Stupro al centro profugh: fermati due richiedenti asilo

[Pazzoide]

Ormai violentare e diventata una prassi quotidiana, oggi certa gente inutile si alza dal giaciglio e come prima cosa, pensa...andiamo a stuprare qualcuna, va!

Lo Stato: zzzzzz
Il Popolo: Goool!, Ho comprato la nuova app per il telefono!, Dove andiamo nel fine settimana? ecc.....

[Ashur]

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Bergamo stupro operatrice, la collega: "Terribile. Ma resisto alla paura" - Corriere.it

Daniela Testa, 35 anni, mediatrice linguistica e culturale, ci lavora dall’inizio. «Abbiamo una sorta di codice deontologico da rispettare — spiega — con regole come vestirsi in modo decoroso, evitando di mostrare le gambe e il décolleté. Non dare i numeri di telefono agli ospiti, non contattarli su Facebook e non portarli a casa. Non dovrebbero nemmeno sapere dove abitiamo. La relazione è al centro del nostro lavoro, ma cerchiamo di impostarla nel modo più professionale possibile». La struttura di Casazza è gestita dalla Ruah, la cooperativa sociale che da sola gestisce più della metà dei richiedenti asilo in Bergamasca: 1.600 su 2.700 in 61 strutture e con 280 dipendenti. Le donne sono 123. Il presidente Bruno Goisis parla chiaro: «Siamo consapevoli che anche fatti così terribili possono accadere, basta un elemento “sbagliato” nel gruppo». E allora l’impostazione deve essere per certi aspetti rigorosa. «Capita che l’ospite fraintenda — riprende Daniela —. Quando lo percepisco, entra in gioco la squadra e passo la palla a un altro collega. È importante che capiscano che sono al centro dell’équipe, non dei miei pensieri». Le operatrici non sono mai lasciate sole. E comunque «molte volte la protezione arriva dagli stessi ragazzi».

Tre anni fa Daniela si divideva tra la biblioteca e la scuola, come insegnante di sostegno. Oggi è coordinatrice, ma il suo rapporto con gli ospiti resta diretto e costante. Spesso anche conflittuale. «Eppure, non ricordo un momento in cui mi sia sentita in pericolo — assicura — e anche oggi io non ho paura del mio lavoro». Il problema principale: «È la passività: molti ragazzi mettono in pausa la loro storia perché camminano sul filo dell’attesa. Così l’operatore diventa il loro unico legame con la realtà e loro non si rendono neppure conto delle difficoltà che dovranno affrontare».

[animal]

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Daniela Testa, 35 anni, mediatrice linguistica e culturale, ci lavora dall’inizio. «Abbiamo una sorta di codice deontologico da rispettare — spiega — con regole come vestirsi in modo decoroso, evitando di mostrare le gambe e il décolleté. Non dare i numeri di telefono agli ospiti, non contattarli su Facebook e non portarli a casa. Non dovrebbero nemmeno sapere dove abitiamo. La relazione è al centro del nostro lavoro, ma cerchiamo di impostarla nel modo più professionale possibile». La struttura di Casazza è gestita dalla Ruah, la cooperativa sociale che da sola gestisce più della metà dei richiedenti asilo in Bergamasca: 1.600 su 2.700 in 61 strutture e con 280 dipendenti. Le donne sono 123. Il presidente Bruno Goisis parla chiaro: «Siamo consapevoli che anche fatti così terribili possono accadere, basta un elemento “sbagliato” nel gruppo». E allora l’impostazione deve essere per certi aspetti rigorosa. «Capita che l’ospite fraintenda — riprende Daniela —. Quando lo percepisco, entra in gioco la squadra e passo la palla a un altro collega. È importante che capiscano che sono al centro dell’équipe, non dei miei pensieri». Le operatrici non sono mai lasciate sole. E comunque «molte volte la protezione arriva dagli stessi ragazzi».

