Ho trovato questo bellissimo articolo di Giuliano Da Empoli sul M5S. Davvero interessante, da leggere con attenzione.
Ne faro' tesoro.
Va bene ridere dei grillini, ma per batterli bisogna prenderli sul serio : IL Magazine
Il mondo dei grillini è il futuro orwelliano delle cellule di Matrix. La loro classe dirigente è mediocre perché non è selezionata sulla base del merito ma a caso. I contenuti e le politiche del Movimento sono erratici perché non sono il frutto di un ragionamento ma di un algoritmo. I loro principi sono vuoti – e le relazioni umane che intrattengono tra loro, come si è visto nel caso di Roma, feroci –, perché non sono basati su affinità e valori, ma su dati (per quanto Big).
La saggezza delle masse che prevale sulle elucubrazioni degli esperti chiaramente non è un’invenzione del Movimento. È un pezzo dell’ideologia sulla quale si basa lo sviluppo di internet da una ventina di anni a questa parte. Non fidatevi degli esperti, la gente ne sa di più. È anche possibile, dice Jonathan Franzen, «che tutti, ognuno per conto suo, siano improvvisamente diventati sospettosi dell’élite», ma è probabile che la tecnologia, e la retorica che la accompagna, c’entrino qualcosa.
Casaleggio e Grillo non sono certo gli artefici di quest’evoluzione. Però sono stati tra i primi, e tra i più bravi, a trarne fino in fondo le conseguenze politiche. Se la saggezza delle masse è il criterio unico al quale devono ispirarsi tutte le decisioni, per governare una società non servono le élite, i politici e gli esperti. Basta un algoritmo. E una classe di uomini senza qualità, perfettamente intercambiabili, che ne applichino le decisioni.
Dietro le apparenze buffonesche, il M5S è una macchina poderosa. Perché l’algoritmo è potente: segue le oscillazioni dell’opinione pubblica senza l’imbarazzo di dover mantenere una qualsiasi coerenza ideale. Qualunque sia la direzione nella quale soffia il vento, l’algoritmo lo accompagna, gonfiando le vele del Movimento, con il risultato di produrre frequenti cambi di rotta. Lo si vede di continuo sui temi più strategici – l’euro, la collocazione internazionale dell’Italia – così come su quelli più locali – Uber e le proteste dei tassisti: l’unica cosa che l’algoritmo non consente è la navigazione controvento.
L’élite senza qualità del Movimento – semplici «portavoce», come li chiamano loro – è funzionale a questo schema d’azione: costituita da soggetti intercambiabili, e consapevoli di esserlo, essa accompagna le continue oscillazioni dell’algoritmo con una docilità impensabile in un partito politico tradizionale, composto da individui con una propria storia e proprie idee.
Battere una macchina di questo genere non è facile. Proveremo più avanti a esplorare alcuni temi che ci sembrano cruciali. Ma ancor prima della questione di merito, si pone una questione di metodo. Di fronte alla sfida della quantità, l’unico modo di vincere è puntare sulla Qualità. Il che significa rivalutare la nozione, assai problematica in Italia, di classe dirigente.
Se il Movimento 5 Stelle è una massa indifferenziata, in cui uno vale l’altro perché al centro c’è l’algoritmo sovrano (certo, mitigato dagli interventi umani del Capo quando, nella sua infinita saggezza, li giudica necessari), a sfidarlo dev’essere una comunità di donne e di uomini fuori dal comune, portatori di valori e di una visione per il futuro dell’Italia.
L’algoritmo è potente, ma si limita a fotografare l’esistente. È in grado di dare all’opinione pubblica ciò che vuole, ma non di allargare il campo delle possibilità. Come il cartografo di Borges, che a furia di puntigli traccia una mappa grande quanto il territorio che deve rappresentare, l’algoritmo registra ogni dettaglio, ma smarrisce il senso e, soprattutto, la prospettiva.
«Se ti è piaciuto X, prova Y»: è la tipica proposta degli algoritmi che regolano le offerte di siti come Amazon, Netflix o Spotify. Se ti è piaciuto Philip Roth, leggi Saul Bellow. Se ti è piaciuto Breaking Bad, guarda Better Call Saul. Se ti è piaciuto Jay-Z, ascolta Kanye West. Funziona per un po’, ma la cultura non è questo. In letteratura, nel cinema, nella musica ci sono i movimenti, le correnti, le imitazioni. Ma poi arriva qualcuno e cambia gioco. Ribalta la prospettiva e produce qualcosa che non si era mai visto prima.
Anche in politica – soprattutto in politica – è così. Basta un singolo individuo, un granello di sabbia nell’ingranaggio, per cambiare il corso della storia. Non sempre è stato un bene, ma è così fin dal principio. E sarà così almeno fino a quando non si compiranno le previsioni apocalittiche di chi immagina la fusione dell’uomo e della macchina in un unico organismo depurato di ogni passione.
Una classe dirigente è Qualità, non Quantità: il contrario di un algoritmo. In Italia non esiste, se per classe dirigente si intende un insieme di persone che si sentano co-responsabili del funzionamento della società, con alle spalle un percorso di formazione e alcuni criteri di selezione in comune.
