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Più che un vino, un simbolo identitario. Perché racconta una storia: quella dell’isola d’Ischia e delle sue due anime, terra e mare che si intrecciano. I vigneti coltivati eroicamente su terrazzamenti a picco sul mare, il mosto pigiato e torchiato in piccole grotte scavate nel tufo (la roccia testimone della natura vulcanica dell’isola) e poi, soprattutto, il trasporto con gozzetti in legno fino a Ischia Ponte e di qui, per la vinificazione, nella cantina di Campagnano.

Storie d’antan che si rinnovano, resistendo alla globalizzazione, e che valgono al Vigna del Lume 2017 delle Cantine Antonio Mazzella il premio come Miglior Vino Bianco d’Italia, riconoscimento assegnato nel corso della 52esima edizione del “Vinitaly” di Verona. Il verdetto arriva da “5 Star Wines -The Book”, la guida della Fiera, legata al giudizio di una giuria internazionale, che – tra i circa tremila vini in concorso - ha valutato con un punteggio altissimo (96 punti su 100) il prodotto isolano, assegnando una menzione speciale anche all’altro vino bianco della stessa casa vitivinicola, il Villa Campagnano.

Un premio che inorgoglisce Nicola e Vera Mazzella, interpreti della terza generazione dei Mazzella e già negli ultimi anni attenzionati dal concorso (il Vigne del Lume finì terzo tre anni fa): le cantine furono fondate nel 1940 da nonno Nicola, ma è stato soprattutto papà Antonio a dare linfa a una delle realtà produttive più consistenti dell’isola d’Ischia, che ha saputo assecondare le asperità del territorio (molti dei terreni sono raggiungibili solo a piedi per mezzo di antichi sentieri) nel segno dell’ecosostenibilità e dell’identità. Il vino, del resto, è qui un’icona millenaria: ispira anche una delle prime, preziose testimonianze di scrittura alfabetica, sulla celebre Coppa di Nestore custodita nel Museo archeologico di Villa Arbusto.

Quanto al Vigne del Lume, il vino prodotto con uve Biancolella “incoronato” a Verona, deve il suo nome alla Punta che, in dialetto, tutti chiamano ‘O lummo: a dominarla un costone di roccia che ai più suggeriva proprio un lume. Pendenze superiori al cinquanta per cento, qui la raccolta assume le sembianze di una sfida: a raccoglierla è proprio Antonio. “Il premio è soprattutto suo”, confessano i figli. Seimila bottiglie, i numeri non sono industriali. Ma il prodotto arriva anche in America.

“E’ un vino dall’acidità spettacolare e dai molteplici sentori di frutta. – spiegano Nicola e Vera Mazzella, che hanno ritirato il premio in queste ore – Merito soprattutto della natura, in un’annata che ci ha creato non pochi grattacapi per via della siccità. Avevamo paura che i profumi si bruciassero, abbiamo aspettato la pioggia

di settembre e il risultato ci ha premiati. Siamo contenti anche per l’isola che rappresentiamo, per la sua identità, per la sua cultura e il suo ambiente, e ancor di più per un settore, la viticoltura, che lega il nostro passato al nostro futuro”. Passato e futuro, qui il tempo diventa quasi un dettaglio. Non a caso, in molte delle tenute i vignaioli usano le monorotaie: vederli al lavoro è uno spettacolo. Un vino, ma soprattutto mille storie.