Una riflessione a sei anni dalla morte di Pietro Nenni – Ragioni e difficoltà della politica unitaria (1986)





Nenni e Togliatti

di Gerardo Chiaromonte – “Rinascita”, a. XLIII, n. 3, 25 gennaio 1986, pp. 8-9.



Nenni, Togliatti, La Malfa, De Gasperi – gli uomini che, da sponde diverse, costruirono le fondamenta del nostro edificio democratico e repubblicano – appaiono oggi, alle giovani generazioni, come personaggi lontani, di un’altra Italia, di un paese che non c’è più.
La mia generazione è stata fortunata. Per tutte le generazioni, c’è un’epoca della vita in cui si prende coscienza delle cose del proprio paese e del mondo, e in cui le esigenze, le ansie e le speranze di cambiamento, proprie dell’età giovanile, prendono corpo. Ebbene, per la mia generazione, tutto questo coincise con una speranza, un’ansia, un’esigenza diffusa, di carattere nazionale: voltare pagina rispetto alla vergogna e alla tragedia del fascismo, e costruire un paese nuovo. E anche il nostro rapporto con le generazioni precedenti fu segnato dall’ammirazione sincera per quegli uomini che al fascismo non si erano piegati, che lo avevano combattuto, che avevano previsto la rovina tragica in cui il fascismo avrebbe trascinato l’Italia.
Uno di questi era Pietro Nenni. Non eravamo in grado, allora, di valutare criticamente le diverse vicende di una vita burrascosa e di un’azione politica piena anche di contraddizioni e oscillazioni che si era dispiegata a partire dal primo decennio del secolo. Noi vedevamo e ammiravamo il combattente della guerra di Spagna, l’esule, l’esponente della Resistenza.
Ed io ricordo ancora l’impressione che Nenni mi fece quando ascoltai, a Napoli, per la prima volta, un suo comizio. Certo, io preferivo, sin da allora, la lucida razionalità e pacatezza dei discorsi di Togliatti: mi sembrava che essa esprimesse meglio non solo una ribellione culturale alla bolsa retorica fascistica ma anche (come dire?) la scientificità delle proposizioni del movimento operaio. E tuttavia non si poteva non essere colpiti dall’oratoria tribunizia di Pietro Nenni, e dalla sua capacità straordinaria di trovare, quasi istintivamente, un contatto umano con le folle.
E così anche per Nenni giornalista. Si poteva dissentire a volte, dalle argomentazioni di questo o quell’articolo, o dagli slogan propagandistici (e a volte semplicistici) in cui Nenni era maestro e che usava in verità troppo abbondantemente. E tuttavia Nenni era un grande giornalista. I suoi articoli erano brevi, taglienti, essenziali, affrontavano in generale una questione sola, ed erano di rara efficacia.
Negli anni successivi, quando ero oramai più “scavato”, e le mie letture e riflessioni su Nenni erano diventate più numerose, restai sempre colpito dalla sua personalità, ogni volta che ebbi l’occasione di incontrarlo e parlare con lui. Il mio ricordo è quello di un uomo cordiale, bonario, assai concreto: è il ricordo di un dirigente socialista, sempre curioso e interessato all’opinione, alle idee, ai progetti dei comunisti, e in particolare dei comunisti più giovani, di quelli che non avevano partecipato alle polemiche furiose degli anni del primo dopoguerra, e a quelle, ancora più furiose, degli anni 20 e 30, dell’epoca (che fu chiamata “di ferro e di fuoco”) in cui usavamo, per discutere coi socialisti, e anche dei loro errori, la “categoria” del “socialfascismo”. Egli sapeva bene, che, anche nei momenti di più accesa discussione, dopo il XX Congresso del Pcus, o in certe fasi del centrosinistra, noi non avremmo mai usato, nei suoi confronti, quella assurda “categoria”.
Pietro Nenni resta, nella storia del nostro paese, uno degli autori principali di una lunga stagione di unità fra socialisti e comunisti. In verità, questi rapporti unitari segnarono un’anomalia italiana assai marcata nel quadro della situazione della sinistra in tutta l’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale. Un po’ grossolanamente, Giuseppe Di Vittorio usava dire, nelle riunioni internazionali, che l’Italia presentava due “particolarità nazionali”: una disoccupazione di massa e un partito socialista amico e alleato dei comunisti.
Certo, questo derivava da fattori storici profondi. Il Psi si era distinto, ad esempio, nell’ambito della II Internazionale, per le posizioni assunte allo scoppio della prima guerra mondiale. Era anche diverso, da altri partiti comunisti, il partito di Gramsci e di Togliatti. E tuttavia il contributo di Pietro Nenni alla costruzione di un rapporto unitario fra socialisti e comunisti fu assai forte, e in certi momenti determinante.
Sono convinto che quel lungo periodo di unità stretta fra Psi e Pci abbia segnato tutta la vicenda politica del nostro paese dopo la seconda guerra mondiale: e ne influenza ancora, in parte, il corso. La storia dell’Italia repubblicana sarebbe stata diversa se non fosse stato costruito, proprio in quel periodo, e grazie all’unità a sinistra, quel tessuto unitario negli enti locali, nei sindacati, nel movimento popolare, che ha dato, alla democrazia italiana, quella caratteristica di regime democratico di massa che altre democrazie occidentali non hanno.
