La droga, l’ideologia dello “svacco” e la Sinistra
Fabrizio Marchi • 24 settembre 2016





Da che mondo è mondo le classi dominanti hanno utilizzato tutti i mezzi a loro disposizione per sottomettere le classi sociali dominate, per addomesticarle, renderle docili, tenerle in una condizione di più o meno beata ignoranza, e così disinnescare alle origini ogni possibile afflato sovversivo.

Questo obiettivo, cioè il sostanziale rincoglionimento delle masse, è stato lucidamente perpetrato nel corso della storia attraverso una serie di sofisticati strumenti quali le religioni e le ideologie, che di volta in volta mutavano in base ai contesti storici.

Ma non solo. Il popolo deve essere sì indottrinato – senza che se ne renda neanche conto – ma deve essere altresì baloccato. La costruzione del consenso non può avvenire infatti soltanto attraverso l’utilizzo di mezzi coercitivi e ideologici. Questi, da soli, non sono sufficienti; sono necessari ma non sufficienti. E’ per questo che le masse devono potersi trastullare, anzi, è necessario che si trastullino, perché più “giocano” e meno tempo hanno per prendere coscienza della loro reale condizione di subordinazione sia individuale che collettiva (che naturalmente muta anch’essa con il mutare delle condizioni storiche). In fondo è la vecchissima ma attualissima logica del “panem et circenses”, oggi più viva che mai e soprattutto molto più sofisticata.

Infatti, rispetto alle epoche trascorse (dove il vino, i postriboli delle suburre e gli “spettacoli” nelle arene erano i soli “svaghi” conosciuti e consentiti) oggi la gente è stordita da una enorme varietà di modalità e strumenti con cui baloccarsi: la televisione e l’industria dello spettacolo innanzitutto, e poi quella della “comunicazione”, i telefonini, gli ipad, le play station, i computer, le pay tv, le chat, la rete, internet, le chat erotiche, la pornografia, e naturalmente gli stadi, le discoteche, i club per scambisti, la droga. O meglio le droghe. Sempre ammesso che queste ultime siano solo uno “svago”. E’ di queste, o meglio del fenomeno della droga nel suo complesso, che vorrei oggi trattare, con la premessa che il sottoscritto non è un esperto e che questa vuole essere soltanto una riflessione e nulla più.

Le droghe non sono certo un’invenzione recente perché anche in epoche trascorse, in contesti storici, geografici e culturali anche completamente diversi fra loro, si faceva uso di droghe, dalla Cina al Messico, dal Maghreb all’Arizona e via discorrendo, solo per portare degli esempi fra i tanti. Ma per quanto fosse una pratica diffusa, specie fra alcune tribù e popoli nord e sudamericani, era comunque molto circoscritta (a parte, forse, la Cina) e, soprattutto, la “filosofia” che gli stava alle spalle non aveva nulla a che vedere con la logica dell’assunzione massiccia, smisurata, sistematica e consumistica di ogni tipo di sostanza, che caratterizza invece il mondo occidentale da mezzo secolo a questa parte.

Come ho già detto, non sono un esperto e questo non è un trattato “tecnico” sulla droga o sulle droghe che necessiterebbe appunto di una trattazione ad hoc. In questa sede a me interessa capire quali siano gli effetti delle droghe, chi ha l’interesse “politico” ad alimentare la sua diffusione (quelli economici delle organizzazioni criminali in combutta con i governi, sono evidenti e non vale neanche la pena approfondirli) e questo in fondo lo abbiamo già spiegato introducendo il discorso, e soprattutto perché le droghe trovano un terreno così fertile nelle società occidentali e in quelle occidentalizzate.

Andando necessariamente con l’accetta, mi sento di dividere le droghe in due fondamentali filoni. Da una parte quelle che in qualche modo provocano lo stordimento, che può essere di vario genere a seconda del tipo di sostanza, dall’ hashish all’ecstasy o a quegli psicofarmaci che provocano più o meno gli stessi effetti. Come dicevo, questo genere di sostanze, anche se così diverse fra loro, rispondono allo stesso desiderio, che è fondamentalmente quello di estraniarsi dalla realtà. Che poi questa estraniazione avvenga sotto gli effetti dell’ecstasy, ballando per dodici ore consecutive in una discoteca senza mai fermarsi oppure stravaccandosi da qualche parte a fumare “cannoni” per tutta la serata, non cambia il succo delle cose, non cambia cioè l’approccio psicologico che spinge le persone a consumare quel tipo di sostanze, pur molto diverse fra loro. E non lo cambia perché la logica è quella del cosiddetto “sballo”, cioè appunto la ricerca di quella estraniazione dalla realtà di cui sopra e il desiderio di vivere in una condizione diversa, che si reputa migliore, più piacevole o più sopportabile, comunque artefatta, anche se prodotta artificialmente e per poche ore. Il giorno seguente però, si può sempre ricominciare. Ed è proprio questo meccanismo psicologico, questa coazione a ripetere indotta da quel desiderio di estraniazione (risultato di una condizione di sofferenza che può essere determinata da diversi fattori) che crea la dipendenza, indipendentemente dal tipo di sostanza che si sceglie di assumere. Certo, alcune droghe, fra cui in particolare l’eroina – che fu gettata sul mercato negli anni ’70 e poi in larghissima parte ritirata perché giudicata non più funzionale – creano anche una dipendenza fisiologica ma, a mio parere, è l’aspetto psicologico a determinare la predisposizione alla dipendenza da droga.

