Nella sua nota politica di oggi Massimo Franco, sul Corriere della Sera, coglie appieno un punto della dialettica interna al Partito democratico, in merito all'autoesclusione da ogni carica parlamentare (e di governo) nella XVIII legislatura:
È un passaggio cruciale che fa capire appieno, estendendo questo ragionamento, come ci sia una mancanza di dignità, non tanto per mano di una classe dirigente cresciuta a pane e potere e che non si schioda neanche dinanzi a una doppia disfatta senza appello, ma da parte della stessa base che, dopo 5 anni di imbonimento, non espone un minimo sussulto critico per far pagare il conto delle sconfitte-slavine del referendum costituzionale e delle Politiche del 4 marzo ai veri responsabili: il caro leader e il suo giro stretto.
[...]È anche una coda della faida che ha
accompagnato la scelta dei capigruppo del Pd
al Senato e alla Camera: scontro che ha
rischiato di destabilizzare il «reggente»
Maurizio Martina proprio per mano dell’ex
leader, deciso a condizionare qualsiasi scelta
diversa dalla politica dei «no». Oggi Martina è
nel mirino di Renzi per non avere assecondato
le pretese di un leader umiliato dagli elettori;
ma ancora convinto di dettare legge attraverso
gruppi parlamentari plasmati con candidature
a propria immagine: o almeno così pensava.
Pazienza se un’opposizione declinata come
autoesclusione rischia di fare il gioco degli
avversari: proprio come è successo negli anni
in cui il Pd era al governo, regalando ai seguaci
di Beppe Grillo spazi polemici e di
propaganda; e, alla fine, una messe di voti. E
importa poco che a pilotare questa fase siano
in fondo gli stessi che l’elettorato ha bocciato
prima al referendum costituzionale del 4
dicembre 2016, e poi il 4 marzo. Squadra che
perde non si cambia, pare di capire: a parte
qualche aggiustamento cosmetico. [...]
In casa dem si continua, in maniera piuttosto vana, a cercare alibi esterni: le fake news, D'Alema, la sinistra che non capisce di rinnovarsi cioè del bisogno di rinunciare a essere di sinistra, ecc.
La trattativa per gli uffici di presidenza dei due rami del Parlamento è emblematica: anziché prendere atto del nuovo scenario politico, la strategia è l'Aventino per 'proteggere', non si capisce bene come, la cappa di predominio dell'ex presidente del Consiglio sui gruppi parlamentari e, di conseguenza, sul partito intero.