Intervista a Giuseppe Galasso – Da G. Galasso, “La democrazia da Cattaneo a Rosselli”, Le Monnier, Firenze 1982, pp. 15-19.


D. – La democrazia di Cattaneo aveva ad oggetto le istituzioni, i diritti civili, l’esplicazione della libertà; quella di Mazzini prendeva le mosse da una esigenza che concentrava la sua attenzione sulle idee di riscatto popolare, di superamento dell’antitesi fra capitale e lavoro. Quale delle due concezioni ha maggiormente caratterizzato le battaglie politiche che hanno condotto allo stato democratico?

R. – Non farei distinzione di importanza tra le dune linee. È verissimo che c’è in Cattaneo una forte accentuazione del carattere fondamentale dei problemi istituzionali dei diritti civili. La sua è una concezione della libertà come condizione sociale fondata su precise garanzie istituzionali. Da questo punto di vista, il pensiero di Cattaneo ha una frequenza di modernità di cui ci siamo accorti solo nel nostro secolo, un secolo dopo che Cattaneo veniva organizzando le sue riflessioni. Ed è vero altrettanto che c’è in Mazzini una fortissima accentuazione dei problemi sociali. Da questo punto di vista non c’è neppure dubbio che il pensiero di Mazzini sia sostanzialmente allineato con gli interessi della sua e della nostra epoca, con una capacità di andare oltre le circostanze immediate nel modo come la questione sociale viene da lui prospettata.
E, infatti, quando, ai giorni nostri, sentiamo parlare di politica dei redditi, di austerità e di altre impostazioni di questo genere, il nostro pensiero non può non rifarsi in qualche modo anche alle impostazioni di Mazzini. Perciò ritengo che tra le due concezioni non si possa fare una precisa gradazione di influenze. Però, anche se, da un punto di vista esteriore, il peso della questione sociale è stato ed è tale da conferire ad essa, alla prima apparenza, una incidenza superiore ad ogni altro problema della nostra epoca, proprio la realtà dei nostri tempi ci ha fatto percepire fino a quale punto i problemi istituzionali siano lontani dall’essere problemi formali ed investano, invece, la realtà della convivenza.
Certo è che, dopo tanti decenni di vilipendio delle libertà democratiche come libertà borghesi e puramente formali, dappertutto si avverte il bisogno del ritorno ad una concezione più sostanziosa, oltre che più sostanziale, della forma della convivenza politica e della loro importanza. Da questo punto di vista, seppure con un qualche ritardo rispetto alla prospettiva storica del nostro tempo, il peso dei problemi istituzionali ha finito col non apparire inferiore a quello dei problemi di natura sociale.

D. – In una intervista Bobbio sosteneva che il pensiero di Cattaneo era espressione degli ideali della borghesia lombarda. Di che cosa è espressione il pensiero di Mazzini?

R. – Io credo poco alla possibilità di legare organicamente e in maniera definita un pensiero con una classe sociale. Non c’è dubbio che Bobbio ha ragione nel dire che il pensiero di Cattaneo matura all’interno degli interessi e della capacità di riflessione che sono proprio degli ambienti borghesi lombardi del suo tempo. Ma se noi pensiamo che c’è in Cattaneo una polemica fortissima contro l’unitarismo, contro l’accentramento, a favore dell’autogoverno locale, a favore dei diritti civili, quando riflettiamo che tutti questi punti sono fondamentali per il pensiero di Cattaneo, ma non lo sono altrettanto per tutto il pensiero “borghese” del suo tempo, ci accorgiamo anche che la definizione di “borghese” è troppo generica per significare qualche cosa di molto pregnante.
Credo difficile anche affermare che ad un pensiero “borghese” si è opposto un pensiero “non borghese”, se per pensiero “non borghese” si intende la tradizione socialista e per pensiero “socialista” il superamento delle condizioni “borghesi”. In realtà anche l’elaborazione “socialista” degli stessi moduli propri avviene all’interno del pensiero “borghese”: ne sono borghesi i portatori, gli esponenti, gli elementi concettuali adoperati. Quello che noi definiamo come pensiero “borghese” è, in ultima analisi, il pensiero europeo moderno, e non c’è da stupirsi che all’interno di questo sia maturato tanto quello che noi definiamo pensiero “borghese” quanto quello che definiamo “non borghese”. Le stesse cose valgono per Mazzini.
C’è però un punto in cui Mazzini diverge profondamente da Cattaneo: ed è il ruolo del capitale nell’organizzazione della società. Mentre per Cattaneo non c’è dubbio che ci troviamo di fronte ad un pensiero essenzialmente liberistico, fondato quindi sul gioco fisiologico del capitale nella società, per Mazzini siamo di fronte ad una consapevolezza assai aperta dei limiti del capitalismo, non in quanto fenomeno economico, intendiamoci, ma in quanto fenomeno sociale. Su questo piano Mazzini sta in posizione notevolmente più avanzata e la sua formula del “capitale e lavoro nelle stesse mani” appare oggi anch’essa particolarmente attuale.

