di Giovanni Spadolini - “La Voce Repubblicana”, 24-25 maggio 1984


“Il concetto della Giovine Europa, io l’avevo già da gran tempo; da quando io cacciavo le basi della Giovine Italia”. Sono queste parole di Giuseppe Mazzini, in una delle più significative lettere raccolte nell’ “Epistolario”, a testimoniare come il repubblicanesimo sia nato europeista. Secondo quel nesso inscindibile fra l’idea di Repubblica e l’idea d’Europa che ha segnato per intero il lungo e tormentato corso della scuola democratica: dagli albori del Risorgimento nazionale alla fine dell’istituzione monarchica, in quel 2 giugno 1946 che ha aperto un nuovo orizzonte alla vita pubblica del nostro paese. E che ha consentito un sempre maggiore inserimento della democrazia italiana in una più vasta democrazia europea; anche e soprattutto attraverso le battaglie repubblicane per un’Italia “migliore” che si sottraesse in modo definitivo a quelle suggestioni nazionaliste, autarchiche ed autoctone che tanta parte ebbero nella tragedia della dittatura.
Dalla “Giovine Italia” alla “Giovine Europa” – un triennio, 1831-1834, che vide affermarsi il principio della sovranità popolare, nazionale ed europea, oltre il moderatismo della stessa Carboneria – l’europeismo repubblicano compì i suoi primi passi. In una linea direttrice proiettata verso un’alleanza dei popoli europei che fosse la più efficace e tempestiva risposta a quella “Santa Alleanza” che era stata realizzata dalla diplomazia di Metternich, con l’esplicito obiettivo di soffocare, sul nascere, un’Europa fondata sugli ideali di libertà e di umanità. Non meno che su un amore per la patria, vissuto come amore per tutte le patrie: secondo quel fervore nazionale che in tutto il Risorgimento, mai sarebbe stato fervore nazionalista.
Ecco perché il 15 aprile 1834, data solenne del patto di “fratellanza” fra Giovine Germania, Giovine Polonia e Giovine Italia, l’idea di democrazia è divenuta tout court un’idea europea: centocinquant’anni fa è nato a Berna quel programma repubblicano per un’Europa dei popoli, che Carlo Cattaneo avrebbe poi chiamato “Stati Uniti d’Europa”. Un’Europa fondata su istituzioni insieme democratiche e sovranazionali che, un secolo dopo, brillerà, quasi a cancellare le tenebre della barbarie hitleriana, con il manifesto federalista di Ventotene, moderno anelito alla federazione europea che Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli manifestarono, secondo una prospettiva ideale e politica che presto si sarebbe unita al migliore filone azionista, filone esso stesso risorgimentale, perfino nella vibrazione, nella cadenza della testata gloriosa.
Repubblicanesimo e federalismo europeo. Questo fondamentale binomio ritorna oggi con l’Antologia sull’Europeismo repubblicano, edita per i tipi di “Archivio Trimestrale”: la “rassegna di studi storici sul movimento repubblicano” che ormai da lunghi anni è integralmente e appassionatamente dedicata a ricostruire la storia dell’antico e glorioso partito repubblicano. Non senza approfondire quei filoni ereticali, filoni di minoranza laica, che confluiscono nel più ampio disegno del “partito della democrazia”.
In cinque sezioni sono raccolti i più significativi brani europeisti dei più rappresentativi protagonisti delle battaglie repubblicane dell’800 e del ‘900: fino ai nostri giorni, che sono giorni di rinnovata sfida federalista. Dopo che il Parlamento europeo ha votato il trattato istitutivo dell’ “Unione europea”. Primo passo verso un governo europeo.
L’Antologia non poteva non aprirsi con Giuseppe Mazzini: il grande apostolo del repubblicanesimo che torna attraverso il suo antico Appello ai patrioti svizzeri, primo atto della “Giovine Europa”, e con un “frammento” de “La lega internazionale dei popoli”: scritto nel 1849, volto a un “Patto di eguaglianza” fra i popoli europei (e senza mai dimenticare il mirabile scritto “D’una letteratura europea” uscito sull’ “Antologia” del 1829 con quello pseudonimo rivelatore e lampeggiante, “Un italiano”).
