Addio sinistra fighetta e hipster, non ci mancherai per niente

GIUGNO 26, 2017 LASCIA UN COMMENTO
La sinistra-hipster, quella che ha sempre voluto liberare l’Italia dagli incolti, dopo la sconfitta a Genova e a L’Aquila è quasi affondata. Breve storia di come si è trasformata e ha perso se stessa
Fulvio Abbate Linkiesta 26 Giugno 2017La sinistra hipster, il mattino del giorno dopo la disfatta alle elezioni amministrative, guarda la riva, osserva le molte perdite e teme d’avere inutilmente messo in acqua i propri surfisti. Ma riavvolgiamo il nastro…
La sinistra hipster, davanti alle molte (tu chiamale, se vuoi, contraddizioni…), alle innumerevoli incongruenze del renzismo, che gli è tuttavia affine, dopo un lungo momento di afasico surplace, giustificato ufficialmente dal timore di consegnare il mondo, il Paese ai “barbari”, ha deciso infine di esistere facendo surf sulle idee corrive presenti e da venire e sul glamour dei molti festival tattoo bar della cultura con show e filosofia da asporto, là da dove si ritiene possa ormai trovarsi il luogo del consenso. Infine, in serata, al momento del ristoro, la stessa sinistra hipster si consegna al cinema, trovando film come “Fortunata” di Castellitto-Mazzantini: Jasmine Trinca nel ruolo della parrucchiera di borgata capitolina, i poveri narrati dagli abbienti che risiedono nell’ocra di Trastevere e le verande sulle dune di Sabaudia, e fin qui nulla di male, il piacere è un dovere perfino politico, peccato però che, nonostante i molti centri sperimentali di cinematografia frequentati con profitto, costoro non sappiano riconoscere le autentiche parole del mondo degli umiliati e offesi rispetto al bla-bla d’autore, ignorando perfino che l’unico film compiutamente marxista del neorealismo italiano, “La terra trema“, lo dobbiamo al conte Luchino Visconti.
La sinistra hipster, con la stessa sicumera di un non meno significativo patrizio, il Duca Conte Piercarlo Ing. Semenzara del “Secondo tragico Fantozzi”, è la stessa che confida in Giuliano Pisapia, ne apprezza i modi e la “forza tranquilla” antracite; peccato che, osservando l’ex sindaco di Milano, a molti fiorisca in petto il fiore rosso dell’interrogativo sul linguaggio e l’empatia stessi della politica in campo progressista: può colui che sembri non aver mai pronunciato parole sincere e democratiche come “cazzo” (per non dire “sborra”) ritenersi adeguato per ogni genere di impatto politico di fronte alla naturalezza delle masse frustrate dalla crisi e assai perplesse davanti al salvataggio delle banche da parte del governo di centrosinistra e mostrato plauso implicito davanti al rinnovo del contratto di Fabio Fazio in Rai? In assenza di un simile prontuario, si può stare certi che si possa essere presto neutralizzati da un “vaffanculo” subculturale, eppure convincente: Beppe Grillo molta erba ha tagliato sotto i piedi all’elettorato già di sinistra.
Direte: ma la sinistra è compostezza, in luogo dei populisti armati di forconi perfino telematici. Vero, ma l’antipatia in tweed è altra cosa, e soprattutto non porta consensi, o non li amplia.
La sinistra hipster è il succedaneo, nell’ordine, della cosiddetta “sinistra dei club” (la stessa che, nei primissimi anni Novanta, avrebbe dovuto fiancheggiare e nutrire in senso lib-lab la nascita del nuovo soggetto voluto da Occhetto, con un personale borghese laico) e ancora i “girotondi”, il cui scopo primario d’esistenza, in nome dello sdegno, era forse quello di liberare il paese da Berlusconi e le sue brame affaristiche e di “patonza” (sic), assodato che pure i titolari dei “girotondi per la democrazia” mai avrebbero pronunciato parole simili. Verrà poi il “popolo viola”, un tentativo di formare un’onda di opinione, sorta di franchising mutuato dalla Spagna e dalla Grecia, muovendo dalla presunta vitalità dei ceti medi riflessivi. Le masse, tuttavia, nonostante i protagonisti di quei movimenti si mostrassero a bordo dei vesponi bianchi, non risposero.
