Dai cantieri di Macron ad Acea: al diavolo la sinistra liberale coi deboli e protezionista coi forti - Linkiesta.it

Da Macron all’Acea, liberali con i mercati degli altri e protezionisti con i propri. Liberisti con i lavoratori e protezionisti col capitale. A questo sembra essersi ridotto un certo liberalismo di sinistra, annunciato, anni fa, come l’ancora di salvezza sia del socialismo post muro di Berlino che del liberismo thatcheriano. Per l’eterogenesi dei fini, invece, il liberalismo di sinistra fa strame sia del liberalismo che della sinistra. Su questi paradossi è, dunque, opportuno che il Pd e le forze socialdemocratiche riflettano seriamente.

Con “liberalismo di sinistra” ci riferiamo a quel dibattito che partì negli anni ‘90 con le nuove sinistre blairiane e clintoniane, che promettevano di mettere insieme l'efficienza del mercato con l’equità dello Stato. Una evoluzione della specie che - passando per il classico di Giavazzi e Alesina, “il liberalismo è di sinistra” -, arriva fino al renzismo di oggi. La sfida di una sinistra non comunista e post socialista che reputa che il liberalismo possa agevolare le classi subalterne, perché rappresenta un sistema che premia i migliori, dal punto di vista etico; un sistema che consente di produrre ricchezza prima, per ridistribuirla poi, e che libera la società dalle pastoie burocratiche di un’economia pubblica costruita solo per gli interessi di politici desiderosi di catturare i voti. È la sinistra che non divide più il mondo in operai e padroni, ma insider e outsider. Che ha sostituito la giustizia sociale livellante - justice -, con l’equità, la fairness, nelle parole del filosofo John Rawls.

Questa sinistra, però, è in ambasce dovunque. In primis, perché accusata di non proteggere i ceti subalterni, travolti dalle liberalizzazioni. Questa sinistra sprigiona la “distruzione creatrice dei mercati” attraverso liberalizzazioni che, nella lunga distanza produrrano benefici, ma che qui ed ora fanno morti e feriti. Ecco che i colletti blu, storico feudo della sinistra, preferiscono la destra protezionista alla sinistra liberale. Ma mentre la sinistra radicale accusa le sinistre delle terze vie di aver tradito la sua ragione d’essere in nome del liberismo, potrebbe essere vero l’esatto opposto. Che le difficoltà di questa sinistra sono legate al fatto che la vera rivoluzione liberale non è stata fatta.

Liberale con i deboli e protezionista con i forti. Un po’ come quando si discute delle licenze dei tassisti, ma si proteggono farmacisti e notai. Insomma, caro Macron, non puoi fare il liberista con i lavoratori a suon di Jobs Act e il protezionista con il capitale proponendo nazionalizzazioni
E veniamo a Macron, che parla addirittura di nazionalizzazioni per bloccare la scalata di Fincantieri ai cantieri di Saint Nazaire. I benefici delle liberalizzazioni sono indubbi, ma se liberalizzi alcuni e non altri, il miraggio della open society, dove l’operaio può diventare padrone, non si materializza; perché liberalizzi solo i mercati del lavoro e non quelli del capitale. Liberale con i deboli e protezionista con i forti. Un po’ come quando si discute delle licenze dei tassisti, ma si proteggono farmacisti e notai. Insomma, caro Macron, non puoi fare il liberista con i lavoratori a suon di Jobs Act e il protezionista con il capitale proponendo nazionalizzazioni. In questo modo, diventi un garante del capitalismo relazionale, tutore dei padroni del vapore o dei “campioni nazionali” allergici al liberalismo. In Francia, in questo momento, ci troviamo di fronte ad uno scontro non di mercato fra capitalismi di Stato.

Ecco che questo liberalismo di sinistra rischia di essere né di sinistra né liberale. Ed è proprio quello che è successo con le privatizzazioni delle public utilities. Veniamo, dunque, all’Acea. Con le privatizzazioni degli anni ‘90, In Italia abbiamo creato dei veri mostri bicefali, Spa a maggioranza pubblica, ma con dentro i privati; dove il pubblico - invece di avere le funzioni di arbitro e regolatore -, collude con il privato. Pubblico e privato hanno interessi a spremere la gallina dalle uova d’oro, il monopolista, dal quale ricavare rendite di cui beneficeranno entrambi, dato che controllore e controllato coincidono. Tanto, quando c’è da nominare qualche autorità garante, nel Cda si piazzerà “l’amico” legato a quegli ambienti, e il gioco è fatto. Il paradosso della questione Acea è che dentro ci sono le responsabilità, confuse, del pubblico e del privato. I privati potranno continuare a dare la colpa al pubblico e viceversa. A pagare il conto sono i cittadini, che aspettavano di godere dei vantaggi del pubblico e del privato e che, invece, pagano i conti dei vizi del pubblico e del privato messi insieme.