Dopo Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, “il più genuino dei nostri federalisti del passato”. Secondo l’emblematica definizione di Norberto Bobbio. “Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa”: è il titolo del brano cattaneano, scritto durante le cinque giornate di Milano. Con l’auspicio che il “principio morale dell’uguaglianza e della libertà” potesse costituire il punto di incontro delle nazioni europee.
Giuseppe Garibaldi, Alberto Mario, Giovanni Bovio e Aurelio Saffi completano le origini dell’europeismo repubblicano. Origini di cui resterà traccia nell’intera battaglia antifascista del movimento repubblicano. Quando gli anni della dittatura furono gli anni dell’anti-Europa: con la negazione di quegli ideali di tolleranza e di umanità che sempre erano stati inscindibili dalla civiltà europea: “l’Europa raisonnable” di Voltaire. Come subito sottolinearono Carlo Rosselli, Silvio Trentin, Egidio Reale, Alberto Tarchiani.
Fra i martiri repubblicani della guerra di Spagna ritroviamo un intransigente europeista che a lungo aveva collaborato ai “Quaderni di Giustizia e Libertà”: Libero Battistelli. L’uomo che sempre legò il tema della pace al tema dell’Europa.
Europa e pace; Europa e libertà. Alla vigilia e nei primi mesi della Resistenza al nazifascismo, i “mazziniani” che militavano nelle file del Partito repubblicano o nelle file del Partito d’azione, in un intreccio e interscambio di esperienze fra le due fondamentali componenti della sinistra democratica, non rinunciarono all’obiettivo dell’Europa unita: quell’obiettivo ritornò con due progetti repubblicani. L’uno volto a una “Costituzione confederale europea” e scritto fra il ’42 e il ’43 da Duccio Galimberti e Antonino Repaci. L’altro, proiettato verso l’ “Unione federale europea” nel ’43, con la firma di Mario Alberto Rollier.
“Il problema fondamentale storico che fermenta e scaturirà dal presente conflitto – scrivevano Galimberti e Repaci mentre la guerra di Hitler e di Mussolini cominciava a segnare il passo – non riguarda più il rapporto di potenza fra Stati e nazioni, ma sarà di carattere continentale, europeo”.
E Rollier apriva il suo “Schema” di Costituzione federale con un preambolo significativo: “Noi, popoli dell’Unione Federale, allo scopo di stabilire fra noi vincoli di solidarietà e di fratellanza perpetue, di garantire ad ogni uomo e donna i benefici di un’ugual libertà ora e in futuro, di promuovere il benessere generale, di stabilire la giustizia, di perpetuare il governo del popolo, per il popolo, attraverso il popolo, nel nome dell’egual diritto di ogni uomo di contribuire al governo di tutti, stabiliamo e ordiniamo questa Costituzione dell’Unione Federale Europea”.
Due progetti, Galimberti-Repaci e Rollier, che si univano al “manifesto di Ventotene”: in una comune linea democratica ed europeista. Una linea direttrice alla quale appartiene anche gli Stati Uniti d’Europa: il saggio scritto da Ernesto Rossi nel ’44, per le Nuove edizioni di Capolago. Le edizioni dell’emigrazione antifascista a Lugano.
Dall’europeismo antifascista all’europeismo degli anni della ricostruzione.
Nell’immediato dopoguerra sono Luigi Salvatorelli e Guido De Ruggiero, editorialisti ed elzeviristi della “Voce Repubblicana”, a proseguire la battaglia europeista e federalista del PRI: quando la politica imperiale di Stalin smentirà subito il sogno di una completa riunificazione del Vecchio Continente sotto la guida di istituzioni libere e sovranazionali. Con la conseguenza che solo l’Europa occidentale rimarrà fedele alle antiche tradizioni democratiche: attraverso quel Patto Atlantico che farà parlare di “rivoluzione atlantica” fra le due rive dell’Oceano.