Di questo Nenni viene accusato da quelli che non si sono mai stancati di sottolineare e criticare, in tutti questi anni, l’errore non solo del Fronte popolare del 1948 ma della stessa unità d’azione con il Pci, che avrebbe contribuito a fare dell’Italia una democrazia bloccata. Certo, errori ce ne furono: e forse quella politica unitaria, nelle forme in cui si era manifestata, non poteva durare. D’altra parte il “blocco” della democrazia italiana derivava dalla discriminazione anticomunista, elevata ad “ideologia”. Sembra tuttavia a me che quella politica unitaria contribuì a irrobustire il nostro regime democratico in modo profondo: il rapporto fra comunisti e socialisti non è questione che riguardi solo i due partiti, ma l’unità dei lavoratori italiani e, per certi aspetti, della nazione.
L’unità a sinistra fu incrinata, e conobbe l’inizio del suo declino, nel 1956, in occasione delle polemiche insorte dopo il XX Congresso del Pcus e la denuncia aspra di Krusciov sullo stalinismo. Sono state date diverse interpretazioni della reazione di Nenni al “rapporto segreto” di Krusciov. C’è chi ha messo l’accento sull’elemento strumentale di manovra politica e chi invece sulla sincerità dello sdegno e perfino dello sgomento di fronte a denunce tanto gravi e drammatiche. Io credo che tutte e due le cose siano vere.
Pietro Nenni sentiva indubbiamente che la politica del “muro contro muro” non poteva durare, e cercava la via per uscirne. Ma non c’è dubbio che giuocò anche un elemento emotivo. Nenni era andato a Mosca, nel 1953, ai funerali di Stalin. E Giorgio Amendola (che partecipò anch’egli ai funerali) mi raccontava, di ritorno in Italia, dello sconvolgimento di Pietro Nenni, del suo accoramento profondo, delle sue preoccupazioni per l’avvenire dell’Urss. Dovette dunque avere un suo peso un elemento sincero di stupore e di sdegno per la gravità delle denunce di Krusciov, anche in chi, come Nenni, aveva scritto, a suo tempo, numerosi articoli contro i processi di Mosca della seconda metà degli anni 30.
Ci fu anche, però, in Nenni (e in tanti altri) un errore di valutazione politica sugli effetti distruttivi che quelle denunce avrebbero avuto sulla forza e sulle prospettive del Pci. Ad ogni modo, mi sembra si possa dire che, anche nel corso della polemica di questi mesi, egli colse alcuni elementi (sul sistema politico dell’Urss, ad esempio) che noi non volemmo e non potemmo sottolineare (Togliatti scrisse delle degenerazioni di quel sistema ma dovemmo giungere al 1977, e a Berlinguer, per sottolineare il valore universale della democrazia politica). Credo che sulle posizioni di Nenni di quel periodo sia opportuno, ancora oggi, riflettere, anche allo scopo di esaminare criticamente le posizioni che noi allora assumemmo, e che pure ci hanno consentito di non far travolgere il Pci da quella spaventosa tempesta.
Non voglio né posso soffermarmi su altri periodi, come ad esempio quello del centrosinistra. Anche allora polemizzammo aspramente con lui. Voglio però dire che, in ogni circostanza, Nenni non perse mai di vista il valore dell’unità a sinistra, e più in generale dell’unità delle masse lavoratrici e popolari per la prospettiva di una trasformazione democratica e socialista della società italiana.
Possono essere accusati, questi miei appunti, di eccessiva indulgenza verso l’operato politico di un uomo che pure ha conosciuto scarti e balzi improvvisi, e che noi abbiamo sottoposto, assai spesso, a dura critica? E possono essere accusati di cedere al costume assurdo di parlare bene dei morti per parlare male dei vivi? Sinceramente, non lo credo. Non dimentichiamo nulla di quello che è accaduto nei diversi periodi della storia tormentata del movimento operaio, socialista e comunista, del nostro paese, né trascuriamo il significato di certe polemiche non contingenti. Ma Nenni è stato uno degli esponenti più prestigiosi di questo movimento. Ed è stato (nel bene e nel male) uno degli artefici della nostra Repubblica e della sua storia. Ed io sono convinto della necessità, che oggi preme, nel periodo confuso e incerto che attraversiamo: guardare avanti, partendo dai fatti nuovi e dalle trasformazioni avvenute, ma al tempo stesso ritrovare i fondamenti ideali, morali e politici, della nostra Repubblica. E non mi sembra discutibile il fatto che di questi fondamenti siano, ancora oggi, parti essenziali i principi democratici e pluralistici della Costituzione e la ricerca costante dell’unità della sinistra, delle masse lavoratrici, del popolo italiano.

Gerardo Chiaromonte


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