Incendio Como, padre dà fuoco alla casa e uccide i 4 figli - Corriere.it
Siff aveva undici anni e studiava il clarinetto. Soraya sette, e nelle fotografie è quella che abbraccia sempre tutti. Sophia, tre anni, l’ultima arrivata. Saphiria, di cinque, ha lottato fino alla fine, dopo un ricovero disperato all’ospedale Buzzi di Milano. L’ospedale dei bambini.
Quattro bambini, quattro fratellini nati in Italia, rimasti immobili su quel lettone, in fondo all’appartamento, nella stanza dove dormivano insieme. E dove il loro papà aveva messo due materassi, uno sopra l’altro, per fare un letto ancora più grande. Perché tutti stessero insieme, vicini. Sono morti tutti. Soffocati dal fumo di una catasta di stracci, vestiti e giornali accesi in corridoio, dove c’è la porta d’ingresso. Così da impedire che qualcuno potesse scappare, e che qualcun altro riuscisse a entrate.
In quell’appartamento diventato un’enorme bara di fumo, dove Faycal Haitot, 49 anni, origini marocchine, cittadinanza italiana, ex lavapiatti, ex tuttofare, disoccupato da mesi, ha deciso di chiudere quelle quattro vite e la sua, disperata. I vigili del fuoco lo hanno trovato vicino al balcone. Lui che secondo la ricostruzione della questura di Como sarebbe l’ideatore dell’omicidio-suicidio, ha avuto forse come un istinto di sopravvivenza, cercando l’aria mentre il fumo lo soffocava.
Lui che temeva che i giudici gli portassero via i bambini. Lui che li aveva accuditi dopo che un anno fa la moglie, anche lei marocchina, era stata ricoverata in una struttura psichiatrica di Como per curare una fortissima depressione, dalla quale non si era mai ripresa. Lui che viveva in quell’appartamento di 120 metri quadrati al quarto piano di una palazzina di via per San Fermo 18, arrampicata su un costone di montagna. Appartamento che la Fondazione Scalabrini aveva messo a disposizione di quella famiglia, dal 2014 in carico ai servizi sociali del Comune e senza un posto dove vivere. «Questa è una storia di miseria, da tutti i punti di vista, che si conclude nel modo peggiore possibile», ha riassunto il sindaco di Como Mario Landriscina. Anche se adesso, questa storia che dal punto di vista giudiziario si chiuderà probabilmente con la morte del «reo», lascerà aperte domande alle quali finora nessuno ha saputo rispondere.
Possibile che nessuno, neanche da quei servizi sociali che pure avevano telefonato diverse volte al papà chiedendo perché i bambini da qualche tempo non andassero più a scuola (l’istituto comprensivo Borgovico), si sia mai accorto che Faycal Haitot era ormai un padre disperato e divorato dalla depressione? Possibile che si sia fatto davvero tutto per evitare che la miseria trasformasse la vita di questa famiglia in una tragedia di morte? Non se lo spiega Nasir Reza, ingegnere arrivato dall’Iran con la famiglia, che abita al primo piano e alle otto meno un quarto ha visto il fumo uscire dal quarto piano e con un altro vicino ha sfondato a badilate il pannello della porta d’ingresso. «Ho visto gli stracci in corridoio. Le fiamme erano alte, non siamo riusciti ad entrare. Era un uomo molto dignitoso, stava sempre con i bambini. Era davvero premuroso. Avevo cercato di aiutarlo, ma lavoro non ce n’è». Non c’erano estintori nel palazzo. I pompieri sono entrati da una finestra. Dopo aver portato fuori i bimbi, i soccorritori hanno dovuto chiedere supporto psicologico. Nell’inutile tentativo di dimenticare l’immagine di quella casa piena di morte.