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Lockheed, Facebook e Starbucks mostrano in che mondo viviamo: uno speed-dating verso l’Abisso

19 aprile 2018

Quello che vedete rappresentato qui sopra, nella fotografia di copertina, è uno schema di speed-dating. Cosa sia, penso sia noto a tutti ma non lasciamo dubbi: si tratta di quegli incontri a tempo fra single, durante i quali si ha un determinato numero di minuti prefissato per conoscere qualcuno, capire se ci piace e cercare di impressionarlo.

L’ennesima stronzata americana per cercare di scopare, evitando la banale scorciatoia del pagare una bagascia: per un periodo è andato molto di moda, poi ci hanno pensato la Rete e i social network a soppiantarne i già poco convincenti servigi sociali.

Resta però il concetto di base: passare da uno sconosciuto all’altro alla ricerca dell’anima gemella ma, più che altro, blandire il proprio ego con la speranza ontologicamente presente e alla base dello schema, del prendere tempo, del calciare il barattolo in avanti.

Insomma, prima o poi quella giusta arriverà, basta impegnarsi nella ricerca e non demordere. Di base, è il concetto delle guerre asimmetriche che stiamo vivendo in questo periodo.
Fateci caso, si passa da una crisi geopolitica all’altra come si passa da Antonella a Giovanna e Federica, una dopo l’altra, una più carica di speranze e aspettative dell’altra.

Delusione? Serata buca? Non importa, l’importante è aver messo in scacco la solitudine per qualche ora, riempiendo il vuoto con un vuoto più chiassoso e formalmente “sociale”. Il mondo in cui viviamo, di fatto, si basa su concetti deviati e devianti come questo.

Fateci caso: siamo passati dalla Siria come epicentro del male del mondo alla svolta diplomatica in Corea del Nord nel tempo di un battito d’ali di un colibrì, i giornali hanno resettato Douma e i suoi bimbi gasati a tempo zero, rimpiazzandoli prontamente con la svolta impressa da Mike Pompeo al dialogo fra Washington e PyongYang, tale da aver creato i prodromi di un prossimo incontro diretto fra Donald Trump e Kim Jong-un.

E il generale Haftar, che cazzo di fine ha fatto? E’ davvero morto? E’ vivo? E’ a Parigi? O è tornato a Bengasi? O, magari, dalla Libia non si è mai mosso? Forse alla Francia serviva una cortina fumogena, dopo la figura di merda del raid contro Assad, di fatto uno dei migliori autogol strategici della storia (viene quasi il dubbio che Douma sia stata una “false false flag” architettata ad arte da Damasco e Mosca, tanto è stata stupida la risposta alleata).

In un mondo dove GPS e geo-localizzatori, smartphone e computer, ci contano i peli del culo, mentre facciamo la doccia, non si sa se l’uomo forte della Libia sia morto o vivo: credibile, a vostro modo di vedere? No ma non importa, al mondo non si chiede credibilità. Si crede verosimiglianza. E, soprattutto, rassicuranti false emergenze per cui indignarsi e con cui occupare tempo e mente, esattamente come nello speed-dating.

Guardate qui,

eccone un esempio lampante e globale. In uno Starbucks di Philadelphia, due avventori di colore vengono arrestati e portati via: la loro colpa? Stando alla versione ufficiale e social, volevano usare il bagno senza consumare nulla, quindi è stata chiamata la polizia.

Ora, non so voi ma io non ci trovo proprio nulla di strano o di così eclatante da meritare le prime pagine dei giornali di mezzo mondo (occidentale). E invece, nell’America divisa dalla presidenza Trump, ecco che la catena di caffetterie, onde evitare di essere bollata come razzista e rimetterci miliardi, non si limita alle scuse o a un comunicato in cui spiega l’accaduto ma organizza una giornata di “rieducazione” per il proprio personale,

al fine di formarlo alla gestione delle questioni razziali. Siamo alla riprogrammazione sociale per il semplice fatto che due persone non hanno ordinato un frappuccino come “do ut des” per l’utilizzo del cesso!

