Originariamente Scritto da
elnick
Ecco un tema finalmente interessante e Politico con la maiuscola, oggi me lo sono letto con calma.
In primis la lunga e articolata analisi difetta nella visione dell'economia mondiale, riducendosi ad una visione dell'economia occidentale, che era certamente preponderante negli anni 70 ma che ha subito cambiamenti sostanzialmente per cause endogene. Una visione più completa porterebbe a constatare che la classe operaia non è scomparsa o ridotta, semplicemente si è trasferita altrove. Un altro aspetto rilevante è la confusione tra la teoria economica di Keynes e la socialdemocrazia. Semplificando la prima Keynes teorizza che quando il mercato, con interventi rimane nella teoria liberista e capitalista, non riesce a autoalimentarsi lo stato deve prendere il posto degli imprenditori che risulteranno risolutivi della crisi perché lo stato innesca il mercato ma non ha il problema del profitto e quindi può arrivare dove l'impresa non può. Ma è sempre un concetto liberista, il mercato continua a soggiacere alle regole capitalistiche, semplicemente si trova un escamotage per evitare che il mercato torni in equilibrio solo dopo che la recessione abbia causato danni sociali irreversibili e quindi il giocattolo si sia rotto.
Circa invece la svolta Hayekiena che avrebbero intrapreso le economie occidentali avanzo delle riserve, la strategia di uscita dalla crisi è stata per tutti quella di interventi pubblici e lievitare dei debiti pubblici. Attenzione però che l'intervento pubblico è una cosa diversa dalla tutela del welfare, la teoria Keynesiena ha la ripresa del mercato come obbiettivo, il riequilibrio sociale del mercato è obbiettivo della socialdemocrazia ma il riequilibrio di un mercato globale necessiterebbe di una socialdemocrazia globale ed ecco che lo spostamento a livello europeo delle istanze nazionali diventa un primo passo sensato, ma di una lunga marcia.