La sinistra hipster è il succedaneo, nell’ordine, della cosiddetta “sinistra dei club” (la stessa che, nei primissimi anni Novanta, avrebbe dovuto fiancheggiare e nutrire in senso lib-lab la nascita del nuovo soggetto voluto da Occhetto, con un personale borghese laico) e ancora i “girotondi”, il cui scopo primario d’esistenza, in nome dello sdegno, era forse quello di liberare il paese da Berlusconi e le sue brame affaristiche e di “patonza” (sic).
In questo scenario, di fianco, ci sono anche da rilevare i calcinacci delle fallimentari declinazioni della forza post-comunista nata da una costola del Pci – Rifondazione – cui segue poi la comitiva di Nichi Vendola, già beauty-case dei Ds e in seguito del Pd tra Bersani e perfino Renzi, Vendola pronto infine a smarcarsi dalla battaglia pubblica per dedicarsi al mammismo LGBT. Altrettanto modesta, in questa nostra storia, la percezione del succedaneo di Nichi, Nicola Fratoianni, pupillo prêt-à-porter del fotoromanzo hipster, impegnato a trasutare il rosso in arancio, da vacanza nella Grecia di Tsipras e Varoufakis, come già era avvenuto con Zapatero. E adesso perfino confidando in Corbyn.
Ora, pur essendo la sinistra hipster un precipitato culturale affluente del Nord, cioè “milanese”, da Salone del Mobile, nella nostra narrazione, non possiamo dimenticare la festa di compleanno di un segretario cittadino della formazione di Bertinotti al Sud, che assomigliava a un clubino velico, tipetti e tipette carini, l’abbonamento a “Internazionale” sotto braccio.
Quanto a Roma, non si va oltre i frequentatori del Bar “Necci” al Pigneto, clientela di vaga sinistra tra radical-chic e fighetti, abrasa così ogni memoria d’essere stato il baretto di Accattone di Pasolini e dei suoi amici, er Profeta, er Capogna, er Balilla, sostituiti tutti dalla bella gente che d’estate sembra dedicarsi alla danza dei parei a Ventotene, a Filicudi.
La sinistra, tra ceto medio riflessivo e hipster, spera, un giorno, di poter far tornare trionfalmente tra le masse, a bordo del suo vespone, lo stesso pensiero magico nutrito da Mussolini che immaginava di entrare ad Alessandria d’Egitto in sella a un cavallo bianco. Se mai anche la sinistra hipster dovesse immaginarsi su un cavallo bianco, questo, il povero cavallo, avrebbe l’obbligo di trasportare un Nanni Moretti, così finalmente ripagato dell’insuccesso del suo “Mia madre“. E ancora, garantire ulteriori soddisfazioni professionali all’attuale presidente della Camera, Laura Boldrini, già miracolata da Vendola grazie al manuale “Cencelli”, sebbene quest’ultima rappresenti l’assenza totale di ironia in ambito progressista. Per ammissione di molto stessi elettori di sinistra.
Perché così pensa tra sé e sé la sinistra hipster, che ha cura di fermare il possibile arrivo dei barbari, la stessa che, confidando nell’apotropaico ritorno del regista-amuleto, magari accompagnato da tutte le Jasmine Trinca del mondo, sembra avere trovato adesso in uno storico d’arte, Tomaso Montanari, il suo possibile Sting. E qui, perdonate il precipizio narcisistico, non possiamo non riportare, citandoci, il tweet che abbiamo dedicato all’avventura di quest’ultimo volenteroso della Rettitudine: “Tomaso Montanari, l’ennesimo Santo Barberone della sinistra che avanza sollevando in alto il Libro del Bene! Lasciateci far schifo in pace. Senza ironia non si dà politica“. Se poi volessimo identificare con un feticcio architettonico la sinistra hipster dovremmo pensare alla nuova sede della Fondazione Giangiacomo Fetrinelli a Milano firmata Herzog & de Meuron, un luogo che suggerisce un mondo prossimo a Jacques Tati di “Play Time” piuttosto che alla casa del popolo di Metello di Pratolini. Davanti al suo piazzale, c’è subito modo di intuire il nostro hipster, lì a surfare con la barba sulle macerie ormai fucsia della sinistra.
Le premesse post-ideologiche di tutto ciò? Compagni, anzi, amici, meglio, amichetti, gli operai sono finiti, morti, non ci sono più, sulla base di questo pensiero, resta solo da realizzare il nostro “Erasmus” politico. Dopo la perdita di Genova e L’Aquila, e di Sesto San Giovanni, e La Spezia, sarà davvero più complicato mordere l’onda.



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