Virginia Raggi ha annunciato con un roboante post su Facebook la strada scelta per il risanamento di ATAC. Escluso il ricorso ai privati, alla gara per l'assegnazione dei servizi di trasporto pubblico per la quale i Radicali hanno raccolto le firme, esclusa ogni altra forma di intervento. Il contratto di servizio con il comune, in scadenza nel 2019, sarà rinnovato. La "nuova vita" della municipalizzata comincia con una procedura di concordato preventivo in continuità da richiedere al tribunale fallimentare. Ottenuto il via libera, si procederà alla chiamata degli oltre 1.500 creditori.
Il più importante di questi creditori è lo stesso comune di Roma.
Degli 1,35 miliardi di debiti ATAC, 477 milioni sono nei confronti dell'amministrazione capitolina, sua azionista, con la quale nel 2016 fu sottoscritto un accordo per il rientro di 429 milioni di debito in 20 anni, dall'01-07-2017 al 30-06-2037, senza applicazione di interessi.
Altri creditori rilevanti, rilevati dal bilancio 2015, sono:
Debiti (al 31.12.2015)*
Debiti verso banche 182.108.929
Debiti per anticipi e acconti 8.430.329
Debiti verso fornitori 325.199.687
Debiti verso controllante (Comune di Roma) 477.217.264
Debiti tributari 20.608.062
Debiti verso istituti di previdenza e sicurezza sociale 29.149.897
Altri debiti 307.326.004
Totale 1.350.040.172
* il bilancio 2016 non è stato ancora approvato
Come si può vedere il debito maggiore è verso l'azionista e verso i fornitori, uno dei quali il 31 agosto ha depositato istanza di fallimento. È probabile che la decisione per una richiesta di concordato preventivo, che sarà approvata il 7 settembre con un consiglio straordinario, sia determinata proprio dalla volontà di sterilizzare l'istanza di fallimento.
La procedura di concordato preventivo in bianco ha il principale effetto di interrompere, o rendere impossibile per un periodo di tempo, l'azione dei creditori. Questi, comune compreso, non potranno agire per il recupero del loro credito. Un altro effetto è la sospensione dell'accordo del 2016 perché a essere soddisfatti saranno solo i crediti emergenti funzionali alla continuità aziendale. L'azienda, attraverso la procedura e sotto il controllo del tribunale, cercherà un accordo a stralcio per il soddisfacimento parziale dei creditori.
Detto in altre parole, il primo creditore rinuncia ad una parte del suo credito. Inoltre, essendo il comune socio di maggioranza della partecipata, il suo credito sarà erogato in seguito; ovvero il soddisfacimento del suo credito avverrà dopo quello degli altri creditori per via dello squilibrio eccessivo fra indebitamento e patrimonio netto, che ammontava nel 2015 ad appena 162.254.822 contro un debito, come abbiamo visto, di oltre 1.35 miliardi. In buona sostanza c'è il rischio concreto che alla casse capitoline non arriverà nulla.
Svalutando, non si sa ancora di quanto, il proprio credito verso ATAC, la giunta Raggi rinuncerà a una parte (o alla totalità) degli introiti assorbendone il debito. Il bilancio di Roma dovrà essere compensato o con aumento delle entrate correnti (fiscalità) o con maggiori trasferimenti da parte dell'amministrazione centrale. Insomma, per lasciare ai cittadini un'azienda amministrata in modo scandalosamente inefficace, gli stessi cittadini, romani e non, dovranno metter mano al loro portafoglio. Da questa elementare legge contabile non si sfugge.
Bismark disse che la politica è l'arte del possibile e per la Raggi anche le leggi contabili sono emendabili ("ATAC deve rimanere pubblica. Deve rimanere dei cittadini e non finire nelle mani di privati che puntano esclusivamente a fare cassa sulle spalle dei romani e dei dipendenti." Queste le parole di Virginia) ma con pesanti conseguenze per i contribuenti, non solo romani.
Già nell'art. 119 della Costituzione, così come modificata dalla riforma del titolo V del 2001, lo Stato destina risorse aggiuntive (a quelle derivanti dall'autonomia fiscale e impositiva) ed effettua interventi speciali in favore delle Città metropolitane. Nel bilancio 2016 di Roma Capitale figurano trasferimenti per 1.080.273.398. Il sito openpolis calcolò nel 2014 un indice di dipendenza del bilancio dai trasferimenti statali
Dopo i picchi degli anni della giunta Alemanno, con stock di debito che sale fino a 22 miliardi negli anni della crisi economica e poi ridiscende intorno a 15 e su cui forse converrebbe scrivere qualcosa per ristabilire una verità storica, senza omettere le responsabilità anche di quella amministrazione nel disastro dei conti pubblici romani, il contributo dello stato sulle casse del comune si è attestato sul 14%; circa il doppio in media di quanto influisce su quello delle altre città metropolitane. Con la richiesta di concordato è pressoché inevitabile la conseguente richiesta di ulteriori contributi statali. L'ultimo decreto Salva-Roma, il terzo, risale al 2016 per opera del governo Renzi.
Dobbiamo attenderci un quarto.