Ho pensato di aprire questa discussione per due motivi, evidenti nell’altra discussione da cui questa copia il titolo.
Il primo fatto evidente è che l'argomento risulta di importanza primaria, se confrontato con le altre discussioni: infatti il numero di risposte alle altre discussioni risulta essere pressoché insignificante se confrontato alle quasi 5000 scritte in questa discussione. Dunque, l’argomento è importante e personalmente lo considero effettivamente cruciale per chiunque voglia interessarsi di filosofia, ma anche di molte altre cose.
Il secondo fatto evidente è che le quasi 5000 risposte scoraggiano del tutto la prospettiva di inserirsi nella discussione con l'intenzione di conoscerne bene il precedente andamento. Per questo motivo ho pensato che possa essere opportuno dare un nuovo inizio alla discussione, ovviamente col rischio di dire e discutere cose già dette e discusse. Forse questo rischio può essere evitato a partire da un determinato modo di avviare il discorso, ipotizzando che si tratti di un’impostazione nuova e migliore. È questo ciò che voglio provare a fare, ammettendo che si tratta solo di un’ipotesi, perché per verificare che si tratti di un avvio davvero nuovo e migliore dovrei, appunto, leggermi prima gli altri 5000 messaggi. D’altra parte, neanche ciò sarebbe sufficiente a garantire davvero novità e impostazione migliore. Tanto vale tentare. Andiamo dunque all’impostazione del discorso.
La metafisica può essere considerata come un metodo di pensiero che ritiene di poter individuare verità universali indipendenti da noi. Per esempio, se dico che esiste la luna, da un punto di vista metafisico posso pensare di avere individuato una verità (la luna esiste davvero) universale (che la luna esista è un fatto universalmente valido) indipendente da noi (la luna esiste anche quando io non ci penso, tant’è vero che altri mi dicono di averla vista anche quando io non ci pensavo, dunque la luna non è un prodotto del mio pensiero, non è un mio sogno).
Andiamo adesso ad esaminare meglio in cosa consista questa universalità. Universalità può essere considerata pressoché sinonimo di totalità. Posso pensare di aver descritto una conoscenza universale se ho tenuto conto di tutte le componenti essenziali coinvolte in quel processo di conoscenza. Nel caso della luna, ad esempio, ho tenuto conto di essa, di me (la sua esistenza è indipendente da me), degli altri (mi hanno detto di averla vista anche quando io non ci pensavo).
Domanda cruciale: ma siamo sicuri di aver davvero tenuto conto di tutte le componenti, almeno quelle più importanti, coinvolte nella conoscenza?
La risposta è no, poiché, a ben pensarci, abbiamo trascurato il soggetto, cioè noi stessi, coloro che pensano, ho trascurato me stesso.
Sembra che il soggetto sia stato preso in considerazione, quando ho parlato dell’esistenza indipendente da me, indipendenza confermata da ciò che mi hanno detto altri, ma c’è un vuoto, una lacuna, un punto trascurato. Questo punto trascurato consiste nel coinvolgimento del soggetto in tutti i momenti di verifica della verità, specialmente nell’ultimo, cioè quando interpello gli altri e mi dicono di aver visto la luna anche quando io non ci pensavo. In quest’ultima fase abbiamo dimenticato di tener conto del fatto che il parere degli altri è comunque oggetto di interpretazione, sia da parte mia che degli altri che l'hanno espresso. C’è dunque un coinvolgimento plurimo di soggetti: io e gli altri. Si tratta di componenti che, per una conoscenza che voglia pretendersi universale, non ci possiamo assolutamente permettere di trascurare.
In sintesi: un pensiero qualsiasi che voglia dirsi universale, per poter dirsi tale dovrà tener conto del coinvolgimento del soggetto, altrimenti sarà soltanto un pensiero parziale, lacunoso, mancante della presa in considerazione del soggetto.
Il problema è che, nel momento in cui io, per rendere un mio pensiero davvero universale, onnicomprensivo, decido di mettere in conto il coinvolgimento del soggetto, è come se ospitassi in seno una vipera, come far entrare un virus, il quale in definitiva nega l’universalità di tale pensiero, perché costringe a prendere atto che esso è inquinato dall’interpretazione data da me soggetto.
Detto in sintesi, viene a risultare che un pensiero che voglia essere davvero universale non potrà fare a meno di concludere di non essere universale.
Detto in forme ancora più lapidarie:
se un pensiero è universale, allora non è universale.
Se una cosa è vera, ne consegue che non è vera.
Se l’essere è, non è.
Ecco il limite intrinseco della metafisica.