«È sbagliato parlare di ripresa, se si guarda al complesso dei dati il quadro è ancora molto grigio». Non ha peli sulla lingua, l’economista Michele Boldrin. Né è incline a facili ottimismi, soprattutto se si parla dell’economia italiana. Già fondatore e coordinatore di Fare per Fermare il declino e professore alla Washington University di St. Louis, dove insegna da dieci anni, Boldrin contesta soprattutto, in questi ultimi mesi, chi parla di un Paese che sta uscendo dal tunnel della sua lunga crisi (Linkiesta compresa, chi scrive compreso, ndr): siamo «un ex super atleta con gli arti rotti dove alcuni grandi comparti fanno ancora miracoli ma che segue, da vent’anni, un declino sino ad ora inarrestabile ed inarrestato», spiega commentando gli ultimi dati sul Pil (+0,4% nel secondo trimestre, +1.5% la stima 2017) e sulla produzione industriale italiana di giugno (+1.1%, mentre l’Europa scende dello 0,6
In sintesi, perché non ha senso parlare di ripresa economica dell'Italia?
Perché la “ripresa” consiste in un processo (sostenuto e sostenibile nel tempo) di crescita dell’occupazione, della produttività e del valore aggiunto prodotto dal sistema stesso. E, ad oggi, questo in Italia non sta succedendo. Se guardi al complesso dei dati (dopo ci torno) il quadro è ancora molto grigio e per ogni segnale positivo è facile trovarne uno negativo. Quindi parlare di “ripresa” e voler fare gli “ottimisti” (ritornerò dopo anche sull’insensatezza di questa contrapposizione ottimisti/pessimisti) riportando solo i dati positivi è sbagliato. Infatti, è erroneo se lo fa un organo di informazione.
Eppure il dato sulla produzione industriale italiana (su, mentre quello dell'Europa scende) è solo l'ultimo di una serie di dati confortanti: surplus commerciale da record, turismo da record, previsioni riviste spesso al rialzo, dati sull'occupazione positivi (o perlomeno, migliori di un anno fa). Perché non essere ottimisti?
Il dato sulla produzione industriale è mensile, capisci? Non vuol dire nulla! Le variazioni mensili sono frequenti ed erratiche. Oggi è uscito il dato sulla crescita del Pil: siamo ad un tasso di crescita pari a metà di quello spagnolo e due terzi di quello tedesco. Penultimi in area Euro (Belgio ha fatto un 0,1% in meno di noi di crescita durante questi sei mesi) ma, questo per un economista è un dato cruciale, siamo partiti per ultimi. I tassi di crescita positivi nel resto dell’area euro son apparsi da svariati trimestri, in alcuni Paesi (come la Spagna che è la maggiormente comparabile a noi in generale e post 2008) da ben tre anni! Ma non basta: circa il 50% (perdonami, non ho tempo di andare a cercare il dato esatto) di quella crescita si deve sai a cosa?
A cosa?
Ad una totalmente anomala variazione del “deflattore del PIL” registrata il trimestre precedente. Detto in parole povere: l’Istat sostiene che i prezzi dei prodotti italiani siano calati in modo sostanziale (e anomalo, storicamente) nel trimestre precedente. Quindi, anche se il Pil nominale (ossia, il valore di quello che si produce) non è cresciuto, dev’essere cresciuta la quantità del prodotto. Spero si capisca.
Insomma...
Il punto è che siamo di fronte ad una causa improbabile e anomala della supposta crescita: e voi volete far festa?
Però gli alberghi sono comunque pieni. E questo non è deflatore del Pil...
Quindi? Chi se ne frega se il turismo è da record! Il turismo è un settore marginale ed a basso valore aggiunto nel sistema economico italiano: hai presente cosa siano i salari medi nel settore turistico? Perché continuare a diffondere questa bufala del turismo che dovrebbe portare ricchezza? Il turismo porta ricchezza per pochi, lavori miserabili per alcuni e scempio delle città storiche e degli ambienti naturali. Sei stato per caso a Venezia nell’ultimo decennio? Ancora: le previsioni al momento sono dell’1% (sito Istat, appena controllato) e graziaddio sono al rialzo! I dati sull’occupazione fanno schifo, perché non si vede alcuna crescita vera ed i livelli vengono mantenuti sostituendo lavori decenti con lavori a bassa produttività e basso salario.
