Tutti i guai della Valle d’Aosta: dal crollo del settore edile alla crisi del casinò
Le manovre, i ribaltoni politici e le inchieste fino ai 25 mila euro nell’ufficio di presidenza. Il declino della regione più piccola d’Italia. La Corte dei Conti: «La vigorosa assistenza finanziaria alla casa da gioco realizzata in palese violazione di ogni divieto»



Ciao Franco, sali che andiamo». L’autista saluta i pochi passeggeri, chiamandoli per nome. Uno per uno. Tanto sono solo nove, persi in un pullman da quaranta posti. Allo stallo 5 del parcheggio davanti alla stazione di Torino si conoscono tutti. L’autobus della Sadem per Saint Vincent parte alle 20.30, e si ferma solo all’ingresso del casinò. Franco, dirigente Fiat in pensione, vedovo, ultrasettantenne, si fa nostalgico. «Una volta veniva a prenderci un maggiordomo in frac e ci scortava ai tavoli da gioco. Adesso non ne vale più la pena. Siamo rimasti in quattro gatti. Noi e loro, clienti e dipendenti». Alle undici di sera di un mercoledì di ottobre le luci del Gran Casinò della Vallée sono tutte accese e sfavillanti ma il grande atrio all’ingresso è vuoto. Cinque croupier aspettano i clienti e intanto cercano sul telefonino notizie sul loro destino. La Regione ha stanziato altri sei milioni di euro che serviranno ad agevolare le uscite, 264 esuberi su 610 dipendenti. Il bilancio della casa da gioco è in rosso per 38 milioni 377 mila e 900 euro.
«Quest’angolo del Piemonte incastrato tra Francia e Svizzera, incuneato tra le cime più alte, è una comunità d’importanza europea da quando l’autonomia gli fu concessa». Nel suo Viaggio in Italia, Guido Piovene definiva la Valle d’Aosta un miracolo in divenire. Ancora nel 2010 la grande crisi non aveva raggiunto la regione più piccola d’Italia, 130 mila abitanti, meno di Parma o di Brescia. La disoccupazione viaggiava al 5,2%. Nel 2016 il dato è salito all’9,8%, quasi il doppio. Con il 35% dei giovani sotto i trent’anni senza impiego. Ogni cosa finisce, anche i miracoli.
La crisi nell’edilizia
L’edilizia, il settore da sempre più florido, è diventata un buco nero dove nel giro di due anni si sono persi 2.600 impieghi, il 40% della forza lavoro e hanno chiuso 150 aziende sulle quattrocento scampate alla decimazione del triennio 2012-2015. «Il mattone era sovradimensionato perché viveva da sempre in una bolla alimentata soprattutto dalle commesse pubbliche». Domenico Falcomatà, segretario della Cgil locale, è l’uomo che si trova gestire le conseguenze di una depressione economica mai vista a queste altezze. «Come è potuto accadere? La crisi, certo. Ma le colpe della Regione, di un ceto politico che si crede ancora onnipotente, sono enormi. Hanno sperperato risorse gigantesche lavorando solo sul consenso e sul clientelismo, senza pensare che prima o poi avremmo fatto i conti con la realtà».
Il declino economico è andato di pari passo con quello delle istituzioni. Le notizie che arrivano da questa estrema periferia di nord-ovest raccontano di una Procura senza capo, finito in manette per una oscura storie di favori. Di manovre e ribaltoni politici, trame da Borgia alla fonduta, come dimostra la vicenda dei 25.000 euro ritrovati in una scrivania dell’ufficio di presidenza, per i quali era stato indagato Augusto Rollandin, detto l’«imperatore», che regnava da trent’anni, detronizzato nel marzo scorso da una congiura dei suoi ex delfini, ora scagionato e diventato da artefice a vittima della presunta cospirazione. «Sul mio operato — dice Rollandin — giudicherà la storia. Io ho sempre rifiutato il concetto di isola felice, ma certo è ormai molto tempo che qui non siamo più felici».
L’Italia, nel senso della politica italiana non esiste. L’unico partito nazionale presente sul territorio è il Partito democratico. Tre consiglieri regionali su 35. Briciole. C’è solo l’Union Valdotaine, al governo da trent’anni, declinata in ogni scissione e faida interna, nascita di partiti satelliti, sinonimo di potere e di autonomia regionale. L’ex «imperatore» sostiene che a quasi settant’anni dalla concessione dello statuto speciale, accadde il 26 gennaio 1948, ci sia ancora qualcosa da capire. «Si tratta di un valore da utilizzare al meglio, e ci stiamo lavorando. Ma non è certo un privilegio, questo è uno stereotipo che non corrisponde alla verità dei fatti».
ll bilancio dimezzato
I fatti dicono che la Valle d’Aosta si regge su un riparto fiscale che trattiene il novanta per cento delle tasse. Fino al 2014 il bilancio era di un miliardo e 700 milioni. Oggi è quasi dimezzato. La Regione, che è sempre stata il primo datore di lavoro, garantendo il 60% dell’occupazione, ha cominciato ad avere le convulsioni. «Io non sono mai sceso a Roma con il cappello in mano» sostiene Rollandin. Il suo successore, Pierluigi Marquis, ha dato le dimissioni per la storia della scrivania.
il buco a Saint Vincent
Allora bisogna tornare al punto di arrivo del pullman da Torino. Il Casinò di Saint Vincent era il biglietto da visita della Valle d’Aosta. Non ha smesso di esserlo neppure quando i ricavi sono scesi dai 125 milioni di euro del 2005 ai 60 del 2016. La Regione ha continuato a pompare soldi, a fare ristrutturazioni faraoniche. «Costituisce fatto notorio che il mantenimento dei livelli occupazionali e delle (spesso) generose retribuzioni accordate sono fattori fondamentali di intercettazione e consolidamento del consenso politico». Il documento della Corte dei conti alla base dell’inchiesta che vede indagati 21 politici valdostani tra i quali Rollandin, in pratica il passato e il presente delle istituzioni locali, racconta molto di quel che è avvenuto in questi anni. «La vigorosa assistenza finanziaria è stata realizzata in evidente violazione di ogni divieto europeo e nazionale, ignorando del tutto i fondamentali canoni dell’efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa». I consiglieri aostani godono di un regime pensionistico invidiabile, con vitalizi che garantiscono assegni pari a cinque volte i contributi versati. Si odiano, si dividono. Ma appartengono infine alla stessa famiglia autonomista. Tutto si tiene, e lo farà anche questa volta. Come se niente fosse.