D. – Si può parlare di un programma o di una teoria mazziniana? O non è più corretto parlare di alcune idee forza che agli altri tocca sviluppare?

R. – Anche se l’organicità non è uno dei punti forti di Mazzini, credo si possa parlare di una “teoria” mazziniana. Bisogna, però, anche perseguire l’analisi e la ricostruzione storica della “teoria”. Dal punto di vista storico, si vede che la “teoria” fu tutt’altro che rigida e data da Mazzini una volta per tutte. Al contrario, essa seguì con notevole duttilità le diverse fasi dell’azione di Mazzini e il mutare delle circostanze in Italia e in Europa.

D. – Mazzini fu solo un cospiratore romantico o anche un politico realista?

R. – Quella di Mazzini come cospiratore romantico è una concezione ormai superata. Era una interpretazione che ne veniva data da destra e da sinistra per farlo apparire come un sognatore con la testa fra le nuvole, un uomo fuori del suo tempo, al quale si poteva riconoscere grandezza morale, ma non pregnanza politica e capacità concreta. Ciò non è vero. A Roma nel 1849, e poi dal 1860 al 1872, quando si venne formando il movimento operaio italiano, Mazzini diede, invece, prova di essere proprio un grande agitatore ed organizzatore politico.

D. – Il suo misticismo gli ha procurato molti nemici, e fatto sì che molti dirigenti repubblicani sono molto restii a leggerlo (o tenaci nel non leggerlo). Qual è la funzione della religione in Mazzini?

R. – Io non parlerei di misticismo di Mazzini, anche se c’è un atteggiamento religioso e quasi confessionale nel suo pensiero. Questo è, comunque, uno degli aspetti del suo pensiero, su cui il tempo ha calato un velo più spesso: è la sua parte che non può non apparire come la più caduca.

D. – I rapporti tra Mazzini ed il socialismo utopistico.

R. – Si parlava, una volta, di “sinistra romantica”, che era una bella e giusta definizione. I cosiddetti “socialisti utopisti” ne facevano parte, così come Mazzini. Poi i marxisti designarono se stessi come “socialisti scientifici” e fecero cadere nel dimenticatoio gli “utopisti”. A loro volta i conservatori e liberali usciti vittoriosi dalle lotte della metà dell’‘800 fecero altrettanto coi democratici del tipo di Mazzini. La somiglianza della vicenda non è senza ragione. Sia gli “utopisti” che i “democratici” avanzavano istanze assai vicine, e anzi identiche nella loro ispirazione, sui problemi della giustizia sociale, della libertà nelle sue dimensioni etiche e sociali (Saint-Simon parlava di un “nuovo cristianesimo”), della necessità di non rassegnarsi né all’individualismo né al collettivismo, dell’autogestione e così via. Tutti punti che non a caso sono tornati, dopo un secolo, di grande attualità.

D. – Ha senso, oggi, dirsi mazziniani?

R. – In senso dottrinario, credo di no. In sento etico e politico, credo di sì. L’ispirazione morale della politica, l’affermazione dei doveri accanto a quella dei diritti, l’esigenza di una “terza via” espressa con la formula “capitale e lavoro nelle stesse mani”, la sensibilità alle esigenze di costruzione e realizzazione della personalità come scopo ultimo della vita civile, la percezione profonda dell’importanza determinante delle realtà nazionali e del fenomeno “nazione”, lo sforzo di costruire un concetto di “popolo” come alternativo a quelli di “classe” e di “individuo” sono alcuni elementi di quella che, convenzionalmente, possiamo definire come “attualità” di Mazzini. Del resto, se ci riflettiamo, vediamo che non è possibile parlare di politica dei redditi, di austerità, di libertà dei popoli senza tener presente questa problematica mazziniana: l’ho già accennato. Questo è un segno eloquente di quella che si chiama “attualità”, ed è vero particolarmente in Europa e in Italia.