Tutti noi, se abbiamo bisogno del bagno ed entriamo al volo in un bar, ordiniamo almeno un caffè, è quasi una prassi consolidata per il disturbo che arrechiamo usando la toilette (e, a volte, quello olfattivo è davvero devastante, soprattutto se arrivi per secondo) ma nessuno si permetterebbe di scomodare la polizia se si chiedesse di utilizzare il wc, senza consumare nulla.

Al limite, il barista – dentro di sé – ti apostroferà come un pezzente. Non è che i due erano soliti fare quel numero, ovvero usare il cesso di Starbucks come fosse quello di casa loro? Magari per farsi? O per spacciare? Oppure, perché mettere in croce tutta Starbucks e tutti i suoi dipendenti, quando si tratta di eccesso di zelo da parte della polizia nel procedere addirittura all’arresto?

Insomma, quanto è successo è di una banalità disarmante ma siccome i due erano neri e a Pennsylvania Avenue risiede Donald Trump, ecco che il caso diventa campagna mediatica e social.

Qualcosa di molto “buono” di cui occuparsi, con cui occupare il tempo in maniera politicamente corretta, in attesa della prossima crociata, sia essa dedicata alle attrici abusate a Hollywood o in difesa di qualche cazzo di razza animale in estinzione. Come nello speed-date, si passa da un intrattenimento all’altro: per cosa? Nascondere la propria solitudine.

Bene, l’idiozia legata a Starbucks, invece, esattamente come mille altre campagne in difesa dei mitologici “diritti”, serve invece a nascondere la realtà su cui poggia questo sistema, il quale si indigna per l’arresto dei due questuanti da toilette ma non ha avuto niente da dire per questa frase: “Pur non commentando la natura o le circostanze di queste operazioni, restiamo pronti nell’assistenza ai nostri clienti per i loro impegni in tutto il mondo.

Lockheed Martin è orgogliosa di essere partner del ministero della Difesa statunitense e di equipaggiarlo con i sistemi d’armamento più avanzati, come gli JASSM, per condurre operazioni militari di successo”.

Questo è il comunicato diramato dal portavoce del gigante degli armamenti, Lockheed Martin, dopo il raid contro la Siria. E non basta, perché a stretto giro di posta, il vice-presidente del comparto per i sistemi d’attacco dell’azienda, Alan Jackson, ha sottolineato come siano “già in atto dei contatti con il ministero, riguardo il possibile aumento delle loro necessità operative”.

Insomma, altri missili potrebbero diventare necessari a breve, dopo i 2200 sistemi JASSM-ER forniti all’aeronautica militare USA, a fronte però di una necessità di base stimata in 4.900 missili. Costo? Un milione e 400mila dollari per razzo, per una spesa che durante il raid di sabato scorso ha toccato i 26,6 milioni di dollari, cui va aggiunta la spesa per i 66 Tomahawk sparati in contemporanea. E abbattuti da una contraerea di epoca sovietica.

Ma come diceva Orwell, la guerra mica si dichiara per vincerla, bensì perché duri nel tempo. Si chiama “warfare”, lo straordinario moltiplicatore bellico-industriale del PIL.
Non è uno schifo, tutto questo? Formalmente sì ma di cosa parlano i giornali e, soprattutto, i social network? Di Starbucks, del razzismo verso i due avventori dalla prostata delicata e del corso generale di rieducazione al politicamente corretto deciso dalla multinazionale del caffè annacquato. Ecco il mondo in cui viviamo, il mondo in modalità speed-date.

Il mondo in cui, stranamente, la Corea del Nord soppianta la Siria – con tanto di visita di Mike Pompeo, ancora in qualità d capo della CIA, a Kim Jong-un in persona – proprio alla vigilia della visita a Washington del premier giapponese Shinzo Abe e della conferma da parte del governo di Tokyo del superamento delle difficoltà operative nello sfruttamento del giacimento

sottomarino di “terre rare” vicino all’isola di Minami Torishima, in grado di garantire 730 anni di richiesta globale di disprosio (materiale usato nei magneti per veicoli ibridi), 780 di ittrio (laser), 620 anni di europio e 420 di terbio, utilizzati rispettivamente nei composti fluorescenti e nelle celle ad idrogeno.

