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Potenza, 25 feb – Un’opera mastodontica che come nessun’altra ha segnato lo sviluppo della Lucania, ovvero l’acquedotto dell’Agri. Miracolo ingegneristico portato a compimento nell’estate del 1937 dall’impresa Fratelli Del Fante e dai tecnici del Genio Civile: una portata di 7300 metri cubi di acqua al giorno per 300 chilometri di lunghezza, questa imponente quanto ambiziosa rete idrica ha donato l’elemento vitale per eccellenza alla popolazione delle province interne, segnando, di conseguenza, sviluppo e una più diffusa modernizzazione per oltre centomila persone: 29 sono infatti i centri in provincia di Potenza e di Matera che il primo acquedotto dell’Agri ha rifornito.

Il fascismo fece propria la pratica puramente romana del dominio delle acque e di conseguenza investì notevoli sforzi e risorse nella costruzione di simili infrastrutture, lo testimoniano le oltre due milioni di giornate lavorative impiegate per la rinascita della Basilicata: da terra paludosa e inospitale a regione fertile e produttiva. La dignità recata a quest’area del mezzogiorno oggi può forse sembrare scontata, ma ottant’anni fa non lo fu per niente. L’acqua significò agricoltura, igiene e lavoro, ecco perché per le comunità lucane questo avvento segnò un cambiamento epocale, un vero miracolo di opere murarie e idrauliche.

La maestosità di romana memoria per l’ingegneria e per l’architettura funzionale venne ancora applicata nel cippo terminale di Scanzano Jonico, inaugurato nel luglio del ’37 alla presenza dei Ministri Cobolli Gigli e Rosson e di oltre 200 mila abitanti. Due frazioni, sedici stazioni e numerose case coloniche beneficiarono di tale lavoro. Una colossale fontana-obelisco consacrata con un evento solenne per celebrare il completamento della condotta proveniente da Paterno. Una scritta in latino particolarmente eloquente venne impressa sul cippo di Scanzano: “Ave aqua, fons vitae, morbis inimica“. Un inno all’acqua, linfa vitale e indispensabile per ogni civiltà, ma anche un sigillo rituale tributato alla nuova sorgente artificiale lì eretta.

Una grande espressione estetica legata al funzionale si riscontra nei numerosi serbatoi disseminati lungo tutto il percorso dell’acquedotto dell’Agri, da quello a Pisticci (MT), a quello di Bernalda (MT), fino alla mirabile sorgente monumentale di Paterno (PZ), un serbatoio che nella sua maestosità appare come un memoriale o un luogo di culto. Effettivamente il Ventennio adattò attorno ogni sua opera, non solo artistica ma anche tecnica e infrastrutturale, una dimensione di profonda sacralità. L’efficienza unita a forme pulite e solenni creò una metafisica dell’aldiquà.

L’avvento della guerra, dei bombardamenti e la successiva incuria che ancora oggi perdura, son tutte calamità perfettamente riassumibili nello stato d’abbandono in cui versa il deposito tra Pisticci e Craco: tetto crollato e sterpaglie sulle pareti per una costruzione che nemmeno un secolo fa conobbe anni di bellezza e profonda dignità.

Alberto Tosi