L'Europa delle Città
G. Miglio: L'EUROPA DELLE CITTA' : GIORGIO PARTECIPATIVO
Declineranno, una dopo l’altra, tutte le grandi strutture istituzionali che hanno caratterizzato, nel corso dei secoli, il nostro paesaggio politico. Ad esempio il Parlamento su base nazionale, non solo strutturalmente incapace di produrre decisioni, ma ormai continuamente scavalcato, sulle questioni politicamente ed economicamente più importanti da organismi che agiscono al di fuori della struttura parlamentare. Con parlamenti e le loro mischie interne verrà meno la classe dei parlamentari, queste figure ottocentesche, un po’ noiose e arroganti, che abbiamo sempre immaginato, obbedendo a una certa oleografia, come i protagonisti assoluti e necessari di ogni politica. I grandi partiti di massa, dal canto loro, sono già un ricordo, sostituiti oramai da aggregazioni di interessi nelle quali non conta più l’ideologia, ma il carisma dei capi e l’uso scientifico della propaganda. Cambiando i partiti, cambia anche il meccanismo della rappresentanza. Così come è destinato mutare il significato sin qui attribuito alla Costituzione. La politica ha oggi assunto una dimensione pienamente mondana e secolare: come può dunque concepirsi un atto politico, come appunto la Costituzione, avvolto da un’aura quasi sacrale e religiosa, giudicato intoccabile, un sistema chiuso di norme che una volta posto è destinato a vincolare la vita di tutte le generazioni a venire? In realtà, ogni generazione dovrebbe poter scrivere la propria Costituzione, fissare autonomamente le regole della convivenza politica secondo le proprie esigenze e necessità.
Io sostengo il Federalismo come soluzione e via d’uscita al declino irreversibile dello Stato nazionale. Ma se debbo dire qual è il mio vero modello politico di riferimento, il novum che mi piacerebbe vedere realizzato, si tratta di un modello che definisco “anseatico”, che ricalca quello delle città commerciali libere che l’Europa ha conosciuto prima che ovunque nel continente si imponesse la struttura statuale moderna, con i suoi eserciti e la sua burocrazia. Infatti la più genuina tradizione federalista è stata quella dei secoli XII-XVII, delle città mercantili libere, sopraffatte dall’avvento violento dello Stato moderno. Anche Otto von Gierke non è però andato al fondo della struttura contrattuale anseatica delle città commerciali libere.
In questa fase nelle città non c’erano persone di grande rilievo politico, né parlamenti, ma solo una gestione degli affari quotidiani negoziata continuamente e un Governo frammentato. In Europa oggi esistono grandi aree metropolitane coese Randstad Holland (a struttura polinucleare, con sei milioni di abitanti fra Amsterdam, Rotterdam, L’Aja e Utrecht), grandi centri urbani – Milano, Lione, Parigi, Monaco, Londra, Francoforte che sono a tutti gli effetti vere e proprie megalopoli, aree di riferimento dal punto di vista degli scambi economici, dello sviluppo demografico, dell’innovazione tecnologica e dei rapporti politici.
Vere e proprie comunità politiche sempre più quasi-indipendenti de facto, talvolta in stretta relazione (e magari in competizione) le une con le altre e sempre meno in sintonia con i rispettivi Stati nazionali, che vivono anzi come una limitazione.
L’Europa ha già conosciuto qualcosa di simile, all’epoca del Sacro Romano Impero, che era una struttura “internazionale” pluralistica che non produceva sovranità, nella quale le città godevano di una grande indipendenza, pur potendo disporre di un’autorità superiore alla quale rivolgersi per risolvere le proprie controversie[/B]. Mi è molto piaciuto, debbo dire, il richiamo del ministro tedesco Fischer alla struttura del Sacro Romano Impero come modello per l’Europa del futuro: un richiamo che non a caso non è stato invece gradito dai custodi del modello dello Stato giacobino e livellatore, Chirac in testa. La realtà è che la storia dello Stato moderno ha diffuso un’idea limitata e parziale delle innumerevoli possibilità di organizzazione della convivenza internazionale. Costituzionalisti, studiosi di Diritto pubblico e giuristi internazionalisti però non se ne rendono conto, se non confusamente, a causa della concezione ossessiva della sovranità nella quale sono cresciuti. Fra cinquant’anni una nuova combinazione di elementi politici e privatistici darà luogo a strutture di tipo neofederale quasi ovunque.
Gianfranco Miglio