di Giuseppe Galasso – Da “Luigi Sturzo e la democrazia europea”, a cura di G. De Rosa, Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 339-442.


Limitarsi a trattare il tema della cultura politica offre la possibilità di un discorso più concentrato, più stringente e anche più vicino a quella che è stata storicamente l’immagine di Sturzo. Perché io ho l’impressione che, pur essendo Sturzo, come tutti sappiamo, una personalità molto complessa e dalle molteplici facce umane, spirituali e anche pratiche, tuttavia l’immagine di lui che si è stampata nella memoria collettiva italiana è quella del prete, del sacerdote che è stato all’origine di un grande movimento politico del nostro paese. Quindi mi pare che il compito di occuparmi soltanto della politica mi consenta di concentrare il discorso su questa immagine familiare alla cultura italiana. E mi sono posto un interrogativo sul quale vorrei spendere le mie poche osservazioni.
L’interrogativo è: vi è stata una influenza effettiva di Sturzo sul pensiero politico italiano, sulla cultura politica italiana? Confesso di non essere riuscito a darmi una risposta persuasiva. I temi proposti da Sturzo: la proporzionale, le regioni, la questione romana, e altri di ordine economico e sociale, non furono esclusivi o originali di Sturzo. Non si affacciano per la prima volta con Sturzo. Non lo fu la proporzionale, presente nel dibattito politico italiano come richiesta ed esigenza avanzata anche da altre parti politiche. Altrettanto si dica per le regioni, tema tradizionale della nostra cultura politica ereditato dal Risorgimento, addirittura dall’epoca pre-unitaria. Sulla questione romana si potrebbe grosso modo dire altrettanto, e così credo si potrebbe dire, non senza fondamento, per altri aspetti, del pensiero politico di Sturzo.
Mi sono inoltre posto domande anche su quella influenza che Sturzo e le sue elaborazioni politiche potrebbero avere esercitato sulla cultura politica italiana nel suo complesso, e che a me non riesce egualmente agevole di ravvisare. Certo essa esiste più specificamente nella tradizione della corrente politica di Sturzo, voglio dire nella tradizione del cattolicesimo politico italiano quale è stato rappresentato prima dal Partito popolare e poi dalla Democrazia cristiana. Ma anche qui ho l’impressione che le derivazioni ci siano, e siano anche evidenti; dubito però che Sturzo avrebbe riconosciuto come proprio il partito della Democrazia cristiana e avrebbe visto in esso una prosecuzione organica, naturale, del Partito popolare, e ciò sia per motivi dottrinali che per motivi politici.
Può darsi che questa mia affermazione si riferisca più in generale all’ultimo Sturzo che non allo Sturzo dell’epoca della fondazione del Partito popolare. Me lo sono chiesto, ma neppure su questo punto ho saputo darmi una risposta positiva, perché mi sembra ci sia stato un salto tra il momento storico del Partito popolare dopo la fine della prima guerra mondiale e quello della Democrazia cristiana dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.
La tematica di Sturzo, essenzialmente liberistica, contro lo Stato interventista industriale riassume punti di divisione assai forti che, sebbene attribuiti all’ “ultimo” Sturzo, sono tuttavia importanti. Direi però che anche il solidarismo sociale, che ispirò dopo la fine della prima guerra mondiale, secondo una definizione sommaria, il pensiero di Sturzo, si sarebbe potuto riconoscere nella prassi dello Stato sociale, quale concretamente teorizzata e realizzata dalla Democrazia cristiana, maggiore partito di governo dopo la seconda guerra mondiale. Ecco la ragione per cui, se vogliamo cogliere, a mio avviso, tutto lo spessore fortissimo della figura storica di Sturzo, la via da seguire non è quella della traccia “cultura politica”, bensì quella dell’analisi di quanto, nei singoli momenti dell’azione, le posizioni da lui elaborate e sostenute hanno contato e influito sul dibattito politico.
Con ciò io non voglio dare l’impressione (non corrisponderebbe al mio pensiero) di mirare ad una visione riduttivistica del ruolo di Sturzo, o di non apprezzarne adeguatamente lo sforzo intellettuale. Voglio soltanto dire che il problema che mi sono posto, ma che credo francamente sia un problema storico, oggettivo e inevitabile, è quello del ruolo storico effettivamente svolto da Sturzo, e del modo storico in cui le sue posizioni si sono fatte valere.
Mi pare non si debba dubitare che la grande impresa storica di Sturzo sia stata il Partito popolare, ovviamente non partendo dal gennaio 1919, ma dagli anni di “gestazione” del PPI. Sturzo resta anche nella politica italiana per quello che egli ha pensato e realizzato tra gli anni che precedono e gli anni che seguono la prima guerra mondiale. Forse qui occorrerebbe andare a fondo nel tracciare una periodizzazione del pensiero e della stessa biografia di Sturzo.