La scuola federalista

Sono gli anni in cui nasce il nesso fra europeismo e atlantismo, senza pregiudicare il tentativo, sia pure paziente e graduale, di un’Europa “terza forza” fra le due superpotenze. Terza forza – scrive Salvatorelli – “per l’autonomia e l’indipendenza dai blocchi”: un obiettivo peraltro reso sempre più lontano in quel 1948 che fu segnato dal colpo di stato filo-sovietico di Praga. E da allora il tema dell’unità europea è divenuto il tema dell’Europa occidentale: attraverso quel processo di integrazione che è nato con il Consiglio europeo – la prima istituzione sovranazionale del vecchio continente per cui tanto si batté Carlo Sforza – e che ha avuto un suo momento fondamentale con l’avvento del parlamento europeo ad elezione popolare. Un Parlamento di tutti gli europei che dovrà sempre più costituire il fondamentale punto di riferimento del progetto federalista.
In questo trentacinquennio di iniziative e di realizzazioni europeiste, il contributo repubblicano non è mai venuto meno. L’europeismo repubblicano ha sempre considerato un tutt’uno economia e istituzioni, nel processo di integrazione europea. Secondo quanto sottolineò durante il dibattito parlamentare sulla ratifica dei trattati di Roma, Ugo La Malfa.
Con la nascita delle istituzioni della Comunità europea, “finalmente – disse il leader repubblicano il 23 luglio 1957 – noi usciamo dalla politica per settori, ed entriamo nella visione e nella concezione totale del problema del mercato comune, cioè della riorganizzazione strutturale dell’economia europea in tutte le sue ramificazioni e manifestazioni. Noi andiamo al cuore del problema economico dell’Europa…”.
Ecco: fin dal primo momento dell’integrazione comunitaria, i repubblicani hanno sottolineato che l’Europa economica non sarebbe mai nata senza l’Europa politica. Perché il problema fondamentale della battaglia europeista era, ed è ancora oggi, il problema di creare una volontà politica comune del vecchio continente: attraverso quelle istituzioni sovranazionali che sono scaturite dai trattati di Roma ma che dovranno essere completate e riformate lungo la prospettiva, sia pure lunga e difficoltosa, dell’Europa federale fondata su un governo europeo.
Oggi più che mai, dopo il fallimento dell’Europa mercantile, dobbiamo recuperare quella spinta ideale a un’Europa “diversa”; un’Europa non più semplice area di libero mercato ma soggetto politico attivo nelle relazioni internazionali.
È il momento del ritorno a una prospettiva non mercantile, non economicista ma essenzialmente politica. Per questo ritorno alla politica europea noi repubblicani abbiamo tutte le carte in regola. Noi repubblicani che siamo sempre stati insieme partito europeista e partito federalista. Lungo quel filone politico che è riuscito a fondare l’insegnamento mazziniano e cattaneano con l’esperienza di Ugo La Malfa: l’uomo in cui il senso della missione italiana, come missione di progresso e di sviluppo, ha avuto tanta parte per l’ingresso della democrazia italiana nella comunità europea e nella connessa comunità atlantica.
E in base a questi precedenti che sono frammenti d’una storia vivente e non solo di storia vissuta, il partito repubblicano ha seguito, con appassionato e peculiare interesse, l’intera iniziativa intrapresa dal Parlamento europeo per la redazione di un nuovo trattato istitutivo dell’Unione europea: cui ha contribuito il collega Visentini, con tutto il “club” del Coccodrillo. Nella consapevolezza che l’iniziativa dell’Assemblea di Strasburgo, se condotta fino in fondo, come è poi avvenuto il 14 febbraio 1984, avrebbe prodotto nuovi e positivi risultati. Verso l’Europa sovranazionale.
Per noi il federalismo è parte irrinunciabile di una visione dell’Italia e dell’Europa, nell’interdipendenza di tutte le libertà. Per noi l’integrazione europea coincide con la garanzia della nostra essenziale collocazione nell’Occidente democratico, e quindi con la via del risanamento economico.
L’Italia ha bisogno di un’Europa unita, saldo punto di riferimento contro tutte le avventure del sottosviluppo e della regressione, secondo una visione progressista della società industriale avanzata.
Solo la scelta europea può metterci in condizioni di preservare le conquiste e gli avanzamenti di questo trentacinquennio repubblicano. Siamo il settimo paese maggiormente industrializzato del mondo, e dobbiamo difendere a tutti i costi questa collocazione, che non ci è elargita da nessun brevetto e tanto meno da nessun diritto divino. E non si identifica con un obiettivo ottenuto una volta per sempre.
Vogliamo un’Europa politica. E una politica europea in modo inevitabile ripropone quel tema che non è stato certo cancellato con la prematura fine della CED: il tema della difesa europea, cui contribuirono Gaetano Salvemini e Randolfo Pacciardi con una significativa serie di proposte oggi di nuovo attuali. Nel momento in cui occorre lavorare per una comunità di difesa fondata, in Europa, sul recupero delle armi convenzionali e sulla loro standardizzazione come processo produttivo. Perché proprio la prospettiva, per la quale i repubblicani continuano a battersi, della riduzione delle armi nucleari al livello più basso riproporrà un tipo di difesa convenzionale che nessun paese europeo può sostenere da solo.
Governo europeo e difesa europea: ecco i due grandi obiettivi del federalismo repubblicano degli anni ’80 e ’90. In una linea di continuità con un glorioso passato; ma anche con la consapevolezza che l’Europa di domani dovrà finalmente superare le insufficienze e i limiti della Comunità europea: confermato da Atene ma anche da Bruxelles. La sfida per l’Europa è una sfida che non possiamo perdere.


Giovanni Spadolini



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