https://www.rischiocalcolato.it/2017/11/media-russi-cosi-pericolosi-perche-twitter-offriva-gli-spazi-15-sconto.html
Ma se i media russi erano così pericolosi, perché Twitter offriva loro gli spazi con il 15% di sconto?
3 novembre 2017
Dunque, un dipendente incazzato di Twitter ha disattivato per 11 minuti l’account di Donald Trump.. Occorrerebbe premiarlo. Già, perché se normalmente il presidente USA è un grafomane social da competizione, dopo l’attacco a Manhattan la patologia è peggiorata. E di molto. Come d’altronde la piega dell’approccio statunitense alla questione.
Dopo l’attacco alla green card tramite lotteria, ecco che il presidente si è lanciato nella rivendicazione di fatto della bontà di Guantanamo e nell’auspicio della pena di morte per l’attentatore dl furgone. Il quale, tra l’altro, pare si sia comportato come una sedicenne viziata in ospedale: invece del poster dei Take That, al muro della sua stanza di degenza voleva appendere a tutti i costi la bandiera nera del Califfato.
Succulenti dettagli destinati a far schiumare di rabbia i bassi istinti del cittadino medio, il quale più che mai si vede traslato nel poveraccio che si è trovato nel proverbiale posto sbagliato al momento sbagliato: una normale pista ciclabile di Lower Manhattan.
E poi, ecco che dopo il secondo, salta fuori anche il terzo uomo a dare vigore alla tesi della rete uzbeka del terrore: “the word is out” come dicono gli americani, l’ISIS non è affatto morto. Magari è sconfitto in Siria e Iraq ma ora la battaglia si sposta nel cuore dell’Occidente, attraverso i foreign fighters di ritorno e i cani sciolti radicalizzati. Insomma, siamo in guerra. Musica per le orecchie del Pentagono.
Ma c’è dell’altro. Per l’esattezza, questo:
e Politico non è la FOX, è un sito serio. Dopo la minaccia nordcoreana, ora anche il Russiagate comincia a passare nelle menti dei cittadini come pericolo reale per la presunta democrazia americana. E i media stanno picchiando duro, come non si vedeva dai tempi della campagna elettorale. Per non parlare dei social network, addirittura scatenati.
Questa foto
ci mostra un’istantanea della presentazione tenuta ieri alla Commissione intelligence della Camera delle pubblicità con cui la Russia avrebbe veicolato la propria propaganda pro-Trump prima delle presidenziali attraverso Facebook.
Roba da bambini di terza elementare, immagini di Trump super-eroe che sconfigge il drago dell’Isis e cazzate simili: eppure, l’establishment sta facendo passare quella robaccia come qualcosa che può aver prima avvelenato e poi direzionato politicamente le scelte di 126 milioni potenziali di elettori a stelle e strisce. Quindi, o sono un popolo mediamente di beoti o la messinscena è di quelle di prim’ordine.
“America, abbiamo un problema.
Nonostante qui ci siano le menti più brillanti della nostra comunità tecnologica, la Russia è stata in grado di armare le vostre piattaforme per dividerci, farsi beffe di noi e discreditare la nostra democrazia”, con queste parole, Jackie Speier, rappresentante democratica per la California alla Commissione Intelligence della Camera ha mostrato i famosi post utilizzati dai russi per intromettersi nella campagna elettorale americana del 2016 a favore di Trump e contro Clinton. Una vero patriota. Per una battaglia da patrioti.
Peccato che molte cose vengono dette ma altre, taciute. Ad esempio, quanto scoperto dalla Reuters, agenzia stampa non certo tacciabile di simpatie moscovite. Bene, ieri è saltato fuori che il famoso dossier relativo ai legami fra Trump e la Russia è stato pagato 1,02 milioni di dollari all’agenzia Fusion GPS e sapete da chi? Da Hilary Clinton e il Democratic National Committee.
Di più, di quella cifra 168mila dollari sono stati utilizzati per pagare i servigi dell’ex spia britannica e specialista in questioni russe, Christopher Steele. Il pagamento sarebbe stato effettuato attraverso lo studio legale Perkins Coie e sarebbe finito nei conti dell’azienda di Steele, la Orbis Business Intelligence: in cambio, i Democratici avrebbero ottenuto un dossier di 33 pagine pieno zeppo di notizie non verificate. E vogliamo parlare dei social network? Pronti. Questa mail
ci mostra come Twitter abbia sviluppato una coscienza anti-russa solo dopo le elezioni, visto che prima offriva a uno dei principali canali della propaganda del Cremlino (stando alle accuse occidentali), ovvero RussiaToday, spazi pubblicitari con il 15% di sconto nel corso della campagna elettorale, addirittura spacciandoli di fatto come un’occasione da non perdere.
Insomma, l’informazione russa prima del voto andava stimolata nel participare al dibattito presidenziale, addirittura con incentivi sulle inserzioni e poi esposta al pubblico ludibrio e alla censura? Che dire, Twitter ci è o ci fa? E attenzione, perché al netto dell’investimento da 3 milioni di dollari proposto, l’influenza di RT sarebbe restata al 2% del totale della “share of voice” di Twitter (la quale prometteva un aumento di sette volte attraverso quell’offerta), contro il 56% di CNN e il 32 di FOX News.
Non a caso, RT declinò l’offerta. Come mai queste cose non si dicono nei tg e non vengono raccontate negli indignati articoli dei quotidiani?
Quindi, al netto di questo, dobbiamo pensare che il Cremlino sia riuscito a sabotare il voto presidenziale USA a favore di Donald Trump con un totale di 100mila dollari di pubblicità solo su Facebook? Fosse così, sarebbe davvero preoccupante. Non tanto per la minaccia russa, quanto per la pochezza in sé di quella che ci spacciano come la prima democrazia e potenza al mondo.
E se Mosca ha già fatto sapere che un eventuale bando di RT e Sputnik negli USA porterebbe a un’immediata reazione già contemplata nella legislazione russa, ovvero dichiarare ogni network statunitense come “agente estero di propaganda” e “organizzazione indesiderata”, come mai tanto silenzio dei media italiani su questo:
ovvero, la denuncia di Elizabeth Warren rispetto al fatto che le primarie democratiche del 2016 furono manipolate a favore di Hlllary Clinton, attraverso ogni tipo di magheggio per guadagnare il controllo assoluto del Comitato elettorale e per colpire Bernie Sanders? Chissà, resta un grande dubbio, il quale vale per tutti, Repubblicani e Democratici.
Mentre i social network mostravano al mondo le prove della manipolazione russa e la politica USA si lanciava nel nuovo maccartismo 2.0, CareerBuild presentava le conclusioni del suo ultimo report sull’occupazione USA.
Bene, il 78% dei lavoratori a tempo pieno ammettono di vivere mese per mese, in aumento dal già poco lusinghiero 75% di un anno fa.
Di più, il 71% degli occupati USA ammette di avere debiti, su dal 68% dello stesso periodo nel 2016. E se per il 46% degli interpellati quel debito è gestibile, il 54% dice di non riuscire a venirne a capo, tanto che il massimo che si riesce a mettere da parte è 100 dollari o meno al mese. Insomma, se il bambino ha bisogno del dentista, tocca chiedere un prestito.
Non vi pare che la minaccia russa, propagata a piene mani da media e social, sia decisamente necessaria per evitare che qualcuno si incazzi davvero? Magari anche contro la Casa Bianca e le sue promesse per la Real America? I servi, d’altronde, servono a questo.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @mauroBottarelli