Russia e Italia. Le ragioni di una partnership
di Andrea Forti
ragionpolitica.it
venerdì 27 marzo 2009
A quasi un anno dalla vittoria elettorale del Popolo della Libertà e dalla formazione del quarto governo di Silvio Berlusconi è evidente che una delle cifre fondamentali della politica estera attiva inaugurata dall'attuale esecutivo è costituita da un rinsaldarsi dei legami con la Federazione Russa. La prima personalità della politica mondiale ad essere stata accolta da Berlusconi a pochi giorni dalla vittoria elettorale dell'aprile del 2008 e ancora prima della nomina ufficiale a capo del governo, è stato proprio il premier russo, nonché ex presidente, Vladimir Putin: un incontro non certamente ufficiale, ma che, al di là, dell'amicizia personale fra i due, aveva già il valore di un vertice programmatico per approfondire una solida partnership.
Che il rapporto italo-russo non fosse assolutamente riducibile all'amicizia personale fra Vladimir Putin e Silvio Berlusconi ce lo hanno dimostrato due eventi: l'atteggiamento dell'Italia nei confronti della guerra russo-georgiana per l'Ossezia e le consultazioni intergovernative italo-russe tenute a Mosca agli inizi di novembre. Nel primo caso, di fronte alla crisi caucasica, il governo italiano, seguito da Germania e Francia, ha tenuto una posizione di assoluta ragionevolezza, che ha individuato le responsabilità georgiane e, pur condannando fermamente l'occupazione russa (temporanea) di territori georgiani, ha evitato di assecondare atteggiamenti anti-russi che avrebbero solo peggiorato a situazione, isolando Mosca dall'Europa e facendo ritornare gli spettri di una guerra fredda finita ormai da vent'anni. Nell'agosto 2008 il governo italiano ha agito seguendo l'interesse nazionale, quello dell'Europa e, soprattutto, quello della pace mondiale. Un altro banco di prova per la serietà della partnership bilaterale italo-russa è stato l'incontro intergovernativo e interministeriale tenutosi a Mosca il 6 e il 7 novembre dell'anno scorso, in conclusione del quale sono stati siglati importantissimi accordi in campo economico, industriale e culturale, che pongono l'Italia in pole position fra i partner dell'immensa Federazione Russa, superando in molti campi persino i tedeschi, fino a qualche anno fa considerati irraggiungibili.
Molti commentatori hanno parlato del tutto inopportunamente di «svolta russa» della politica estera di Silvio Berlusconi, non ricordano come la particolare cura dell'attuale presidente del Consiglio nello sviluppare i rapporti con la Federazione Russa non sia assolutamente una novità. Basti pensare agli accordi di Pratica di Mare del 2002, che gettarono le basi per la creazione del Consiglio NATO-Russia, una tappa fondamentale per il superamento della guerra fredda, o al fatto che già nel 1994, quando al Cremino sedeva Boris Eltsin e Vladimir Putin era ancor un perfetto sconosciuto (anche in Russia), vi fu la prima visita ufficiale del neo-premier Berlusconi a Mosca, una visita che gettò le basi per i rapporti fra l'Italia e la Russia post-sovietica.
L'Italia - e l'Europa - ha bisogno certamente del gas russo, ma anche la Russia ha bisogno di massicci investimenti e di tecnologie di provenienza europea, e questa ovvia (ma non per tutti) considerazione è alla base della nostra collaborazione con Mosca, che ha creato una partnership vantaggiosa per entrambe le parti. Ma la volontà di Silvio Berlusconi di mantenere un saldo legame con la Federazione Russa non è solo una questione di mera convenienza economica, ma è motivata anche dalla seria convinzione, esplicitata in molte dichiarazioni ufficiali ed interviste, che fra Europa e Russia non debba tornare una cortina di ferro e che quell'immenso paese eurasiatico debba essere coinvolto nella costruzione di una nuova architettura europea che assicuri al nostro continente, da Lisbona a Vladivostok, uno spazio di sicurezza e di prosperità.
Il mondo corre ad una velocità sempre maggiore e se il crollo del muro di Berlino ha fatto cadere gli equilibri sorti alla fine della seconda guerra mondiale, il tracollo della finanza nordamericana, con conseguente crisi economica mondiale, ha di fatto minato gli equilibri sorti all'indomani della caduta dei regimi comunisti, e con essi ha incrinato la convinzione di una pacifica unificazione del globo all'insegna del verbo della democrazia e del mercato. L'America sta vivendo l'inizio di una fase post-occidentale che probabilmente la legherà sempre di più all'Asia orientale e ad una dimensione oceanico-pacifica, allontanandosi sempre di più dall'originaria matrice culturale europea (basti pensare alla storia personale del presidente Barack Obama, di padre musulmano keniota, nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia). In questo mondo la Russia e l'Europa si ritrovano ad affrontare gli stessi problemi: perdita di peso politico, economico e demografico di fronte ai nuovi poli di potenza asiatica ed esposizione a rischi condivisi quali il terrorismo, la destabilizzazione politica, l'immigrazione clandestina e il traffico di droga.
La necessità di non perdere i contatti con la Russia, avvertita chiaramente dal presidente Berlusconi, assume così un'importanza vitale per la stessa sopravvivenza dell'Europa come soggetto storico attivo.
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carlomartello