E mentre i loro sherpa li informano con reciproca soddisfazione dei «notevoli progressi», si parlano, quasi a voler dare un’ulteriore spinta alla mediazione. Non c’è più la complicità di un tempo, e soprattutto non sono più gli stessi, perché non hanno più la stessa forza politica di allora.

Gemello omozigote
Ma è proprio questo che li ha spinti a ristabilire i rapporti, perciò hanno ripreso a parlarsi sebbene con fredda cordialità. Uno o due contatti questa settimana, poco importa. Il punto è che Renzi — intenzionato a evitare un autunno caldo di appuntamenti elettorali e di scadenze finanziarie — non poteva permettersi l’azzardo in Parlamento sulla riforma elettorale senza il sostegno di Berlusconi. E Berlusconi — preoccupato dall’avanzata dei populismi e dalla crisi di ciò che fu il suo impero — non poteva pensare di riacquisire centralità politica senza la sponda di Renzi. Lo chiameranno «tedesco», se l’accordo verrà sancito. Anche se il modello proporzionale su cui si sta lavorando non è un gemello omozigote del sistema applicato in Germania: è un impianto all’italiana destinato probabilmente a qualche modifica in Parlamento, perché al battesimo serviranno i testimoni. Forse i grillini, di sicuro i leghisti: Salvini ha interesse a prendere poi le distanze da Berlusconi, così da poterlo additare in campagna elettorale di un nuovo inciucio. È la logica del proporzionale, che a differenza del maggioritario fa del vicino più prossimo l’avversario a cui sottrarre voti. È la stessa logica che adotteranno gli scissionisti contro Renzi, pronti già a distanziarsi dal governo Gentiloni.

Uno scherzetto al Senato
Per il segretario del Pd e per il leader di Forza Italia si scorge il rischio di finire dentro la tenaglia, perciò tentano di derubricare l’evento a puro patto «tecnico», sebbene stiano concordando il timing della riforma nel Palazzo, il timing delle urne nel Paese e anche le procedure per il governo che verrà. Sembra tutto fatto, invece sono solo all’inizio di un percorso pieno di insidie. Se davvero tra i due stanno per essere dissipati i vecchi sospetti, se Renzi non teme più che Berlusconi voglia prendersi il modello elettorale e poi prendersi del tempo; e se Berlusconi non teme più che Renzi faccia finta di accordarsi per poi far saltare tutto e passare al Consultellum, ci saranno poi altri passaggi parlamentari e istituzionali durante i quali non potranno fare da soli. Staccare la spina al gabinetto Gentiloni, per esempio. O evitare l’esercizio provvisorio. L’idea — spiegata ieri dall’Huffington post — di anticipare la legge di Stabilità potrebbe essere percorribile, visto che ci sono due precedenti: quello dell’ultimo governo Berlusconi e quello dell’unico governo Monti. Ma in questo caso servirebbe un’intesa nella maggioranza tra il Pd e i centristi, che per ora sono stati tenuti ai margini della trattativa sulla legge elettorale. Senza dimenticare i voti a scrutinio segreto sulla riforma, che potrebbero cambiare radicalmente i connotati al «tedesco», passasse un solo emendamento. Uno scherzetto del genere al Senato e salterebbe la tempistica per l’approvazione della legge. E quei parlamentari che si sentono potenzialmente dei «trombati», anche nel Pd e in Forza Italia, potrebbero essere tentati...

La dinamica del vecchio Nazareno
Non basta una telefonata per salvare la vita al «tedesco». E nemmeno un incontro tra Renzi e Berlusconi, perché rispetto a due anni e mezzo fa sono cambiate le condizioni in cui si apprestano a siglare un nuovo patto. Anche se la dinamica è la stessa del vecchio Nazareno, anche se provano a precisare che si tratta solo di un’intesa «tecnica». Ma rispetto al patto precedente, i voti da unire sulla riforma in questo Parlamento serviranno per unire poi i voti sul governo nel nuovo Parlamento. È la vera scommessa, alla quale se ne aggiunge un’altra: la volontà di Renzi di tornare a palazzo Chigi, che resterà la parte non scritta dell’accordo, una sorta di pagherò berlusconiano a futura memoria. Tre anni e mezzo fa proprio una parte non scritta del patto, cioè la scelta dell’inquilino al Quirinale, fece saltare il rapporto tra i due e innescò lo scontro che si consumò al referendum costituzionale: il 4 dicembre perse Renzi ma non vinse Berlusconi, altrimenti non si sarebbero risentiti e non si starebbero per rivedere. Perché dei due non ne è rimasto uno solo. Solo che i due, indeboliti, sono costretti a mettersi d’accordo per battere un avversario comune.