L’altro filone è quello delle droghe eccitanti, in primis fra queste, ovviamente, la cocaina. Lo scopo di questo genere di droghe è diametralmente opposto. La cocaina è un potente eccitante, e serve sostanzialmente ad aumentare le proprie prestazioni, in tutti i sensi (lavorativo, sessuale, relazionale ecc.). La sua “mission”, dunque, da un certo punto di vista, è completamente diversa rispetto alle altre a cui ho fatto cenno poc’anzi. L’obiettivo, in questo caso, non è l’estraniazione del soggetto dalla realtà bensì la sua “integrazione” nel contesto sociale ma a livelli sempre più parossistici. La cocaina è uno strumento attraverso il quale le persone riescono o credono di riuscire a superare le proprie difficoltà soggettive all’interno di un contesto sempre più selettivo (naturalmente, secondo i canoni della razionalità strumentale capitalista dominante) e disumanizzante che non concede spazio alle loro “debolezze” (in realtà stati emotivi del tutto naturali ma giudicati “inadeguati” dal contesto…). E’ interessante notare che anche in questo caso, sia pure per strade e soprattutto finalità diverse (l’estraniazione e il rifiuto della società da una parte, il desiderio di farne invece parte e di essere all’altezza della competizione che questa comporta, dall’altra), ciò che anima chi ne fa uso è il desiderio o il bisogno di riuscire a sopportare una realtà che si avverte come insopportabile, anche se per ragioni diverse. Ma in realtà la motivazione è la stessa (l’insopportabilità della realtà); è la risposta che è diversa. Una via di fuga da una parte e una falsa accettazione della “sfida” dall’altra. Due facce della stessa alienazione.

Ora, questi due filoni che ho sommariamente descritto, hanno in parte finalità diverse (solo in parte, perché come vedremo, l’obiettivo finale è comunque il controllo sociale) e sono in parte destinati ad un diverso pubblico, anche se oggi la tendenza è quella all’ammucchiata e al consumo indiscriminato di qualsiasi sostanza.

Le prime, come dicevo, sono tendenzialmente indirizzate a quelle masse popolari giovanili già tagliate fuori dal circuito sociale e produttivo prima ancora che abbiano avuto il tempo di provare ad inserirsi e a costruirsi una prospettiva esistenziale decente, comunque destinate ad una esistenza grigia e subalterna. Gli hinterland e i quartieri popolari e periferici delle nostre metropoli (ma anche di tante tristi province del nord o del centro sud) brulicano di giovani che preferiscono vivere di notte invece che di giorno. La ragione è ovvia, chi vuole estraniarsi non può che preferire, non solo metaforicamente, il buio alla luce. Attraverso l’uso della droga si ottiene da una parte di anestetizzare questa massa di giovani data per persa in partenza e dall’altra di disinnescare il potenziale antagonistico che potrebbero esprimere. Meglio quindi toglierli di mezzo prima, indebolendoli ancora di più e facendoli assuefare con il tempo alla loro condizione di esclusi o semi esclusi. Tanto, come dicevo prima – questa società non prevede, per sua stessa natura, che tutti siano invitati a sedersi a tavola.

Le seconde, di fatto la cocaina e i suoi derivati, sono prevalentemente destinate a chi invece è “inserito” nel sistema, o fa di tutto per inserirsi, per partecipare alla corsa, perché fuori da quella corsa si sente perduto. Il sistema, per sua natura, gli chiede prestazioni sempre più estreme, senza stabilire un limite, ed è proprio questa deliberata assenza di un limite alla prestazione che provoca effetti devastanti sulle persone. Da qui il ricorso agli eccitanti e alla cocaina in particolare. Nell’impossibilità di fermare il treno in corsa, nella solitudine umana e sociale in cui si è gettati, all’interno di un contesto dove ogni legame sociale è completamente saltato, dove non esiste alcun senso di appartenenza, dove l’individuo è solo nell’agone della società capitalista e non riesce neanche più a concepire l’idea stessa della possibilità di una trasformazione della realtà, il ricorso alla droga può aiutare ad accettare la realtà e magari anche a provare a cavalcarla o avere l’illusione di poterlo fare…