Torniamo ai dati sulla produzione industriale, che cresce di mese in mese da almeno due anni. L’economista Alberto Quadrio Curzio, commentando i dati diffusi qualche giorno fa, ha parlato di un «manifatturiero italiano potentissimo», secondo solo a quello tedesco. Condivide questa visione del comparto produttivo italiano?
Questo signore può dire quell che vuole, esattamente come Bagnai o Galloni o uno dei tanti finti ricercatori da cui i media italiani attingono le boiate economiche che pubblicano sistematicamente. Sono balle, punto. Come ho fatto (una volta e non si ripeterà) con Bagnai sono disposto a dibattere costoro ogni volta che vuoi in pubblico e con regole chiare di engagement. Il manifatturiero italiano è un ex super atleta con gli arti rotti dove alcuni grandi comparti fanno ancora miracoli ma che segue, da vent’anni, un declino sino ad ora inarrestabile ed inarrestato.
Parliamo di quel che ha azzoppato questo ex super atleta, allora. Quali sono i fattori di debolezza del sistema economico italiano? I conti pubblici in disordine alla vigilia dalla fine del Quantitative Easing? Un sistema bancario fragile? Uno squilibrio generazionale della ricchezza? Il rischio di una paralisi politica?
Tu capisci che a questa domanda non posso rispondere onestamente in una intervista, l’ho fatto in dozzine di articoli e libri negli ultimi quindici anni. Ma se vuoi uno slogan, eccolo: il sistema economico italiano soffre perché vessato dalle tasse, controllato dalla politica, costretto a usare servizi pubblici orrendi, con imprese sottodimensionate e (quando inefficienti) sussidiate a spese delle efficienti, con differenze e sussidi territoriali nord/sud spaventosi, senza una scuola ed una università che gli offrano capitale umano produttivo, finanziato da un sistema bancario parassitico alla politica e a questo succube … mi fermo qui.
Sintesi efficace. Ma allora quale dovrebbe essere l'agenda del prossimo governo? Tommaso Nanncini, principale consigiere economico di Matteo Renzi, ha proposto giusto qualche giorno fa in un’intervista al Sole24Ore lo sgravio strutturale della contribuzione per i neo-assunti. È effettivamente una priorità?
Basta questa idiozia degli sgravi! Nannicini (come tutti quelli che giocano a inventarsi ricette) prende in giro. Se sgravi le tasse di X aumenti quelle di Y, visto che non hai tagliato la spesa! Dovrebbero smetterla di prendere in giro la gente con queste operazioni (appena visto quella ultra clientelare dei 50mila euro alle imprese nuove del Sud!) da gioco delle tre carte. Tutto un sussidio, uno sgravio, una esenzione, un bonus! I problemi italiani sono gli stessi dal 1980, sono strutturali.
Quindi?
Tagliate la spesa pubblica di 10 punti, di cui 5 tagliando le pensioni. Aumentate la spesa per educazione e riformate il sistema educativo da cima a fondo. Privatizzate veramente Cassa Depositi e Prestiti e paraggi, liberate il sistema bancario dalle fondazioni e dagli amici degli amici, introducete un minimo di responsabilità fiscale a livello regionale e comunale, forzando l’aggregazione dei comuni. Due legislature, seriamente e senza promettere la luna nel pozzo o inventandosi specchietti per le allodole come le riforme istituzionali: la prima riforma da fare è quella della cultura degli italiani, della loro consapevolezza di come stanno le cose per davvero.
Ultima domanda. Sui giornali si cominciano a leggere avvisaglie di una prossima crisi finanziaria. Ne ha parlato Giulio Tremonti in una recente intervista al Corriere della Sera, anche...
Tremonti chi? Ah, quello che dal 2001 al 2011 (fatti salvi i due anni 2006-08) ha fatto il possibile per distruggere le finanze nazionali, il sistema bancario e, di conseguenza, l’intero sistema economico? Tremonti, quello che scrive libri ridicoli parlando a vanvera di cose che non ha mai capito? Su questo soggetto ho già scritto, in compagnia di altri 5 economisti veri, tutto ciò che c’è da dire. Sta in un libretto intitolato “Voltremont, istruzioni per il disuso” e lo si trova ancora su Amazon. Non c’è nulla da aggiungere. E per non dare l’idea che voglia scappare dalla tua domanda sostanziale: le crisi arrivano, fanno parte del processo di crescita. Ed ogni crisi è, in un modo o nell’altro, finaziaria. Ma per parlarne seriamente occorre fare una domanda specifica: quale crisi finanziaria, dove, come e quando? Quando mi dici cosa i “giornali” abbiano in mente ne possiamo tranquillamente parlare.