Quando un Sovchoz sfida Putin. Pavel Grudinin candidato dei Comunisti russi alle elezioni presidenziali
La parola Sovchoz, per i comunisti di tutto il mondo, significa e rappresenta un grande sogno: la proprietà collettiva dei mezzi di produzione nell’agricoltura, una grande cooperativa agricola dove tutti lavorano per il bene comune e ricevono il frutto del lavoro secondo i propri bisogni.
Un sogno che in Unione Sovietica è iniziato dagli albori della Rivoluzione e per 100 anni non ha smesso di vivere. Nella Russia di oggi parlare di collettivizzazione e “fattorie di stato” è quasi tabù, ma nella periferia dell’immensa Mosca esiste e resiste il Sovchoz “Lenin”. A guidarlo è il 57enne Pavel Grudinin, ingegnere ed imprenditore agricolo, che nel 1995 ne prese le redini portandolo ad un successo degno degli antichi splendori della Rivoluzione Bolscevica.
Oggi il Sovchoz “Lenin” è una felice isola socialista in uno dei sobborghi della capitale, una comunità autonoma e autosufficiente, dove tutti i lavoratori hanno uno stipendio, circa 1500 dollari, triplo rispetto alla media russa e gran parte degli utili sono reinvestiti per infrastrutture, migliorie tecnologiche per la coltivazione, servizi scolastici e sanitari, tempo libero per i lavoratori e le loro famiglie.
Il compagno Grudinin guiderà la coalizione comunista formata da KPRF (Partito Comunista della Federazione Russa) e il Left Front, sostituendo un gigante della storia comunista post sovietica come Gennady Zyuganov, per 4 volte candidato alla presidenza dal 1996 (dove per poco non vince contro Boris Eltsin) e oggi 73enne segretario del partito.
Per fermare lo strapotere di Vladimir Putin i comunisti non potevano non portare al popolo russo un programma fortemente radicale ma non meramente nostalgico. Ecco alcuni punti in estrema sintesi:
– La Crimea è russa e tale rimarrà
– Nazionalizzazione delle risorse nazionali
– Russia rispettata a livello internazionale
– Un’ideologia che unisca i nostri alleati
– Nessuna risposta alle provocazioni ucraine
– Dare la priorità ai colloqui di pace nei conflitti
– Internazionalismo come meta
– Incentrare le politiche della Russia nelle questioni interne per creare benessere e ricchezza per il popolo russo
– Condizione dei pensionati migliori di quelle in Germania
– Unità dell’opposizione di sinistra
– Tassazione progressiva
– Trattenere i capitali nel paese
– Più libertà per le piccole e medie imprese come in Cina
– L’URSS era un grande paese e la sua caduta un tradimento
– Giustizia sociale
– Sanità e istruzione gratuite e garantite
– Lavorare sugli errori fatti in URSS
– Eguaglianza nel sistema giudiziario, tutti sono uguali di fronte alla legge
– Restituzione dei soldi da parte degli oligarchi in Russia
– Continuità rispetto al presente in politica estera
– Rendere la Russia migliore della Cina
Un programma di tutti rispetto, con obbiettivi grandi e ambiziosi che tengono pienamente conto della realtà del paese, in tutte le sue sfaccettature. Non c’è “nostalgismo” da accatto o da autocelebrazione, al contrario c’è la consapevolezza che il socialismo in Russia non è solo possibile ma che per essere tale deve evolvere ad un livello più alto, adatto alla società in cui i comunisti vivono e lavorano.
La Cina presa come esempio e obbiettivo da raggiungere è una scelta coraggiosa, non di facile portata che si congiunge con l’altro grande traguardo, quello dell’internazionalismo, quello che rese l’Unione Sovietica faro delle liberazioni dal colonialismo in Africa e delle potenti Rivoluzioni in Asia e Sud America.
Giustizia sociale, sanità e istruzione gratuite, benessere e ricchezza redistribuita equamente a tutto il popolo russo erano nella patria dei Soviet diritti inalienabili, acquisiti e intoccabili, strappati via dalla insaziabile sete di distruzione e profitto del capitalismo che negli anni ’90 aveva trasformato la Russia in un paese del terzo mondo. Se la maggioranza dei russi, in estrema controtendenza con il primo periodo dopo la caduta del Muro, ritornerebbe volentieri al socialismo un motivo ci sarà e si trova proprio in queste rivendicazioni.
Putin lo sa bene e da anni sfrutta la nostalgia per l’URSS a suo favore, utilizzandola perlopiù in ottica militare e nazionalista. A quale russo non manca quella superpotenza che terrorizzava gli Stati Uniti e la NATO? I sondaggi dicono molto pochi (forse a Navalny e accoliti liberisti).
Non è un caso che la politica estera, molto sovietica, portata avanti dall’ex capo del KGB piaccia ai comunisti che senza nascondersi si propongono per portarla avanti e magari di “sovietizzarla” ancora di più. Crimea, Ucraina, Medio Oriente nel paese che più di tutti ha subito vittime e attentati terroristici sono argomenti caldi e la faranno da padroni nel dibattito elettorale.
Nell’anno del centenario dell’Assalto al Cielo i comunisti ribadiscono con forza e potenza che il socialismo in Russia è una necessità storica, forse ancor di più che nel 1917. Il Sovchoz “Lenin” è lì a dimostrarlo, Putin ha dinanzi a sé l’unica vera opposizione al suo potere che, sebbene abbia risollevato la Russia dall’inferno eltsiniano, è ancora lungi dal riportare nella nazione che ha sconfitto il nazismo la pace e il pane con i quali Lenin fece la Rivoluzione, con gli oligarchi che ancora infestano il paese, pronti a derubare ogni rublo rimasto dalle tasche del popolo russo.
Un direttore di una “fattoria di stato” contro uno degli uomini più potenti e influenti del mondo, un’impresa titanica. Ma si sa, le vie facili ai comunisti non sono mai piaciute.
di Nicolò Monti, Segreteria Nazionale FGCI
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