Naturalmente, tutte le droghe, per le ragioni che ho spiegato, producono comportamenti compulsivi, anche se gli effetti ovviamente possono essere diversi a seconda del tipo di sostanza (l’eroina e la cocaina possono essere fatali a differenza dell’hashish). Ma la psicologia e soprattutto l’ideologia che gli sta dietro è la stessa. L’approccio con l’hashish, così come con l’alcool, pasticche varie, acidi ecc. di tanti giovani (e anche meno giovani) è comunque compulsivo, anche quando si tratta di droghe cosiddette “leggere”, come appunto l’hashish o l’erba. Non solo. La merce diventa una sorta di feticcio. Si pensa che non ci si possa divertire o star bene senza assumere sostanze. A volte, quando ne sono sprovvisti, magari perché gli spacciatori del quartiere hanno esaurito le scorte o per qualsiasi altra ragione, i ragazzi girano ore ed ore per la città da un quartiere all’altro per rimediare la “roba” prima di andare in questo o in quel locale o semplicemente dentro l’abitacolo di una macchina a inciuccarsi. In poche parole, la sostanza, la merce, alla fin fine un intruglio chimico o un pezzo di tabacco tagliato con lo sterco di cammello o di chissà cos’altro, diventa l’elemento centrale attorno al quale scorre tutta la loro “socialità”.

Ma c’è un altro aspetto fondamentale intorno al quale ruota tutta questa complessa vicenda e che dobbiamo capire bene, altrimenti non riusciamo a cogliere il nocciolo della questione, e cioè il fascino esercitato dalla droga. Un fascino legato all’idea di trasgressione. Forse questo valeva una cinquantina di anni fa quando fumarsi uno spinello poteva in qualche modo rappresentare un momento di trasgressione nei confronti della vecchia società borghese bigotta e bacchettona. Oggi come oggi, invece, non c’è nulla di più omologante, massificante, indifferenziante e omogeneizzante, dell’assunzione di droghe. Milioni e milioni di giovani e meno giovani ne fanno un uso e un abuso più o meno sistematico. Allo stato attuale, è sicuramente molto più trasgressivo per un giovane studiare lettere antiche o iscriversi al CAI (Club Alpino Italiano) piuttosto che farsi le canne o impasticcarsi. Ma tant’è. Questo è il messaggio subliminale che ha fatto breccia e che si è sedimentato.

Dove sta quindi il capolavoro, anche in questo caso? L’aver convinto milioni di persone che il loro stile di vita sia trasgressivo, alternativo se non in taluni casi addirittura “sovversivo”, quando in realtà non potrebbe essere più innocuo per il sistema.

Il paradosso è che questa ideologia dello “sballo” e dello “stravaccamento” ha fatto breccia, oltre che nella “sinistra liberal e radical” anche e soprattutto in quegli ambienti della “sinistra antagonista” (senza naturalmente voler fare di tutt’erba un fascio…), , come ad esempio una gran parte dei centri sociali, dove l’uso di sostanze è praticamente la norma. In alcuni di questi casi – mi dispiace dirlo ma è ciò che penso – la militanza politica sta sullo sfondo, diciamo pure che è un vestito che si indossa (magari anche in buona fede), ma il vero elemento aggregante è un certo tipo di socialità che si vorrebbe “alternativa” – e che a mio parere non lo è affatto perché si tratta di luoghi autoreferenziali con modalità e liturgie escludenti per chi non fa parte dell’“ambiente” – dove il consumo della “merce” è all’ordine del minuto.

Il paradosso è ancora più grande (e grave) se pensiamo che la finalità della droga è appunto il controllo sociale. I soggetti in questione cercano di salvarsi in corner riproponendo il solito mantra della separazione fra droghe leggere e pesanti. Ma, come ho cercato di spiegare, il problema non è tanto dato dal tipo di droga, quanto dall’ideologia dello “svacco” che gli sta alle spalle. Da un certo punto di vista, farsi quattro o cinque canne al giorno, tutti i giorni, nessuno escluso, molto spesso accompagnate da un “litrozzo” o anche più di alcoolici vari, non fa molta differenza rispetto a chi fa uso di sostanze più pesanti, quali ad esempio l’eroina. La logica, o meglio, la psicologia che gli sta dietro, è esattamente la stessa: l’assunzione massiccia di sostanze “stordenti”, il rifugiarsi in un benessere che si sa essere artificiale e ovviamente il rifiuto della realtà vera. Cosa tutto ciò abbia a che vedere con il conflitto di classe, con una critica complessiva al sistema dominante e soprattutto con il processo di crescita, di emancipazione e di liberazione dei giovani – visto che stiamo parlando soprattutto di loro – da una condizione di alienazione e di miseria esistenziale, non riesco sinceramente a capirlo. Proprio coloro che dovrebbero essere portatori di una critica radicale alla cultura e alla ideologia della droga, non soltanto ne fanno un uso massiccio ma addirittura, spesso, ideologico. Il che è francamente ridicolo oltre che fuori tempo massimo (ammesso che ci sia mai stato un tempo per questo…) per le ragioni che ho già cercato di spiegare. Oltretutto non mi pare che i “komunisti” di una volta, quelli con la K, come si usava definirli, siano mai stati teneri (è un eufemismo…) sotto questo profilo.

E questo è un altro tabù inaffrontabile a sinistra, pena l’essere bollati come bacchettoni, moralisti e reazionari. Ma noi siamo già stati scomunicati e quindi la cosa non ci preoccupa.

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