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Discussione: la Repubblica romana

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    Predefinito la Repubblica romana

    La Comune di Roma tra democrazia e socialismo - micromega-online - micromega

    Lo storico Roberto Carocci ricostruisce nel suo ultimo lavoro – La Repubblica romana. 1849, prove di democrazia e socialismo nel Risorgimento – fasi e passaggi della più grande insorgenza rivoluzionaria nella città di Roma in età contemporanea.

    di Daniele D’Alterio

    L’esperienza prodromica e straordinariamente moderna della Repubblica romana è stata oggetto nel corso del tempo, fino agli anni più recenti, delle attente riflessioni degli storici[1] – che ne hanno analizzato, di volta in volta, le premesse teoriche, sociali, economiche, nonché le molte implicazioni e i diversi esiti politico-culturali – quando non delle rievocazioni, forse retoriche in taluni casi ma mai banali, d’un ceto politico che fino a qualche anno fa conosceva ed apprezzava le proprie radici, custodendo quindi gelosamente una memoria di cose passate che si sapeva sarebbero state nient’affatto inutili, men che mai “vecchie”, nella costruzione d’un qualsivoglia “futuro”[2].

    In un’epoca nella quale la stessa parola “Sinistra” appare difficilmente coniugabile, ormai quasi d’incerta derivazione, mentre le categorie di “democrazia”, “progresso”, “libertà”, “civismo” – quindi quelle, contrapposte, di “reazione”, “conservazione”, o magari “clericalismo” – perdono i loro significati tradizionali o ne assumono altri, ibridi, il merito d’un lavoro come quello di Roberto Carocci (La Repubblica romana. 1849, prove di democrazia e socialismo nel Risorgimento, Odradek, Roma 2017, 192 pp., € 20,00) è non solo la perizia documentaria, unita all’agilità espositiva e alla valorizzazione della storiografia già esistente – in particolare la memorialistica sulla Repubblica romana, oggetto d’una ricca appendice in questo suo volume – quanto piuttosto la capacità di ricordare in maniera sintetica il denso contesto storico-politico che, allo zenit del Risorgimento, incubò quest’esperienza innovatrice, alfine inaspettata nello Stato pontificio, consentendo così al lettore di ragionare attorno ai molti coefficienti che produssero la più grande insorgenza rivoluzionaria nella città di Roma in età contemporanea.

    Un carattere, pertanto, sapientemente divulgativo, grazie al quale il lettore è in grado d’orientarsi in un ambito che, troppo spesso, rimane appannaggio dei soli “specialisti”, dotandosi però al contempo di preziosi strumenti analitici con cui misurare l’effettivo grado di modernità della Repubblica romana e, soprattutto, la distanza più o meno siderale di quest’esperienza da quelle che, oggi, possono apparire le prospettive sociali, politiche ed economiche di chi si riconosce ancora in determinati ideali, dunque in percorsi – anche biografici, o volendo limitare il discorso alla sola città di Roma – ben precisi, con dinamiche otto-novecentesche davvero di lungo periodo.

    In tal senso, nel quadro d’una ricostruzione minuziosa degli eventi rivoluzionari, anche di quelli che fecero da premessa – nel grigio Ottocento post-napoleonico – alla breve affermazione della Repubblica, appaiono particolarmente interessanti alcune direttrici lungo le quali si muove il libro di Carocci e che sono altrettanti momenti storiografici di rilievo, nonché chiavi di lettura con cui provare ad interpretare quelli che lo stesso autore definisce «passaggi di modernità», e che a ben vedere si dipanano ulteriormente, in modo disomogeneo, lungo tutto il corso dell’età contemporanea, a Roma in Italia e in Europa: il carattere davvero di massa dell’esplosione rivoluzionaria romana di metà Ottocento, che fu perciò a tutti gli effetti un movimento popolare – e, si badi bene, per alcuni versi già “proletario” – corposo, l’esatto contrario insomma del trastullo d’una qualsivoglia élite più o meno borghese; il nesso inscindibile – sebbene problematico e costantemente irrisolto, non solo nello specifico del 1849 – fra “democrazia” e “socialismo”, dunque fra le ragioni d’un rivolgimento prevalentemente politico, giuridico, culturale ed un altro prevalentemente socioeconomico, senza il quale il primo diviene improbabile o addirittura inattuabile; la cruda arretratezza e perciò la natura pervicacemente reazionaria non tanto della società pontificia nel suo complesso – la quale, anzi, non compressa, seppe esprimersi con straordinaria freschezza e sorprendente originalità – quanto piuttosto della losca teocrazia che la opprimeva illo tempore, incapace com’era a produrre qualsiasi effettiva riforma del proprio assetto[3]; il forte legame di tutte le coeve esperienze politiche e delle successive, differenti ipotesi teorico-strategiche – Mamiani, Garibaldi, i “triumviri”, eccetera, fino a Pisacane – che presero in qualche modo le mosse dalla Repubblica del 1849, con l’incredibile vitalità, dunque col protagonismo d’un segmento consistente della società romana e dell’intera Italia centrale, in assenza dei quali diviene problematico spiegare fatti storici e prospettive politiche; la necessità, infine, d’inquadrare la fulminea affermazione della Repubblica in un contesto europeo, il solo che possa aiutarci a comprendere sia l’afflato universalistico della Costituzione del 1849, sia l’afflusso di militanti stranieri ed autentici foreign fighters a difesa di quella che per un attimo fu la “capitale sovversiva” d’Europa, sia però l’imponenza della risposta controrivoluzionaria, dovuta non solo a sovrastanti cause geopolitiche, pure ineludibili, ma anche al grande spavento procurato alle monarchie e alle autocrazie dell’epoca da un’esperienza strutturalmente transnazionale come quella romana del 1849, e che minacciava di tracimare in regioni considerate impermeabili alla predicazione “giacobina”.