Parliamo di quantitativi in grado di mettere in discussione il monopolio globale della Cina in fatto di “rare earths”: di colpo, la Nord Corea, tema sensibile per il Giappone, torna di moda e con gli USA nel ruolo fondamentale di mediatore/garante per la stabilità e la sicurezza dell’area. E, altrettanto di colpo, il governo Abe finisce sotto i riflettori per uno scandalo di favori e mazzette. Ma il problema globale è Starbucks.

Oppure Facebook, il quale dopo lo scandalo Cambridge Analytica e i bagni in Borsa, è corso ai ripari, dando seguito alle promesse di Mark Zuckerberg al Congresso USA (ieri Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento, ha scritto una lettera risentita al numero uno del social network, invitandolo a presentarsi di persona davanti all’assise europea per fornire rassicurazione come fatto con le autorità USA, tanto per capire il livello a cui siamo arrivati) e annunciando questo:

se hai meno di 15 anni, per usare il social più famoso al mondo, serve il consenso di mamma e papà. Sti cazzi, una vera rivoluzione! Soprattutto in un mondo dove i social sono testimoni della realtà e ci rimandano questo,


come quadro d’insieme della società in cui viviamo, noi italiani in questo caso: pensate che questo personaggio chieda a mamma e papà di dare l’ok per poter usare Facebook e postare le sue angherie contro il professore?

E i suoi compagni, faranno lo stesso? Il problema è che ormai cerchiamo l’autorità nei social, non nella famiglia: è Facebook a imporre le regole della convivenza e della socialità, non papà e mamma, il cui ruolo è quello di comprimari dell’assenso all’utilizzo. Viviamo in un mondo in cui dopo un bombardamento, Lockeheed Martin emette comunicati come un’azienda qualsiasi, parlando di missili e attacchi contro un Paese sovrano come si parla dei materassi della Eminflex.

E tutti zitti, perché Assad è un “animale” che gasa i bambini a Douma. Lo dicono gli “Elmetti bianchi”, i quali sono fighi perché Netflix ha dedicato un film alla loro straordinaria missione di pace e salvataggio. E anche Facebook è d’accordo, tanto che se critichi troppo la versione ufficiale – magari pubblicando interviste o video “alternativi” sull’accaduto – ti ritrovi sospeso o bannato. Da rieducare, come il personale di Starbucks.

Perché accade tutto questo? Semplice, per questo:

sta arrivando il grande botto, perché quando i Mr. Magoo dell’economia, ovvero i fenomeni dell’FMI che vedono le crisi solo quando gli si schiantano sul muso, cominciano a parlare così, vuol dire che le dinamiche sono ormai fuori controllo e serve una bella purga, un 2008 al cubo, visto il livello di leverage globale pubblico e privato venutosi a sedimentare durante gli anni della cosiddetta “ripresa” gestita dalle Banche centrali attraverso i vari cicli di QE.

Perché parlare di queste cose, quando c’è il razzismo che alberga fra i bicchieroni di caffè americano di Starbucks? “L’intolleranza nel frappucino”, un titolo meraviglioso per un bel servizio della CNN o di Time Magazine o di Newsweek.

E ora capite anche la sfrontatezza della Lockheed Martin nel fare da piazzista pubblico dei suoi missili, visto che il warfare sarà parte della cura per evitare che l’America si schianti del tutto, sotto il peso di Wall Street e della FED.

E, come da copione, quale sarà il potenziale detonatore della nuova ondata di instabilità, a detta dell’FMI? Le politiche fiscali irresponsabili di Donald Trump. Ci siamo, il presidente è quasi pronto per tramutarsi in anatra zoppa, fase intermedia che porterà allo status di capro espiatorio, giusto in tempo per le elezioni di mid-term del 4 novembre.

Ma noi preoccupiamoci di Starbucks e delle nuove regole di Facebook, proseguiamo il nostro speed-date fra le false ma rassicuranti emergenze del mondo. Quelle che ti fanno sentire buono, in questo mondo tanto cattivo e infestato da gentaglia come Assad e Putin.

Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @mauroBottarelli