La verità dietro la popfilosofia e la filosofia di consumo



L’idea per questo articolo è venuta leggendo un articolo pubblicato su Foreign Policy il 24 luglio 2017. L’articolo si occupa del nuovo corso della filosofia tedesca che sembrerebbe uscita, dopo decenni, dalle polverose aule universitarie per approdare al mainstream. Ad un certo punto l’autore dell’articolo si chiede:

The pivotal question then is: Can German philosophy be consumed at a common, everyday level without being dumbed down or having its ideas stripped of their complexity?

Questa domanda potrebbe essere estesa non solo alla filosofia tedesca ma alla filosofia in generale. Nell’articolo si fa riferimento alla filosofia tedesca per una ragione precisa: essa è stata sempre fortemente critica verso la realtà, diventando in alcuni casi una filosofia rivoluzionaria e incendiaria (Hegel, Kant, Marx, Schopenhauer, Nietzsche). Può ora la filosofia trasformarsi in un fenomeno pop e di consumo?

Ma torniamo alla domanda posta dall’autore, allargata alla filosofia in generale. Può la filosofia essere consumata a livello comune e di vita quotidiana, senza essere abbassata di livello e senza che perda la sua peculiare complessità?

Qui bisogna capire una cosa fondamentale, questa ossessione per la popolarizzazione della filosofia da quali motivazioni è mossa? Se la motivazione è quella di attrarre le persona verso la filosofia come pratica, come oggetto di studi o percorso accademico, la filosofia è sempre esistita. Chi vuole la pratica, la studia, la segue. Marketing o non marketing.

Se l’intento invece è quello di trasformare la filosofia in un terreno fertile attraverso il quale piazzare la propria merce (spesso libri di dubbio gusto e spessore filosofico), nutrire il proprio presenzialismo massmediatico, e brandizzare la filosofia appiccicandola ad ogni possibile argomento di moda, questo non è certo un modo per popolarizzarla o per garantirle una buona vita. Pensando di salvarla, non si fa che ucciderla, prolungandone l’agonia.

Questa ossessione per la popolarizzazione della filosofia è alquanto sospetta, ma non deve stupire. La riduzione a fenomeno pop e di consumo è un destino che hanno vissuto già altre discipline come la sociologia e la psicologia. Sopratutto la psicologia si è declinata in tutto e il contrario di tutto: infatti non è raro che le librerie siano inondate da manuali di psicologia per casalinghe (con tutto il rispetto per le casalinghe) o di testi per imparare a vendere noi stessi e tutto ciò che ci circonda.

L’idea dietro la popolarizzazione della filosofia è un buona parte questo. Non tanto una diffusione più larga dei temi e del linguaggio filosofico, quanto un appiattimento della filosofia al mondo circostante. La domanda è, che ne resta della filosofia una volta sterilizzata? Una volta che ha perso la sua carica emancipativa e di critica della realtà? Ma non una critica funzionale al triste gioco della realtà (finti intellettuali d’opposizione). Al contrario, una critica che non scende a patti con il reale, ma lo mette in discussione.

Qualcuno potrebbe pensare che allora, se la filosofia non si può (e non si deve) popolarizzare, sia fondamentalmente una disciplina elitaria. Se si intende con questo termine il fatto che la filosofia si sia dotata di un proprio linguaggio e metodo e non si è prestata (salvo in alcuni casi) alle esigenze del consumo, allora sì, la filosofia è elitaria. Lo è però in un senso filosoficamente positivo.

Il paradosso positivo della filosofia è che, proprio perché il suo linguaggio non è pop-accessibile e quindi richiede uno sforzo intellettivo maggiore, ciò ha permesso la sua sopravvivenza e il suo rimanere in certo senso incontaminata.

L’odio verso una certa filosofia nasce dall’impossibilità della filosofia (forse l’unica disciplina rimasta in tal senso) di piegarsi alla volontà del consumo, del mercato e del pensiero dominante. Perché certamente si può interpretare Platone, Aristotele, e ancora di più Nietzsche piegandoli alle proprie più disparate esigenze, ma la filosofia mal si concilia con la pratica del consumo usa e getta del mondo contemporaneo.

Insomma, lo scopo è sempre quello, fare soldi. E per fare soldi bisogna vendere. Per vendere bisogna trovare idee e terreno fertile: ecco allora che si punta alla popfilosofia, così si può vendere qualche libro in più, si piazzano decine di conferenze e si aumentano gli iscritti alle facoltà universitarie. Tutti contenti, tranne la filosofia.


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