    In tutti questi passaggi, senz’altro complessi, nient’affatto univoci sul piano interpretativo, l’autore sembra muoversi correttamente, dedicando inoltre uno spazio adeguato alla dimensione biografica dell’analisi, e riportando così “in vita” figure – ad esempio quella di Giuseppe Barilli alias Quirico Filopanti, di cui Carocci riproduce, a pp. 96-125, un suggestivo estratto dalla Storia di un secolo dal 1789 ai giorni nostri, un’opera questa in quattro volumi, del 1891 – forse dimenticate dall’odierno immaginario popolare o strettamente sovversivo, apparentemente obsolete e che invece grazie a questo volume dell’editore Odradek scopriamo, o meglio riscopriamo incredibilmente attuali, quasi familiari, legate a doppio filo ad una storia che è senz’ombra di dubbio la nostra e sulla quale non appare quindi desueto tornare a soffermarsi.

    NOTE

    [1]Ci limitiamo a segnalare in questa sede alcuni tra i principali studi dell’ultimo trentennio: Franco Rizzi, La coccarda e le campane: comunità rurali e Repubblica romana nel Lazio (1848-1849), Franco Angeli, Milano 1988; Domenico Demarco, Pio IX e la rivoluzione romana del 1848. Saggio di storia economico-sociale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992; Roberto Balzani-Michel Ostenc-Sauro Mattarelli, Politica in periferia: la Repubblica romana del 1849 fra modello francese e municipalità romagnola, Longo, Ravenna 1999; Laurent Reverso, La République romaine de 1849 et la France, Harmattan, Paris 2008; Marco Severini, La Repubblica romana del 1849, Marsilio, Venezia 2011; Brunella Diddi-Stella Sofri, Roma 1849: gli stranieri nei giorni della Repubblica, Sellerio, Palermo 2011; Giuseppe Monsagrati, Roma senza il Papa. La Repubblica romana del 1849, Laterza, Roma-Bari 2014 e Id., La primavera della Repubblica. Roma 1849: la città e il mondo, La Lepre, Roma 2016.

    [2]Anche in tal caso, fra i tanti, ci piace ricordare almeno Giovanni Conti, La Repubblica romana del 1849: studio storico-politico, Libreria Politica Moderna, Roma 1920; nonché Ivanoe Bonomi, Mazzini triumviro della Repubblica romana, Einaudi, Torino 1936 e Id., L’Assemblea Costituente della Repubblica Romana 1849, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma 1958.

    [3]Lo stesso Giuseppe Gioachino Belli – che, pure, non sarà affatto tenero con la Repubblica romana e, in genere, con li ggiacubbini – qualche anno prima, nel 1834, in un celebre e controverso sonetto dal titolo L’arberone – per il quale cfr. Giuseppe Gioachino Belli, Sonetti, a cura di Pietro Gibellini, Garzanti, Milano 1991, pp. 442-443 – aveva metaforicamente trasformato lo Stato pontificio in un grosso albero, «solo ar Monno, e oramai tutto tarlato», che «fa erzu’ frutto oggni staggione / bello a vvede, ma ascerbo e avvelenato» e per il quale «un Carbonaro amico mio me disce / che nnun c’è antro che ll’accetta e ’r foco, / perché er canchero sta in ne la radisce». Su questi temi e, più in generale, circa l’ipotesi d’un “riformismo” belliano, interessante anche in relazione all’esperienza della Repubblica romana, cfr. fra i tanti il recente studio di Edoardo Ripari, L’accetta e il fuoco: cultura storiografica, politica e poesia in Giuseppe Gioachino Belli, Bulzoni, Roma 2010.

    (22 febbraio 2018)

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    Predefinito Re: la Repubblica romana

    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


    IL DISPUTATOR CORTESE

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