Tre anni fa Daniela si divideva tra la biblioteca e la scuola, come insegnante di sostegno. Oggi è coordinatrice, ma il suo rapporto con gli ospiti resta diretto e costante. Spesso anche conflittuale. «Eppure, non ricordo un momento in cui mi sia sentita in pericolo — assicura — e anche oggi io non ho paura del mio lavoro». Il problema principale: «È la passività: molti ragazzi mettono in pausa la loro storia perché camminano sul filo dell’attesa. Così l’operatore diventa il loro unico legame con la realtà e loro non si rendono neppure conto delle difficoltà che dovranno affrontare».

bla bla bla quante giustificazioni, tiepide analisi, insomma sono consapevoli dei rischi che corrono....
continuate cosi....
Piuttosto la Ruah, che in ebraico vuole dire spirito santo, ha 2000 balubba sotto protezione , un bel numero, per 35 neuri giono fanno spanne e magnaccia 70.000 neuri al giorno vale a dire 2 milioni e 100 al mese.
hanno 280 dipendenti quindi fanno 7500 neuri ad Accoglione...non male, si sa e' una media e poi c'e' la pastasciutta da pagare ai balübba ed il cus cus... poca roba!

Piuttosto volete vedere una bella carellata di facce da accoglioni?
Bene andate nel sito del Accoglioni campus e cercate facce da Ruah.....tutte uguali...tutti meritevoli di gesti da balübba


Cooperativa Ruah


intanto io dopo averne vista qualcuna vado in bagno

[Ashur]

tutte facce da ebrei in effetti

a proposito @animal
Nuovo allarme attentati: i jihadisti d'Italia puntano sinagoghe e centri ebraici - IlGiornale.it

[animal]

tutte facce da ebrei in effetti

a proposito @animal
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ma va , non ci credo neppure se lo vedo!
allora bisogna evitare il vatiCano, ormai longa mano di $ion!

[Marximiliano]

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Daniela Testa, 35 anni, mediatrice linguistica e culturale, ci lavora dall’inizio. «Abbiamo una sorta di codice deontologico da rispettare — spiega — con regole come vestirsi in modo decoroso, evitando di mostrare le gambe e il décolleté. Non dare i numeri di telefono agli ospiti, non contattarli su Facebook e non portarli a casa. Non dovrebbero nemmeno sapere dove abitiamo. La relazione è al centro del nostro lavoro, ma cerchiamo di impostarla nel modo più professionale possibile». La struttura di Casazza è gestita dalla Ruah, la cooperativa sociale che da sola gestisce più della metà dei richiedenti asilo in Bergamasca: 1.600 su 2.700 in 61 strutture e con 280 dipendenti. Le donne sono 123. Il presidente Bruno Goisis parla chiaro: «Siamo consapevoli che anche fatti così terribili possono accadere, basta un elemento “sbagliato” nel gruppo». E allora l’impostazione deve essere per certi aspetti rigorosa. «Capita che l’ospite fraintenda — riprende Daniela —. Quando lo percepisco, entra in gioco la squadra e passo la palla a un altro collega. È importante che capiscano che sono al centro dell’équipe, non dei miei pensieri». Le operatrici non sono mai lasciate sole. E comunque «molte volte la protezione arriva dagli stessi ragazzi».

Tre anni fa Daniela si divideva tra la biblioteca e la scuola, come insegnante di sostegno. Oggi è coordinatrice, ma il suo rapporto con gli ospiti resta diretto e costante. Spesso anche conflittuale. «Eppure, non ricordo un momento in cui mi sia sentita in pericolo — assicura — e anche oggi io non ho paura del mio lavoro». Il problema principale: «È la passività: molti ragazzi mettono in pausa la loro storia perché camminano sul filo dell’attesa. Così l’operatore diventa il loro unico legame con la realtà e loro non si rendono neppure conto delle difficoltà che dovranno affrontare».

E quindi la naturale conseguenza è prendere un'operatrice trascinarla in bagno e accoppiarcisi contro la sua volontà? Non vorrei sembrare razzista ma secondo me la conseguenza logica non regge