Venezia: dure polemiche sul conflitto di interesse del sindaco Brugnaro


(immagine del terreno al centro delle polemiche)


La storia nasce nel 2005, quando la zona “iI Pili” era solo un’area inquinata di Marghera, che necessitava di bonifiche molto onerose - per 35 milioni, non ancora saldati - e che non interessava a nessuno.
Quando nell’ottobre di quell’anno venne ceduta, l’allora sindaco-filosofo Massimo Cacciari se ne rallegrò, benedicendo l’apporto di quei capitali: «Ci sono occasioni straordinarie da usare al meglio - affermava -, noi non abbiamo più un centesimo, quindi dobbiamo lavorare fianco a fianco con i privati. Vogliamo concordare un progetto per garantire alla città un punto di snodo e di servizio, con parcheggi e viabilità, per l’area di San Giuliano e per il parco scientifico e tecnologico».
Quel privato era, però, Luigi Brugnaro, che da due anni e mezzo è il primo cittadino. E oggi vuole trasformare quella zona - sulla destra, all’imbocco del ponte della Libertà - nella “Porta di Venezia”, un progetto faraonico che prevede attività commerciali, servizi e, soprattutto, il nuovo palazzetto dello sport da diecimila posti, per il quale serve una corsa contro il tempo, perché la Federbasket non concederà più deroghe all’utilizzo di strutture non idonee alla serie A.
Un conflitto di interessi che spacca la città, invelenisce le opposizioni. Resta il tema: è opportuna, ammesso sia legale, la spinta d’un sindaco a costruire sul suo terreno di proprietà un palasport che dovrebbe aprire un varco per costruire poi nei dintorni, accusano i nemici del progetto, «un albergo da 700 camere, un centro commerciale, una casa di riposo di lusso per anziani, villette e il casino spostato da Tessera»?
Sì, risponde lui. Non dicevano forse Vittorio Valletta e Gianni Agnelli che «quel che fa bene alla Fiat fa bene anche all’Italia» o Silvio Berlusconi che «quel che fa bene a Mediaset fa bene anche al Paese»? Lui, il figlio di un operaio di sinistra e di una maestra, laureato in architettura e capace di strappare due anni e mezzo fa la città alla sinistra, pare convinto: gli interessi suoi e quelli di Venezia, vedi coincidenza!, coincidono. Al centro della polemica, come è noto, ci sono 44 ettari di terreno abbandonato a destra del Ponte della Libertà andando verso Venezia. Un terreno che apparteneva allo Stato e che lo stesso Brugnaro comprò nel 2006, quando faceva solo l’imprenditore e pareva non avere mire politiche, per cinque milioni. Unica offerta: «Ma i soldi bisognava averli». In origine doveva essere destinata a «Verde Urbano Attrezzato», come le vicine aree del Parco San Giuliano. Poi hanno cominciato a farsi largo altre ipotesi. Più ambiziose. Come quelle esposte nello studio dell’architetto Luciano Parenti. Già in campagna elettorale, quando il futuro sindaco spiegava d’aver comprato quegli ettari «perché non finissero in mano ai soliti speculatori milanesi o romani (li gestirò quando avrò finito di fare il sindaco») il tema è diventato sempre più rovente. Fino a deflagrare un mese fa quando Nicola Pellicani e Andrea Ferrazzi, del Pd, nella scia d’una dura opposizione e di una serie di «voci» sugli appetiti lagunari di Ching Chiat Kwong, chiesero in un’interrogazione se questo celebre magnate di Singapore avesse fatto davvero un’offerta per l’acquisto dell’area per una cifra esorbitante: da 150 a 200 milioni di euro. O addirittura, sospettano Giovanni Pelizzato (lista civica Casson) ed Elena La Rocca (M5S), oltre 360. Un affarone, per un terreno che ne era costati cinque. «Vergognatevi! È un modo oltraggioso e diffamatorio di affrontare le questioni!», tuona «Gigio» Brugnaro nel consiglio comunale convocato dagli oppositori (13 contro 23 a destra) raccogliendo le firme. E accusa: «Sono cose che fanno scappare gli investitori». Giura: «Bastava una telefonata! Non occorrevano le firme! Comunque è l’occasione per dare un parere pubblico e un’indicazione chiara in primis ai proprietari dell’area». Voce dal pubblico: «Ma se el paron ti xe ti!»
Sia chiaro, il sindaco Brugnaro ha provato a risolvere il problema “mettendoci una toppa” .Brugnaro infatti risponde alle critiche affermando “Ho costituito, per primo, un “blind trust” dove sono state fatte confluire tutte le azioni delle aziende che possedevo e che saranno gestite da un trustee newyorkese, l’avvocato Ivan A. Sacks». Il tutto «per distaccarmi completamente dalle mie aziende». La soluzione del “blind trust” però non è per nulla ritenuta sifficiente dalle opposizioni e i consiglieri comunali Felice Casson e i grillini la contestano affermando che un «fondo cieco» può andar bene «per la gestione di azioni ma lui, il sindaco-padrone, sa benissimo che qualunque cosa faccia quei terreni sono suoi».«Il trust viene usato nel mondo anglosassone per le sole proprietà mobiliari, che sono per antonomasia volatili – affermano i piddini -: per gli immobili non è efficace. Del resto sarebbe miracoloso - o forse preoccupante per la sua salute - che poche settimane dopo aver costituito questo tipo di amministrazione dei propri beni, il sindaco si fosse già scordato di possedere quell’area, quando sarà chiamato ad approvare la variante al piano regolatore».
Cosa nascerà ai Pili lo ha spiegato, nei giorni scorsi, Giuseppe Venier, manager che guida da amministratore unico la società conferita nel blind trust, ossia la LB Holding, ma che è anche amministratore delegato del gruppo Umana, leader nella somministrazione di lavoro interinale, cioè l’idea geniale di Brugnaro, un colosso da 600 milioni d’euro di fatturato, 1.200 dipendenti e più di 20 aziende. Oltre al palazzetto - che ospiterà anche concerti e altre attività di svago, in modo da renderlo economicamente sostenibile -, ci saranno parcheggi, darsene, piazze, attrezzature commerciali, attività ricettive e verde urbano.
La provenienza dei soldi? Si fa il nome di Ching Chiat Kwong, l’imprenditore di Singapore che sta trasformando le sponde del Tamigi, a Londra, con un investimento da 320 milioni di dollari. Ma altri magnati della finanza e dell’edilizia sarebbero già in fila per assicurarsi un posto sulla “Porta di Venezia