È per questa ragione che, da un quarto di secolo, siamo diventati il terreno d’elezione di tutte le forme di populismo concepibili dalla mente umana. Gli umori che altrove vengono filtrati da un’élite pubblica da noi approdano direttamente al potere, appoggiati da pezzi di establishment che li sfruttano per fare un dispetto al vicino di casa. Nel Paese di Guicciardini, ciascuno cavalca sempre tutto il cavalcabile.
Angelo Panebianco ha descritto la resa culturale delle forze democratiche e liberali di fronte all’avanzata dei grillini. I quali, dice, «sferrano attacchi con la porta avversaria vuota: coloro che dovrebbero difenderla sono scappati oppure restano silenti, oppure si sono uniti al quotidiano linciaggio mediatico della democrazia». Così, quando Grillo descrive l’Italia come una repubblica delle banane, guidata da una banda di criminali tutti uguali (Pdl e Pdmenoelle), gli fanno eco le ponderate analisi degli intellettuali che dimostrano che sì, in effetti, l’unico posto che sta peggio di noi è lo Zimbabwe, e lì almeno ci sono le miniere di diamanti. E quando Grillo chiede: «Perché una massaia non può fare il ministro dell’economia?», a rispondergli c’è solo l’eco dei talk show costruiti per far pensare che, se anche una massaia non dovesse essere il miglior ministro dell’economia possibile, sarebbe certamente migliore di un qualsiasi esponente della casta dei corrotti che hanno distrutto l’Italia.
L’egemonia culturale grillina è fatta di tante cose. Di politici che li inseguono per guadagnare qualche voto e di giornali che gli danno ragione per guadagnare qualche copia. Di piattaforme digitali che trasmettono i comizi del Capo catalogandoli come cabaret («Un comedy special che celebra il ritorno di Beppe Grillo al mondo dell’intrattenimento», dicono; peccato che il líder máximo abbia sfruttato la prima puntata dei suoi show su Netflix per un’invettiva violentissima contro la «democrazia che sa di pesce rancido»). E di pezzi di establishment che accreditano l’idea di una maturazione del Movimento, di una «svolta governativa» guidata da Casaleggio junior e dalla sua fondazione, che metterebbe improvvisamente il partito-azienda delle scie chimiche nella condizione di poter governare l’Italia. Come ha scritto Federico Sarica, c’è una bella differenza tra il prendere il M5S sul serio e prenderlo per una cosa seria. Per accorgersene, però, è necessario ristabilire un minimo di parametri di valutazione.
Il soggetto ideale dell’egemonia grillina non è il militante convinto, che impara a memoria le teorie di Casaleggio senior. È il cittadino x che non crede più a nulla, perché tutti mentono e non ci si può fidare di nessuno: politici, esperti, giornali. Perfino gli scienziati, prezzolati dalle case farmaceutiche. Non a caso, uno dei filoni più persistenti della propaganda grillina è quello antiscientifico: i vaccini che provocano le malattie, la prevenzione dei tumori che, dice il Capo, è una truffa che serve solo ad arricchire i medici a spese dei babbei che ci cascano. La persona che non crede più in nulla non è in condizione di farsi un’opinione. Per lei è tutto uguale. E non è che confidi necessariamente in Grillo. Ma se è tutto uguale, tanto vale provare pure questi: non saranno peggiori di quelli che li hanno preceduti.
Uscire da questa spirale non è facile. E l’idea che una classe dirigente si materializzi all’improvviso dopo decenni di vuoto non è delle più realistiche. Quel che si può fare da subito è iniziare ad abbassare i toni, perché gli argomenti tornino a essere intellegibili anziché sommersi dalle urla.
I militanti di partiti di sinistra e di destra che, per contrastare i troll grillini, ricorrono allo stesso linguaggio fatto di ingiurie e di calunnie non fanno che alimentare l’egemonia del Movimento. Gli insulti gridati sono tutti uguali. Le idee invece no. I grillini hanno interesse a promuovere la cacofonia, perché maschera la pochezza delle loro idee. Chi li combatte, invece, ha esattamente l’interesse opposto. Restituire un minimo di civiltà al dibattito pubblico, affinché le distinzioni qualitative ridiventino visibili.
Una limitatissima esperienza sui social network ha insegnato a chi scrive che il modo più efficace di rispondere ai troll grillini è trattarli con la più rigorosa e formale cortesia. Nella maggior parte dei casi, certo, questo non fa altro che generare una rinnovata gragnola di insulti. Ma ci sono altri casi in cui si produce un effetto diverso. Confrontato con una reazione imprevista, che lo riporta sul piano del dialogo civile, il troll si sgonfia. E dietro la maschera del leone da tastiera fa la sua comparsa una persona normale, con la quale è possibile dibattere scambiando idee e opinioni, anziché ingiurie sanguinose.
Un passo minuscolo, certo. Replicato milioni di volte in tutti gli ambiti, dai confronti televisivi alle conversazioni sotto casa, però, potrebbe produrre l’effetto di abbassare i toni parossistici del dibattito. Proprio ciò che serve affinché le idee, e le differenze tra le idee, tornino a essere percettibili.
Giuliano Da Empoli