Nella biografia del sacerdote calatino scritta da De Rosa, che io difesi con convinzione mentre altri la attaccavano, ci sono molti elementi di interesse a questo riguardo. Si tratta, in sostanza, di cogliere il momento in cui l’uomo politico e l’intellettuale di così notevole taglia che è Sturzo, nel travaglio della vita politico-amministrativa locale, nei rapporti che già allora intrattiene fuori dell’ambito locale, comincia a maturare una visione veramente generale, propedeutica all’azione, e si dispone all’azione che ha poi effettivamente svolto nella storia non soltanto della vita politica, ma anche, in questo senso, della cultura politica italiana. Io credo che qui ci sia un problema ancora da approfondire, da affrontare negli studi sturziani e quindi anche negli studi della cultura politica italiana di questo secolo.
E quali sono allora i punti su cui Sturzo, in questa sua azione che, nel senso più denso e più positivo del termine, possiamo e dobbiamo chiamare politico-culturale, e che si caratterizzano per la loro effettiva incidenza nel dibattito politico e nella riflessione politica italiana? Sono quelli cui ho accennato prima; però io qui distinguerei tra ciò che il pensiero sturziano, così come ho cercato di prospettarlo, ha significato dentro e fuori del mondo cattolico. Si deve, infatti, francamente riconoscere che questo confine tra cattolico e non cattolico ha molto condizionato l’irraggiamento del pensiero sturziano fuori dei confini del campo cattolico. In altri termini, mi sembra che l’influenza di Sturzo e la sua azione storica abbiano enormemente più rilievo nel mondo cattolico e politico culturale italiano che fuori del mondo cattolico. Di questo si è già discusso a Roma nella “tavola rotonda” per il settantesimo anniversario dell’Appello “ai liberi e forti” con De Rosa. Nel campo cattolico mi pare che a Sturzo vada riconosciuto un punto fondamentale, che ha importanza, come è facile intendere, non solo per il campo cattolico: quella, cioè, che io ho definito “la scoperta dello Stato”. De Rosa mi pare avesse parlato di “scoperta politica”. Io contestai che non si trattava di scoperta della politica, ma dello Stato, nel senso che con Sturzo si ha la definitiva accettazione e il definitivo riconoscimento da parte del cattolicesimo politico italiano della irreversibilità del processo risorgimentale. Irreversibilità dello Stato unitario, irreversibilità della necessità di accettare le regole del gioco politico del liberalismo e della democrazia moderni.
Noi potremmo forse essere tentati di guardare con sufficienza ad una affermazione come questa, in fondo anche un po’ banale. In realtà sbaglieremmo, se cedessimo a questa tentazione. Era un grosso punto d’arrivo, e si deve pensare che Sturzo si orientava su queste posizioni nei primi anni del nostro secolo; quaranta anni prima ad un altro Sturzo questo non sarebbe stato possibile all’interno del mondo cattolico. Coll’abito talare addosso, quaranta anni non erano un grande spazio di tempo. Ecco quindi la “scoperta dello Stato”, che è una scoperta, ripeto, storica. È vero che c’era già stato, nei primi anni del Novecento, il movimento murriano, ma mi pare che proprio con Sturzo questo processo diventi davvero definitivo e formi la base di tutta una concezione politica, di una concezione concreta e determinata del ruolo dei cattolici in questo Stato.
Credo sia importante un altro punto: quello che io, più che della “laicità”, definirei della “aconfessionalità”. È, del resto, il termine usato da Sturzo. Sono convinto che tra “aconfessionale” e laico ci sia un confine sottile, ma determinante e profondo, e credo che nella laicità o aconfessionalità dello Stato questo che si pone come oggetto dell’azione storica del Partito popolare, si debba vedere non solo e non tanto un punto di principio. Questo dico perché, se fosse soltanto un punto di principio, esso avrebbe la sua maggiore importanza all’interno del mondo cattolico. Ma esso è anche un punto politicamente concreto che ha avuto influenza e continua ad averne anche fuori del mondo cattolico, perché era una garanzia concreta che il cattolicesimo politico italiano offriva nel momento in cui si preparava ad avere una parte che poteva essere importante – e sappiamo quanto politicamente lo sia stata – nella gestione dello Stato.
Era una garanzia che i cattolici davano, sul fatto che questa gestione si sarebbe svolta nei quadri del regime di libertà, di pluralismo politico.
È un punto importante, e non è dottrinale: è un punto politico concreto. È una grande garanzia a cui il cattolicesimo politico italiano ha fatto onore finora e che non ha mai più ritirato. E io credo che anche da questo si può misurare lo spessore del discorso politico-culturale di Sturzo nel senso che ho detto.



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