L’eredità di Oreste nel segno della sardità.
L’UNIONE SARDA. Domenica 25 febbraio 2018
Ha lottato cinque mesi senza perdersi d’animo nonostante sapesse bene di essere grave e che il cancro, quel tumore che gli aveva aggredito l’intestino, spesso, non da scampo. Ma voleva farcela, Oreste Pili. Fino alla fine, quando si è dovuto arrendere. Lui che per tutta la vita aveva scelto di combattere: contro le ingiustizie, la politica sporca, la cultura invadente che voleva sottomettere la sua terra, per il sardismo e l’indipendentismo che aveva abbracciato sin da quando, appena ventenne, si era convinto che valesse la pena impegnarsi per salvare l’Isola, la sua lingua. Appunto la sua cultura. Si era messo a studiare, approfondire le sue conoscenze. Bisticciando quando ne valeva la pena, con i suoi avversari. Scontrandosi, quando lo riteneva giusto, anche contro gli stessi sardisti, a cominciare dall’amatissimo Mario Melis, uomo di spicco del Psd’Az diventato presidente della Regione.
LA TENACIA. Oreste pili è morto venerdì sul letto dell’hospital dell’oncologico. Aveva 65 anni faceva l’insegnante di Tedesco al Liceo classico di Villacidro ma il suo cuore, la sua intelligenza, la sua esistenza era da decenni dedicata alla lingua sarda di cui conosceva perfettamente varianti e regole. Aveva ricoperto un ruolo importante nell’istituzione del Comitato scientifico che avrebbe successivamente redatto le Arregulas po ortografia, fonetica, morfologia e fueddariu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua sarda. Regole adottate ufficialmente dall’ex Provincia di Cagliari nel 2010.
Chiamarlo al telefono, contattarlo per un commento, un giudizio, un suggerimento era pratica obbligatoria per tanti cronisti sardi. Rispondeva in limba, parlava in limba. E solo se si accorgeva che di sardo masticavi poco, solo allora la parola scivolava sull’italiano. Pronto a rientrare in quella comunicazione verbale che gli era più congeniale. Parlava il sardo, pensava in sardo.
LE TESTIMONIANZE. «La politica l’aveva abbracciata da giovanissimo», ricorda il sindaco Francesco Dessì. «Tra noi ragazzi degli anni settanta era l’unico, o uno dei pochi che viaggiava, andava all’estero». E all’estero aveva conosciuto Margaret, la sua compagna tedesca con cui, rientrato a Capoterra, viveva. Gliela strappò praticamente dalle mani il fiume, il Santa Lucia, uccidendola una maledetta mattina d’ottobre delll’86. Alluvione assassina. Erano andati Oreste e Margaret, in un terreno non lontano dal fiume, per dar da mangiare ai loro animali. L’onda di piena li investì mentre rientrano in paese.
Un dolore immenso. Atroce. Assopito solo quando conobbe e sposò Chiara, insegnante come lui, madre delle sue ragazze.
Oreste Pili, che negli anni Ottanta aveva portato a Capoterra il rock, promuovendo una serie di manifestazioni e raduni con gruppi che arrivavano da Cagliari, da altri centri dell’Isola e città della penisola («Non c’erano tanti soldi, i gruppi li ospitavamo nelle nostre case», racconta Francesco Dessì), aveva scelto di mettersi a disposizione del suo paese in un momento «buio e piuttosto difficile», racconta Dino Boero, l’amico di sempre che aveva poi sposato la sorella dell’indipendentista. Li aveva uniti l’assessorato all’Urbanistica, il più caldo degli anni Novanta, reso rovente da quello che a Capoterra viene ricordato come “il periodo delle bombe”. Dodici nuove lottizzazioni fermate dalla Giunta, un’immensa colata di cemento negata dagli amministratori che scatenò l’ira degli speculatori. Oreste Pili guidò l’Urbanistica, ereditata da Boero.
IL CARCERE. Preferiva, Oreste Pili, la cultura. Quella che tra il 1979 e il 1981 l’aveva portato in carcere insieme ai suoi compagni separatisti Salvatore “Doddore” Meloni, il docente universitario Gavino Piliu. A lui, uomo pacifico più dedito alla parola e al confronto che alla cospirazione, esponente dell’esecutivo del Psd’Az, fu inflitta una condanna a tre anni e quattro mesi. «Un arresto – ricorda Boero – che lasciò sgomenti i capoterresi che ben conoscevano il pacifico Oreste».
Sarà ancora assessore, Pili, nella prima legislatura Dessì. Non più dell’edilizia ma della Lingua sarda. La sua era una battaglia per il bilinguismo, per dare dignità alla Sardegna. Lo è stata fino alla fine. Insieme a Edoardo Blasco Ferrer, Amos Cardia, Stefano Cherchi, Anselmo Desogus e Giuseppe Pili ha scritto il dizionario fondamentale del Campidanese. La sua “ultima” opera, Is Fradis, racconta la storia di due fratelli, Peppino e Signor N. Un racconto breve scritto, in effetti, durante la detenzione per quella condanna subita nel 1981.
Andrea Piras